Fuori pioveva a dirotto e così mi ero rifugiato nel mio caffè preferito. Da cinque minuti ero lì che mi godevo la tranquillità asciutta di quel locale per pensare, quando davanti ai miei occhi si materializzò una scena incredibile… una grande sfera di luce stava crescendo tra me e la ragazza che sorseggiava un frullato al bancone poco distante da me e la sfera la stava praticamente "inglobando”, ma lei non sembrava accorgersene, anzi sembrava diventare sempre più allegra. Poi la sfera entrò nel pavimento e l’effetto ottico che ne derivò sembrava formasse una specie di “buca”, che appariva come se la vedessi solo io!

Mi scansai con un balzo all’indietro e il bicchiere ancora in mano, facendo una specie di gimkana tra i tavoli di fronte, come se avessi appena visto un’iguana saltarmi addosso e si avvicinò a me una signora molto alta, ben vestita, dall’età indefinita dai suoi capelli bianchi su viso e decolleté completamente levigati e senza alcuna ruga, che sorrideva divertita mentre mi diceva che per lei si trattava di un’apparizione piuttosto consueta e che non mi dovevo preoccupare se anche io la vedevo.

«La bolla è ancora lì, però!» le risposi, quasi alzando la voce, e si girarono verso di me due ragazzi ai quali avevo leggermente urtato il tavolino, dove aveva traballato la tazzina di caffè del più giovane. «Avete visto anche voi, no?» dissi sorridendo per scusarmi dell’accaduto. Ma nessuno dei due parlò.

La donna, allora, della quale avvertivo un leggero profumo di mughetto accanto a me, mi spiegò che loro non potevano aver visto quella che io chiamavo bolla, al pari della ragazza che beveva al bancone, perché si trattava di una sfera di luce energetica, visibile solo da una dimensione diversa da quella terrena.

«Vorrebbe dire che si vede solo da una dimensione... ehm... ultraterrena?» le chiesi con voce stridula, pensando che forse stavo per morire e che quella fosse l’ultima persona con cui poter parlare. «Ma no! Quale ultraterrena! E comunque non nell’accezione a cui pensa lei!» rispose quasi ridendo.

A quel punto, apparii forse molto provato da quell’emozione, perché quella signora mi disse di chiamarsi Sira e di non preoccuparmi, perché le sfere di luce energetica fanno parte della nostra dimensione animica la quale, insieme alla nostra dimensione corporale, si rende tangibile, quando la nostra dimensione spirituale si eleva. In pratica, per qualche ragione avevo elevato il mio spirito ad una comprensione più alta dell’amore divino che è il cosmo in cui siamo immersi e quest’ultimo mi aveva “regalato” la visione della sua forza, attraverso la mia anima, che certamente era già molto antica di suo.

Sulle prime, non ci capii moltissimo, ma il suo viso rassicurante mi fece comprendere che stavo facendo un’esperienza molto importante per il mio futuro e, quasi contemporaneamente, Sira mi prese una mano e mi guidò ad un tavolo per sederci. Io mi sentivo come ipnotizzato. Mi spiegò, che tutti noi non siamo solo dei corpi in cui Dio abbia messo un’anima qualunque, bensì è vero il contrario, ovvero che noi tutti siamo anime, più o meno antiche, che e di volta in volta scendiamo sulla Terra o su un altro pianeta della moltitudine di galassie esistenti nel cosmo, incarnandoci in un corpo, scelto da noi, al pari della famiglia in cui nasciamo.

«Quindi, secondo lei, io mi sarei scelto i miei genitori? No, non ci credo proprio, perché, se così fosse, mi sarei scelto un padre comprensivo e non giudicante, amorevole e presente. Invece, invece il mio era sempre arrabbiato e sfuggente. No, sono storielle queste, deve essere successo qualcos’altro qui…» le risposi sovrappensiero.

Ma lei, sorridendo, mi chiese se davvero di questo tipo di esperienze, cosiddette “ultraterrene”, non ne avessi avute altre nella mia vita. A quel punto, mi ricordai che, quando avevo circa otto anni e stavo giocando con lo skate, caddi a terra battendo rovinosamente la testa e rimasi in coma per forse per un giorno. Di quella esperienza, erano i primi anni '70, ricordo che ero immobile nel letto dei miei genitori e la mia seconda madre, Angela, come la chiamavo io, anche se era la mia tata e i miei parenti venivano continuamente a guardarmi, per vedere se davo cenni di ripresa.

