La piccola Amelia corre lungo il corridoio, con un braccio tiene stretto il suo cerbiattino di peluches e con l’altro un cuscino giallo grosso quasi quanto lei. É l’ora di andare a letto, il che coincide con il suo momento preferito della giornata. Proprio ora, alle nove in punto della sera, è il momento della favola. Poche cose riuscivano a rapirla quanto le storie che sua mamma si inventava ogni sera, come se fosse una fonte inesauribile di mondi, personaggi e sogni.
La donna ora la guarda sorridente dalla porta della camera mentre Amelia si infila velocemente sotto il piumone.
“Mamma! Raccontami una storia”.
“Oggi quale storia vuoi sentire?”.
“Una nuova mamma. Una favola della nonna!”.
Dopo qualche istante di riflessione la mamma rimbocca bene la coperta della bimba e si siede al suo fianco, con un braccio la tiene stretta a sé mentre inizia a raccontare una delle sue storie...
C’era una volta un re
seduto su un sofà
che chiedeva alla sua serva
“raccontami una storia”
e la serva incominciò…
La ragazza è concentrata mentre con pazienza tira su la zip della gonna, facendo attenzione alla camicetta che ha messo dentro con cura. Si volta verso il piccolo vanity che si trova sulla parete accanto alla porta della sua camera, si allaccia l’orologio al polso mentre, con occhio attento, si controlla nella sua figura allo specchio lo chignon, nella speranza che non ci sia un capello fuori posto. Si dirige verso l’ingresso di casa dove ha lasciato le sue scarpe e se le infila per poi precipitarsi giù dalle scale.
All’esterno il sole primaverile scalda leggermente l’aria con i suoi primi piccoli raggi, il grigio dei marciapiedi è un grosso contrasto con il bianco degli alti palazzi che si accostano al blu del cielo. Lei con la sua gonna verde e la camicetta bianca crea un delizioso contrasto in mezzo a tanti uomini in giacca e cravatta. Un sorriso luminoso contro i loro musi lunghi.
Si sono dati appuntamento alle ore quattro del pomeriggio alla fermata del 63, uno dei tram che passa per Piazza di Spagna, in modo da poter fare una lunga ma dolce passeggiata fino alla piazza centrale, sulla quale domina inesorabile l’altissimo e imponente Duomo della città. Mentre controlla l’orologio per guardare l’orario ripensa a lui. Non sa bene cosa l’abbia attratta in quel ragazzo cosi taciturno, forse proprio quel suo modo di fare così pacato e misurato, che lascia quasi un senso di invidia a chi lo guarda, come se lui avesse un equilibrio e una gravità appartenente ad un mondo tutto suo e noi, lasciati fuori, non possiamo non sentirci gelosi nei suoi confronti. Lasciando perdere questi pensieri aumenta il passo, non vuole assolutamente arrivare in ritardo.
Lui è seduto alla scrivania. L’ha posizionata sotto la finestra, in modo da poter essere aiutato dalla luce naturale mentre disegna. La mina della matita passa severa sulla carta leggermente ruvida. Linee rette si intersecano, angoli, diagonali. Questo progetto sembra essere assolutamente infinito. Le maniche della sua camicia bianca sono tirate su fino al gomito e i suoi occhi azzurri brillano sotto la luce calda riflessa dal foglio grazie ai raggi che penetrano dalla finestra. Una brezza leggera gli fa alzare lo sguardo, che cade sull’orologio al polso. Sono le quattro e dieci. Si ricorda solo ora dell’appuntamento. Il lavoro aveva ancora avuto la meglio sul suo tempo. Si alza dalla sedia e si dirige verso l’ingresso di casa, tirandosi giù le maniche e chiudendo il bottone del polsino, prende la giacca dall’attaccapanni e con calma scende le scale del suo appartamento.
Appena le sue scarpe toccano il marciapiede si accorge che fuori l’aria è tiepida e, con le mani in tasca, si ferma un attimo a bearsi del cinguettio dei primi timidi uccellini. Man mano che i passi verso la fermata del tram diminuiscono si ritrova a pensare a lei. Non aveva niente di appariscente, niente che avrebbe potuto far voltare tanti altri ragazzi oltre lui, ma era quella luce nei suoi occhi, quel suo sorriso sempre leggero su un volto tirato da un’intelligenza giovane. L’ aveva scorta con un libro in mano, mentre le sue coetanee preferivano stare in compagnia a sparlare delle ultime mode. Lei stava lì, assorta in un mondo tutto suo, come se la gravità della vita non le appartenesse e lui ne era stato immediatamente attratto.
Appena lo vide arrivare sentì le punte delle orecchie calde da quanto era arrabbiata per il suo ritardo. Controllò ancora una volta l’orario per decretare con esattezza la sua fine. Erano le 16:35. Lui le si fermò davanti e con un sorriso le porse un braccio, senza dire una parola. Ogni maledizione che aveva in mente le morì sulla punta della lingua.
I due iniziarono a camminare e passeggiarono a lungo. Lei ogni tanto si voltava verso di lui e lo vedeva con lo sguardo perso verso la loro meta oppure a guardare lei di sfuggita e, quando lo faceva, le guance gli si coloravano di una leggera nota rosata e lei sorrideva a quella reazione.
La dolce brezza primaverile li accarezzava mentre, mano nella mano, proseguivano in silenzio lungo un viale alberato.
Fine.
“Ma come mamma, finisce cosi?”.
“Sì amore mio”.
Amelia è confusa, lo si vede bene dalle sue sopracciglia tutte aggrottate. Ma che storia è? Niente principesse, niente fiori, né draghi. Questo mondo che sua mamma ha creato è così stranamente reale. Talmente tanto che si ritrova a chiedere alla madre una domanda per lei scontata.
“Ma poi cosa succede?”.
“Non si sa. Per ora sappiamo che sono innamorati e che lei, anche se non è stata contenta di aspettare, alla fine è rimasta molto felice di passare del tempo in sua compagnia” le risponde con dolcezza la madre.
“Non mi è piaciuta molto questa storia mamma…” Amelia ha adesso un piccolo broncio che strappa una risata alla donna. Poi si alza e lascia un bacio sulla fronte della piccola.
“Non tutte le storie possono piacerci tesoro, non all’inizio perlomeno, ma poi con il tempo si impara ad apprezzarne il finale”.
“Va bene. Domani mi racconti quella con i dinosauri?”.
“Certo tesoro, buonanotte”.
“Notte mamma”.