Niccolò Jommelli è uno dei più importanti compositori della Scuola musicale napoletana del ‘700. Nato ad Aversa nel 1714, vi ebbe le sue prime lezioni di musica prima di trasferirsi nel 1730 nella vicina Napoli, dove studiò nel Conservatorio di Sant’Onofrio e in quello dei Poveri di Gesù Cristo, in seguito Pietà dei Turchini, in cui fu allievo di Leo, Feo, Prato e Marchini.
A ventitré anni scrisse la sua prima opera, L'errore amoroso, che fu rappresentata al Teatro Nuovo a Napoli ed ebbe tanto successo che l’anno dopo ne scrisse un'altra, Odoardo. La sua fama cominciò a diffondersi ovunque e, come tanti compositori della Scuola Napoletana del Settecento, fu chiamato in molte corti italiane ed europee: Roma, Bologna, di nuovo a Napoli, e poi Venezia e Vienna, dove conobbe il grande poeta Metastasio, e dove fu insegnante dell'Imperatrice Maria Teresa.
Ricevette offerte di lavoro da Mannheim, Lisbona e Stoccarda. In quest'ultima città, Carlo Eugenio, duca di Württemberg, che era molto interessato all'opera italiana e francese, aveva già fatto rappresentare diverse opere di Jommelli prima di incontrare finalmente il compositore, che accettò di diventare Ober-Kapellmeister (direttore della musica) alla corte di Stoccarda, dove visse e operò per molti anni.
Nel 1768, il re José I del Portogallo voleva commissionare alcuni lavori per Lisbona al musicista, che tuttavia dovette rinunciare per le condizioni di salute della moglie. Lasciò Stoccarda e tornò ad Aversa, dove compose nuove opere: ma era stato troppo lontano da Napoli, e il gusto del pubblico era cambiato. Molti trovavano il suo stile troppo complicato e Jommelli tentò di adattare il suo modo di comporre alle nuove esigenze, ma senza troppo successo. Ci restano di lui una cinquantina di opere, di cui Didone è considerata la migliore, senza contare le innumerevoli composizioni strumentali, gli oratori, le cantate, ecc.
Fu negli anni di permanenza a Stoccarda che Jommelli pose le basi per una nuova drammaturgia musicale: aveva fondato una delle migliori orchestre in Europa, e fu tra i primi a sfruttare l'effetto drammatico offerto dal potenziamento della sezione dei fiati. Lo stile delle sue ouvertures ha influenzato le prime sinfonie di Johann Stamitz a Mannheim e Carl Ditters von Dittersdorf e Georg Christoph Wagenseil a Vienna. In effetti, il contatto e lo scambio di idee con la cosiddetta scuola di Mannheim furono molto fruttuosi, e attraverso quel rapporto poterono essere trasferite nel mondo di lingua tedesca quelle innovazioni musicali che poi contribuiranno di lì a poco alla rivoluzione "classica" di Haydn, Mozart e Beethoven.
Jommelli fu il primo a infrangere la regola di Scarlatti che usava l’aria col da capo in modo schematico, ricorrendo a cambiamenti di tempo improvvisi, a più evidenti legami tra recitativo e aria, perché la musica operistica fosse più naturale ed espressiva. In questo anticipò in qualche misura lo stesso Gluck. Quando iniziò a comporre, l'opera italiana era dominata dai virtuosismi dei cantanti solisti, e il dramma vero e proprio aveva un’importanza secondaria o addirittura nulla. Il pubblico andava a teatro soprattutto per sentire cantare i propri beniamini, e restava affascinato dalle acrobazie vocali dei virtuosi del momento.
Le opere erano in genere sequenze di singole arie e recitativi, con un’aria posta alla fine della scena per provocare gli applausi in modo che il cantante potesse tornare sul palco. Jommelli volle cambiare questo schema. Le sue composizioni tendevano ad usare recitativi che facessero dell'orchestra la coprotagonista drammatica insieme al cantante.
Alcune delle innovazioni stilistiche che hanno avuto luogo a metà del XVIII secolo e che spesso vengono accreditate ai rappresentanti della Scuola di Mannheim, in realtà sono da attribuire a lui: per esempio il crescendo orchestrale, che da elemento occasionale qual era nelle prime opere, diventa via via strutturale. Il crescendo jommelliano si sviluppa su una preesistente prassi interpretativa dell’indicazione “rinforzando” presente in partiture di altri napoletani, ad esempio in Leonardo Leo. Sarà poi Gioachino Rossini a tirarne fuori tutte le enormi, spettacolari potenzialità.
Gli elementi caratteristici del suo stile restano l'audacia armonica e melodica, il pieno utilizzo delle risorse orchestrali, una fluida combinazione di arie e recitativi e un uso generoso del cromatismo. Napoletano di formazione e di cuore, europeo di spirito, il musicista occupa dunque un posto di primo piano nella storia della musica e ci lascia un insegnamento che ancora deve essere compreso pienamente. Lo studioso inglese David Kimbell ne parla come del «compositore italiano di maggior talento e interesse nel campo operistico di quei decenni, anzi di una delle più significative apparizioni dell'intero diciottesimo secolo».
Jommelli indirizzò i cambiamenti del gusto europeo dallo stile pomposo e galante a quello classico, fondato su ordine e misura. Era coetaneo di Carl Philipp Emanuel Bach e Christoph Willibald Gluck, ed insieme a loro fu protagonista dell'ultima fase del barocco e uno dei grandi anticipatori del classicismo.