«Come facevi allora a ricordare di essere immobile nel letto, se dormivi profondamente?» mi chiese Sira, intelligentemente. «Mi guardavo dall’alto...» le risposi, quasi parlando tra me e me, pensieroso.

Infatti, avevo ricordato solo in quel momento di quella lontana esperienza della mia infanzia, in cui io ero come fluttuante al di sotto del soffitto della camera dei miei genitori, mentre guardavo sul letto il mio corpo immobile, il mio viso pallido, le braccia al di fuori delle lenzuola candide che ricadevano sopra un copriletto di colore verde salvia.

Indossavo stranamente una camicia da notte bianca di mia madre, che forse Angela mi aveva messo per agevolarsi nella manipolazione di un corpo inerme, il mio. Guardando dall’alto i parenti avvicinarsi piano al mio letto, compostamente e in perfetto silenzio, come quando si va a salutare un morto, ricordo che sorridevo e che mi piaceva restare in alto, dove mi sentivo così leggero e felice, ma poi, all’improvviso, ricevetti come una specie di spintarella e poco dopo, credo, aprii gli occhi, mentre avevo la faccia interrogativa di mio cugino a un palmo dal mio naso che mi guardava fisso, respirandomi addosso a bocca aperta, perché soffriva di adenoidi. Vedendo i miei occhi aperti, mio cugino s’illuminò e annunciò: «Eccolo! Si è svegliato!»

Avevo raccontato tutto questo a Sira, in un vortice di parole, la quale mi aveva ascoltato attentamente senza mai interrompermi e, alla fine del mio racconto, mi disse che avevo avuto un’esperienza extra-corporea, dove l’anima, che è immortale, stava andando a farsi una passeggiata, in attesa che qualcuno le dicesse che il suo corpo era ancora utilizzabile, per ritornarci dentro e continuare la sua avventura terrena. Si trattava di un caso abbastanza comune, tra le anime cosiddette antiche, che la scienza annovera tra i casi di premorte nella misura di un caso ogni dieci, ma che la spiritualità, in generale, riconosce come un vero distacco dell’anima dal corpo o viaggio astrale.

Mi disse, anche, che la reincarnazione è una normale funzione dell’essere vitale ed essa fa parte della nostra vita, al pari della nostra morte. Quest’ultima, infatti, riguarda solo il corpo che, sul pianeta Terra, noto nel cosmo per essere ad elevatissima densità materiale, muore dopo circa 100 anni di vita, al massimo, mentre su altri pianeti, a dimensioni spirituali molto più elevate del nostro, può restare in vita anche per almeno 10.000 anni.

Allora l’anima è davvero immortale! Hai ragione, Sira! Ecco perché la mia fluttuava nel soffitto, aspettando il mio corpo che doveva ripartire!» esclamai, finalmente rilassato. «Sì, infatti, e oggi qui, in questo bellissimo locale per pensare ti è stata data la possibilità di ricordarlo, perché forse a breve sarai chiamato dal tuo spirito a fare un’azione buona che eleverà ulteriormente la dimensione spirituale della tua anima già antica, caro amico» mi rispose lei, serafica. «Vado a prendere un buon caffè macchiato per festeggiare questa bella notizia, tu come lo preferisci?» le chiesi, mentre mi alzavo, con nuovo entusiasmo, per andare verso il bancone e lei mi seguiva con lo sguardo sorridente.

Mi voltai per prendere la sua ordinazione, ma Sira era sparita e il tavolo era vuoto, come se fossi rimasto lì seduto per tutto quel tempo a parlare da solo. Chiesi anche al barista, se conosceva una signora che stava con me al tavolo poco prima, di nome Sira, ma lui mi disse che non aveva visto proprio nessuno, oltre me, non senza guardarmi con aria a dir poco sarcastica.

Bevvi il mio caffè, mi rialzai il bavero del cappotto, che intanto fuori aveva smesso di piovere e tornai a casa con una strana felicità nel cuore, il passo leggero e la mente libera dai pensieri difficili in quell’aria di nuovo tersa.