Penso che il successo sia una componente umana mistificata e fraintesa. Ogni individuo ha una propria idea di cosa significhi avere successo e purtroppo, l’idea più diffusa a riguardo è quella per cui la misura universale del successo sia il denaro. Certo la notorietà fa molta gola a chi non la possiede e in un contesto denaturalizzato di abitazione coattiva della realtà virtuale, in cui l’immagine regna sovrana e apparire è un bisogno fisiologico, qualche mi piace in più sui social e qualche tag qui e là, non possono che fungere da palliativi per sofferenze esistenziali profonde come le nostre.
Siamo alienati. Prima lo riconosceremo e più semplice sarà porre rimedio al dolore. Siamo stati allevati a seguire modelli che prevedono l’ammirazione fanatica di chi è ricco e famoso a prescindere dalla reale conoscenza di quali siano le qualità umane di quell’individuo.
L’essere umano che consegua il successo è per definizione un privilegiato che gode di uno status esclusivo. Sportivi professionisti, musicisti, stelle del cinema, politici. I personaggi pubblici. Qual è la percentuale degli esseri umani che possano ragionevolmente sperare, in virtù di un talento rinforzato da costanza, coerenza, sacrificio insormontabile, di conseguire quel successo? Uno su mille ce la fa.
Quanti sono i giovani bambini in salute che, se educati al sacrificio, possono essere rapiti con successo da un noto club sportivo e addestrati quotidianamente, per tutta la durata dell’infanzia, a calcare le arene dello sport professionistico internazionale? Quasi tutti. Perché alcuni bambini crescono come professionisti dello sport e altri saranno costretti ad abbandonare i propri sogni e faticare duramente per sopravvivere in un contesto sociale ostile e malvagio? Perché fino agli anni Novanta si poteva essere abbastanza certi che un musicista di successo fosse un artista che aveva trascorso la maggior parte della propria esistenza chino sullo strumento a esercitarsi e studiare, mentre al giorno d’oggi una stagione di X Factor è sufficiente a proiettarti per cinque minuti nell’Olimpo? Come avviene che nei teatri sia possibile fruire delle performance sconvolgenti di attori e attrici di una bravura inumana, ma che sugli schermi cinematografici capiti spesso di vedere cani palestrati e inespressivi? Perché paghiamo i politici invece di costringerli a lavorare in catene, dal momento che, per esempio in Italia, sono meno di mille su sessanta milioni di individui?
Non lo so. Non so rispondere a nessuna di queste domande, ma mi viene spontaneo pormele e ve le propongo per quello che sono: un problema intellettuale. Se dovessi azzardare un’ipotesi sulla base della quale mettere a sistema la comprensione di questa realtà credo che seguirei il flusso dei capitali. Da monte a valle, tutto il fottuto fiume.
Capitali. La notizia della rovina economica di Johnny Depp, che avrebbe sperperato qualche centinaia di milioni di dollari è recente. Mi fa simpatia. Ho in mente un paio di film meno noti che mi rendono l’attore particolarmente caro e credo inoltre che l’atteggiamento sbarazzino con il quale sia riuscito a trovarsi sul lastrico sia parecchio punk, una filosofia che ho molto amato e che ammetto di stimare tuttora.
Se una celebrità hollywoodiana in attività può finire i soldi, significa però che il successo si paga piuttosto caro. Il tenore di vita di un individuo è proporzionale alle sue disponibilità economiche. Esistono problemi da risolvere e imprevisti a qualsiasi livello e l’economia domestica va gestita oculatamente sia che si tratti di bilanci da poche migliaia di euro l’anno che di cifre inconcepibili.
Anni fa frequentai un breve corso che trattava della raccolta fondi per le associazioni no profit. Mi rimase impressa una delle molteplici tabelle statistiche proposte dal docente. Un grafico cartesiano poneva la felicità in ordinata e la ricchezza in ascissa. Il dato considerava la ricchezza procapite per nucleo familiare. La felicità cresce al crescere della ricchezza, ma inverte la tendenza, per trasformarsi in disperazione, giunta a superare la soglia dei cinquemila euro di disponibilità per componente del nucleo. Troppi soldi sono un problema forse più grande dei troppo pochi.
Personalmente ho sempre preferito apparire una persona affermata innanzitutto davanti allo specchio. La realtà sembra costringere chiunque a piegarsi a compromessi che ne snaturano valori, convinzioni, agire. Esistere è complicato. I sentimenti sono considerati una zavorra sulla via dell’affermazione dell’individuo, misurato sul tenore dei consumi che può sostenere. Si può considerare in modo più pragmatico la difficoltà obiettiva di sostentare un nucleo familiare, qualora le vicissitudini ci abbiano portato a formarne uno.
Il successo vero è conoscere la propria volontà ed esercitarla fino a conseguire in parte o completamente i propri obiettivi. Il successo vero è crescere figli felici, mantenere nel tempo relazioni logoranti attraverso sacrifici e dialoghi notturni, che giungono dopo giornate di lavoro estenuanti. Il successo è mettere zitto quel pezzo di merda arrogante e insulso del tuo datore di lavoro, all’ennesima noncurante prevaricazione. Il successo è rigare dritto senza per questo rinnegare chi sei e dove stai andando. Mantenere acceso lo spirito critico e non lasciarsi abbindolare da modelli ineguagliabili e artificiali, commisurare i propri sforzi in funzione delle proprie attitudine, energie, e cercare sempre di tirare fuori il lato più prezioso: questo è successo. Successo è non riuscirci, a volte, cadere, rialzarsi, cadere ancora e rialzarsi di nuovo. Successo è ogni primo bacio.
L’amore per l’umanità può spingersi talmente oltre da portare a desiderare di spendere l’esistenza in nome delle idee. Valori universali che prevedono la possibilità di una vita laboriosa, dignitosa e libera per ogni individuo. Non esiste un utopista che viva fuori dalla realtà ed è spesso dagli idealisti che ho ricevuto le più grandi lezioni di realismo. La necessità di lottare al fine di modificare il reale è figlia di una grande consapevolezza.
Per un artista, per un uomo che scelga di rinunciare a ogni forma di benessere materiale in nome della vocazione all’espressione e alla lotta, per chi sa che non potrebbe dedicare ai figli o a una compagna le attenzioni dovute e legittime, ma per le quali non dispone di energia e tempo sufficienti, il successo è la pacca sulla spalla di un padre di famiglia che lo ringrazia per avergli suggerito un’idea, per avergli aperto una prospettiva, per averlo emozionato.
Il successo che spetta all’artista è un briciolo di riconoscimento. Null’altro. Non c’è denaro o fama che possano sostituire la comprensione della propria opera e la sua condivisione. La fama, ben distinta dal successo, di un poeta si misura a distanza di eoni dal suo decesso ed è un pensiero non ossessivo, meno che sporadico. Spesso oggetto di sarcasmo e autoironia. Pubblicare il proprio lavoro è una piccola soddisfazione. Il riconoscimento altrui del valore della propria opera. Il germe della speranza che qualcosa di noi possa sopravviverci e che ci sia un domani un giovane solitario che si stupisca ancora di aspetti del nostro passaggio terreno. Ma questo non è successo, è qualcosa che è accaduto.