C’è sempre un prima
“Il tuo lavoro non è scrivere storie. Scendi dal piedistallo. Sai quante vorrebbero essere al tuo posto, tra cene, eventi, abiti e gioielli? Sei una femmina, devi stare accanto a tuo marito, senza spiegamenti di ali”.
Quando Andrea ribadiva quelli che secondo lui erano i miei limiti, sbraitava come un animale allo stato brado. Un drago che sputava veleni. Fino a qualche secondo prima, passeggiava indisturbato, silente e occultato nella mia mente come un principe azzurro.
Alla fine, però, aggiungeva “Ti amo” e nel togliermi il respiro con un bacio mi avvolgeva in una spirale di attenzioni.
Ma io desideravo diventare una scrittrice. Raccontare storie, di donne che nella vita ce l’hanno fatta ma anche di donne che non ce l’hanno fatta.
Mi sentivo inscatolata in un’esistenza senza serratura, come se fossi una boomers e invece ero una millennials. Il matrimonio non è questo. Un drone, avrebbe notato una simmetria tra me e lui, andavamo nella stessa direzione ma, la forza che mi muoveva e la debolezza che mi pietrificava, creavano incognite invisibili e dolorose.
Bramavo comprensione. Una laurea nel cassetto, tanto studio, corsi di scrittura creativa, poadcast e sogni svaniti.
Mi portava in giro come una bambolina da mostrare, la copertina di un giornale glamour alla moda. E nessuno notò mai, in quel castello di cristallo delle finte meraviglie, i miei occhi spenti.
Era un marito padrone, ma non era colpa sua.
In una Sicilia, sempre indietro decenni, rispetto al resto del mondo, quando Andrea, sulle note di “Vieni nel mio cuore" mi disse “Sposiamoci”, pronunciai i miei sì, uno dopo l’altro, all’unisono con i nostri battiti. Avevo vinto la lotteria dell’amore.
Era un brillante avvocato penalista, e a Milano iniziai ad aiutarlo nelle arringhe, come se lavorassi con lui, ma nei mesi che seguirono, capii che lavoravo per lui. Lo amavo, e per non sminuirlo, ingoiavo in silenzio la sua indifferenza. Fin quando, qualche mese prima del nostro anniversario di matrimonio, il mio inferno si trasformò in incubo e smisi di aiutarlo.
Mi confidò di non aver accettato di difendere un uomo accusato della segregazione, in casa, della moglie; l'opinione pubblica lo avrebbe massacrato, e la sua carriera, sarebbe colata a picco.
Le sue parole?
“Chissà la moglie che ha combinato e comunque tutti hanno diritto a una difesa”
Come poteva pensare di difendere un essere del genere?
Scesero da sole, a sigillare la mia bocca. Nessun sapore di mare, ma di tenebre in fondo al mare.
La mia fiaba si dissolse all’istante, come la principessa Fiona intrappolata nel castello, sorvegliato dalla draghessa, io ero sorvegliata da un drago.
Da quel momento, mi vietò di scrivere su tutto ciò che non fosse legato al suo lavoro.
Eppure non riuscivo a lasciarlo. Sapeva come farsi perdonare, con le parole. Mi ripeteva che senza di me era un uomo morto. Per tutti, era un uomo e marito esemplare.
Iniziai a scrivere di nascosto, quando lui non c’era, su un quaderno, che nascondevo in soffitta.
Dal parrucchiere, qualche giorno prima del nostro anniversario, lessi che una rinomata rivista femminile, cercava collaborazioni. Inviai, mentre ero sotto il casco, la candidatura insieme a uno dei miei racconti sulle donne. Usai una mail nuova, nel dubbio che lui mi controllasse la posta.
Mi ricordai della candidatura inviata, la mattina dell’anniversario perché mentre facevo colazione, in tv stava passando la pubblicità della rivista. Ero sola in casa, ma mi chiusi in bagno per paura che lui rientrasse, e controllai la posta. C’era una mail dalla redazione del giornale.
“Spettabile Signora Russo saremmo lieti di approfondire la sua conoscenza per una possibile collaborazione. Se disponibile, le abbiamo fissato un appuntamento il giorno otto settembre presso la nostra sede di Milano alle ore 15. Cordiali saluti”.
Mi cadde il telefono a terra. Mi sentivo sull’orlo di un precipizio e decisi di passeggiare a piedi nudi nell’infinito.
Scrissi una lettera a lui e uscii dalla casa, sfondando il tetto di cristallo che mi teneva in esilio in quella prigione dorata. Non vi feci più ritorno. Ero sola ma lo ero stata di più con lui.
Altro che amore, il narcisista in carriera non mi cercò mai. Avrei potuto distruggerlo ma a me interessava solo costruire il mio futuro.
Lo rividi qualche anno dopo, a Roma, in un’aula di tribunale, difendeva un uomo padrone mentre io ero in compagnia della donna distrutta da quell’uomo. Come co-redattrice della famosa rivista, il mio lavoro, oltre che scrivere, era quello di stare in contatto con le donne che chiedevano il nostro aiuto, a livello umano, nei processi.
Cercò di avvicinarsi ma andai via con Sandra, anche lei verso una nuova vita, anche lei aveva rotto il tetto di cristallo sotto il quale viveva.
C’è sempre un dopo
“Favola di cristallo” è uno degli ottanta racconti, di ottanta donne, sulla discriminazione di genere, inseriti nell’e-Book, Ad alta voce, la normalità che non è normale.
Il progetto nasce per volere della scrittrice Sara Rattaro in collaborazione con le persone che partecipano al gruppo Telegram di scrittura creativa, da lei gestito. Racconti che meritano di essere letti tutti, dal primo all’ultimo, storie di ordinaria anormalità resa normale dalla società e dalla consuetudine.
Ad alta voce per dire basta e riprenderci le nostre vite, una a una per non essere più discriminate, additate, insultate, derise, picchiate, umiliate, violentate e annientate in uno sgretolamento di cellule e corpo.
Fatevi un regalo, leggete queste ottanta vite. Con alcune piangerete, con altre vi mancheranno le parole ma con tutte vi arrabbierete perché non deve accadere che una donna debba sentirsi fuori posto o in colpa a causa di uomini che tali sono perché è così che all’anagrafe risultano.