Laure, 10 anni, alla fine dell’estate si trasferisce con la famiglia in un nuovo quartiere di Parigi dove incontrerà nuovi compagni di gioco e di scuola: questa situazione la porrà di fronte a un panorama non familiare con la faticosità di ricreare un nuovo paesaggio relazionale dove potersi sentire a casa.
Questo è l’incipit di Tomboy, il bel fim di Céline Sciamma dove il cambiamento di casa, di scuola, di ambiente è un capovolgimento di vita che coinvolge non solo la ragazzina, ma tutta la famiglia, e simbolizza in maniera delicata e acuta la trasformazione in atto in Laure, pre-adolescente che si ritrova a vivere con riluttanza questa fase della vita in quanto i suoi cambiamenti psicofisici sembrano proprio mettere in forse la vivibilità della sua casa interiore, e il trasloco da un ambiente all’altro è anche la metafora di un trasloco che riguarda il passaggio dall’identità infantile a quella adolescenziale, trasferimento che la obbliga a interrogarsi su quali oggetti-parti di sé conservare e quali buttare perché inadeguate e anacronistiche. Questo trambusto esterno e interiore comporterà disagi, perplessità, disorientamenti, ma anche sorprese, scoperte, speranze e curiosità e i nuovi incontri saranno significativi anche per sperimentare l’abitabilità nel suo nuovo corpo-mente.
È come se la mente preadolescenziale si presentasse nella fantasia, sia come il locus amoenus del dialogo platonico dove c’è benessere, pacificazione e un buon incontro con la natura, che come locus horridus, luogo di smarrimento, di pericolo e spazio di avventura terrifica.
Laure ha bisogno come di un passaporto per accedere agli stati del sé sconosciuti, mostra un comportamento ancora non ben definito da un punto di vista dell’identità di genere, anzi fa il maschiaccio, non a caso il titolo del film riprende e sottolinea questo modo di essere della ragazzina, Tomboy significa maschiaccio appunto, evidenziando come questo stato interiore sia il protagonista del film.
Occorre creare uno spazio interno per accogliere il nuovo, occorre setacciare il passato mentre si trasloca, per far posto a un paesaggio inedito. È il paesaggio che si palesa allo specchio creando strane inquietudini in Laure che guarda con apprensione il trasformarsi del suo corpo e il diaologo di sé con sé potrebbe avere queste acuminate parole di Derrida. “…quando incrocio il tuo sguardo, io vedo sia il tuo sguardo che i tuoi occhi … e i tuoi occhi non sono solo vedenti ma visibili. Ora per il fatto che sono tanto visibili … quanto vedenti …io potrei toccarli…Se osassi un giorno”.
“Se osassi un giorno guardarmi, conoscermi, toccare la mia verità…” sembra dirsi Laure. E l’esperienza del guardarsi inizia attraverso gli occhi della madre ed è l’esperienza estetica fondamentale del bambino, non solo per riconoscersi e fondare il senso di identità, ma anche per promuovere la “fioritura umana” (Elisabeth Ascombe).
Laure si veste e si atteggia da maschio, inizialmente è proprio il suo corpo che si dichiara maschile, tanto che Lisa, la ragazzina del nuovo gruppo, la scambia per un ragazzo e Laure subito aderisce a questo fraintendimento, finge di essere un maschio di fronte ai nuovi amici e anche a Lisa con cui stabilisce un rapporto molto stretto dove sono messe in gioco la diversità e l’identificazione, movimenti in oscillazione per misurarsi e scoprire la propria identità, le sensazioni, le emozioni.
La pre-adolescenza ha una sua connotazione specifica, è lì che compaiono i primi accenni dei cambiamenti fisici, sono quasi più dei sentori che dei fenomeni evidenti, tuttavia hanno una carica potente di turbamento legato alle percezioni del corpo in trasformazione che all’inzio è sentito come estraneo, addirittura sconvolgente perché la fa da padrone senza chiedere il permesso e creando scompiglio, corpo quasi irriverente che scombussola le sicurezze dell’età di latenza così faticosamente conquistate. È l’aspetto minaccioso del qualcosa che sta per accadere, che spaventa e che fa sentire, da una parte impotenti e arrabbiati, ma dall’altra anche curiosi e quasi eccitati dall’esperienza che si sta verificando, certamente si manifesta una forte e forse inaccettabile ambivalenza rispetto a queste turbolenze e, a volte, si scatenano forti angosce.
