Verso la fine del diciassettesimo secolo, Alessandro Scarlatti (1660-1725) palermitano di nascita ma che aveva vissuto e studiato a Roma, fu tra gli iniziatori della Scuola operistica napoletana.
Conteso dai principi, ammirato da borghesi e popolani, Alessandro Scarlatti ci ha lasciato una straordinaria eredità con la sua produzione musicale, composta di più di cento opere, delle quali circa 75 sono giunte fino a noi, e viene considerato il fondatore dell'opera seria, i cui soggetti erano tratti principalmente da episodi della storia, del mito e della leggenda.
In epoca barocca, la Scuola Napoletana sviluppò caratteristiche peculiari per ognuno degli elementi costitutivi di un’opera: la sinfonia iniziale, che poi si chiamò ouverture italiana, il recitativo accompagnato, i concertati, il coro e l'orchestra. L’ouverture è il brano strumentale che precede l'opera, ed utilizza i temi musicali dell'opera per presentare al pubblico la musica che sta per ascoltare. In particolare, Scarlatti ha fissato lo stile dell'ouverture italiana, con la sequenza dei tempi veloce-lento-veloce, che ha influenzato la successiva struttura della sinfonia in tre movimenti del periodo classico.
Ma con Scarlatti fu soprattutto l'aria “con da capo” che fu resa canonica nella forma con cui è conosciuta: una composizione autonoma per voce solista, che aveva un appropriato accompagnamento musicale. Le opere precedenti a Scarlatti erano in gran parte un susseguirsi di recitativi che col tempo erano diventati sempre più monotoni e faticosi da seguire; non avevano forma riconoscibile, né struttura, e con poche tracce di melodia. Scarlatti fu forse il musicista più importante del suo tempo, proprio perché comprese che la debolezza dell'opera consisteva nell’essere esclusivamente declamatoria, mancando così di varietà e di interesse per il pubblico. Capì che era giunto il momento di cambiare registro, e di immettere nel vecchio impianto drammaturgico un nuovo spirito drammatico e musicale.
L'aria “con da capo” diventò perciò l’elemento distintivo della Scuola Napoletana: era una struttura tripartita A-B-A, composta cioè da tre sezioni, o “strofe”. La prima è un'unità in cui testo e melodia sono compiuti e auto-consistenti, la seconda è una variante (spesso in contrasto) della prima; la terza parte ripete la prima A, tanto che spesso non era neanche scritta, ma al cantante veniva data l’indicazione di ripetere la strofa iniziale. In questo senso, l’aria “con da capo” era simile alla forma-sonata composta di esposizione, sviluppo e ripresa.
All’interno di un’opera, ciascuna aria rappresentava un particolare stato d'animo: pathos, rabbia, eroica risolutezza o tenero amore. Così, le arie “con da capo” finirono col rappresentare i veri momenti clou delle opere, in cui il compositore condensava i sentimenti dei personaggi e i cantanti potevano fare sfoggio del loro virtuosismo; le arie finirono per diventare (e sono ancora) i pezzi forti di ogni cantante d’opera Il lavoro di Scarlatti costituisce un importante collegamento tra lo stile vocale italiano del barocco del XVII secolo e la scuola classica del XVIII secolo. Ma non è soltanto un'importante figura di transizione nella storia della musica occidentale: Scarlatti dimostra una capacità di penetrazione psicologica assolutamente moderna, con la modulazione e il ricorso a frasi musicali lunghe e variate, un aspetto tipico della Scuola napoletana.
Adatta com’era ad illustrare sentimenti e caratteri, l’aria ebbe ulteriori, interessanti sviluppi: poteva essere veloce e ornata fino al virtuosismo, o calma e melodica, a sottolineare i momenti lirici dell’opera. Questa sua duttilità le consentì di avere innumerevoli varianti: ci fu dunque l’aria di bravura, in tempo allegro, che serviva a mostrare le doti di agilità del cantante; e poi l’arietta, l’aria cantabile, l’aria di portamento, l’aria di mezzo carattere, aria d'agilità. E ancora, aria di convenienza, di baule, del sorbetto.
Poi arrivò Gluck a dare all'aria ancora una nuova funzione lirica nella sua riforma dell’opera, nella seconda metà del ‘700. Nell’800, si ebbe infine un progressivo dissolvimento della forma chiusa dell’aria nel tessuto musicale complessivo dell’opera, che tendeva ad essere più uniforme e naturalmente fluido. E l’affascinante storia dell’aria d’opera continuò, per arrivare fino ai giorni nostri.