Ailanto. Si tratta di una specie di alberi originari delle zone tropicali dell’Asia e dell’Australia. Su Wikipedia leggiamo “pianta infestante, molto aggressiva, dalla rapidissima proliferazione, le cui radici si estendono in larghezza fino anche a 30 m sul suolo dando luogo a colonie di nuove piante figlie. […] Questa specie, introdotta in Italia per un tentativo di allevamento del lepidottero Philisamia cynthia originario dell'estremo Oriente per la produzione della seta, ormai si trova rinselvatichita nei boschi, sulle ripe, sui greti e anche su terreni aridi, sassosi e instabili, dalla pianura fino ai monti, diventando un'infestante molto aggressiva. Sostituisce piano piano la vegetazione preesistente, formando colonie. Si trova sempre più spesso anche in città, dove è usata, inopinatamente, come rapido rimedio contro i raggi solari; la pianta è infatti nota anche per l'estrema rapidità di crescita in altezza. Le sue caratteristiche infestanti, tuttavia, dovrebbero suggerire un attento controllo della sua propagazione”.
Il curatore Fulvio Chimento, nella mostra da lui organizzata a Roma presso la Villa dei Quintili, usa proprio un parallelismo con questa pianta. L’ailanto diventa così “il simbolo di una diversità artistica che si pone come alternativa all’arte “ufficiale”: propensa ad “ailantizzarsi”, a innestarsi e diffondersi rapidamente negli ambienti più disparati e a differenti latitudini”. Un progetto artistico quindi capace di adattarsi a diversi contesti espositivi come testimonia il confronto con i precedenti allestimenti: uno presso la Biblioteca Luigi Poletti di Modena dove c’erano progetti artistici che riflettevano sul writing e uno presso il Padiglione Tineo dell’Orto Botanico di Palermo. In occasione della mostra presso la Villa dei Quintili nello straordinario Parco Archeologico dell’Appia Antica, Stefano Arienti, Cuoghi Corsello, Dado e Rusty hanno creato delle opere site specific scegliendo di non utilizzare le architetture archeologiche come scenografia delle opere.
Stefano Arienti, che ha già dedicato attenzione all’albero di ailanto in alcuni suoi disegni, propone l’opera Ailanto Rosso già allestita all’Isabel Stewart Museum di Boston nel 2012. Cuoghi e Corsello riflettono sulla fragilità di luoghi come il Parco dell’Appia Antica provando a sottrarre il tempo al suo naturale scorrimento. Dado con la sua Altalena preferisce un approccio meno serioso ricostruendo all’interno dell’area un immaginario ispirato al gioco dell’arte di strada mentre Rusty con l’opera 400 ml riproduce nel porticato delle terme la pavimentazione musiva ispirata ai mosaici dell’area utilizzando i tappi delle bombolette spray. Una mostra suggestiva e di dialogo tra passato, presente e futuro.
Ho letto che l’ailanto è molto utilizzato per consolidare terreni franosi. Mi piace quindi il parallelismo che si crea tra il suo uso come supporto a terreni fragili e il supporto che l’arte contemporanea può dare alla cultura in un momento in cui quest’ultima è particolarmente fragile e necessita di un sostegno che possa rinforzare le sue basi evitando così che frani e si sgretoli. Non si tratta solo dei reperti archeologici o delle opere presenti ovunque sul nostro territorio. Si tratta piuttosto di un discorso più generale che comprende il nostro essere nel mondo e la nostra storia. Non è un compito facile, me ne rendo conto. Ma se non rinforziamo le nostre basi, quello che è stato creato potrebbe presto sgretolarsi. Non dico trasformarsi come è giusto che sia in un contesto dove tutto scorre e si trasforma, ma proprio sgretolarsi e non è detto che quello che verrà sarà migliore di quello che c’è stato così come la mentalità Moderna ci ha insegnato.