Questo corpo in trasformazione tocca il mistero del vivere, è tremendo e affascinante allo stesso tempo, mette in campo sia il senso del bello che dà piacere estetico, ma anche del sublime creando turbamento, è qualcosa che ha a che fare coll’esperienza del sacro. E questa avventura “numinosa” non può che destare timore, soggezione, insicurezza, stupore, sentimenti che avvicinano pericolosamente alla percezione dell’origine, all’intuizione del nostro paesaggio interno originario.
Laure spia il suo corpo allo specchio alla ricerca di segni della femminilità non ancora del tutto emersa, ma che sente lì lì per fare capolino, percepisce un corpo diverso che ha bisogno di misconoscere per affrontare senza cedimenti il gruppo e, per trovare la forza di incontrare il nuovo, deve paradossalmente fingere che lei non cambierà mai, ma continuerà ad essere il maschiaccio di sempre. Per fare questo deve nascondere, camuffare il suo corpo perché le nuove forme in agguato non la tradiscano. Per i nuovi amici sarà Mickaël, un’identità maschile che la fa sentire forte come gli altri ragazzi e ammirata da Lisa. Ma il maschile è solo una maschera che la protegge, le permette di inserirsi con sicurezza nel gruppo, le garantisce rispettabilità o è anche un modo di sentirsi in sintonia con se stessa?
Laure è alle prese anche con due nuovi eventi della vita esterna, il trasloco e la futura nascita di un fratellino, entrambi sono inconsciamente correlati con le vicende interne al suo corpo-mente, ed entrambi mettono a dura prova l’assetto narcisistico così terremotato. Lasciare il solito gruppo di riferimento comporta la deprivazione di un sostegno alla sua fragile identità in formazione e la nascita del fratellino implica l’accettare un altro che può essere un potenziale rivale in amore che potrebbe compromettere l’attaccamento infantile alla madre. La vediamo infatti in alcuni atteggiamenti regressivi, come succhiarsi il pollice, andare in braccio al padre e farsi coccolare come per recuperare una posizione che vede vacillare.
Durante la preadolescenza, come in altre fasi di cambiamento, è facile ricercare consolazioni in atteggiamenti regressivi e Laure lo fa anche rifugiandosi in quell’immagine posticcia di sé, far finta di essere maschio, che faccia come da supporto identitario e che le rifornisca rassicurazione e sostegno. Ma questo non può funzionare per sempre, camuffando la realtà corre il rischio di perdersi, di non riconoscersi più realmente e di smarrirsi in una confusione dolorosa.
A un certo punto la realtà esige di essere incontrata e riconosciuta anche se comporta una fatica emotiva notevole ed è la madre che, verso la fine del film, spinge Laure ad affrontare la verità; togliere la maschera fa paura, ma lei è lì a sostenerla, è al suo fianco. È davvero un cambiamento catastrofico che mette Laure di fronte a se stessa, ai coetanei, a Lisa: ci vuole un grande coraggio. E Lisa, dopo lo sconcerto e la delusione iniziali, le tenderà la mano con una domanda apparentemente semplice: “qual è il tuo vero nome?”, ma che in realtà tocca il nocciolo della questione mostrando così di essere pronta ad incontrare profondamente l’amica, il “mi chiamo Laure” è una dichiarazione di fiducia, è lo spogliarsi della maschera, e il suono del suo nome le suscita un sorriso intenso, liberatorio, di complicità, non è più sola col suo segreto. Forse ha fatto la pace con se stessa, col suo corpo in cambiamento, forse ha rinunciato alla fantasia dell’onnipotenza, ma non ci è dato di saperlo perché il suo sorriso indossa l’abito dell’enigma, certamente Laure mostra di poter affrontare la sua realtà, di poter relazionarsi ai nuovi amici per come è e di poter accogliere con meno paura la verità che racchiude nel suo giardino segreto.
La Sciamma entra con rispetto e cautela nel mondo preadolescenziale e non rende morbosa o troppo drammatica la storia di Laure, ma osserva sospendendo giudizi e non cadendo in facili cliché, mantenendo un atteggiamento insaturo, aperto anche a eventuali soluzioni altre, non sapremo cosa sarà del futuro di Laure, quale identità sarà la sua vera casa. E non si può non essere toccati da un’intensa immagine iniziale, quando Laure durante il viaggio di trasferimento guarda il paesaggio quasi incorporandolo con gli occhi e fa fluttuare la mano come per toccare l’aria, per saggiare l’atmosfera, per conoscere col corpo “che aria tira”, per impossessarsene con un piacere tattile simile al bisogno di aggrappamento.
L’incipit e il finale del film sono dunque significati dal corpo, la mano e il sorriso, la cui espressività così essenziale sembra contenere, al di là delle parole, tutta la poetica della storia.