Vita, morte, rinascita. I più grandi misteri dell’esistenza sono racchiusi nella magia di un triplice riproporsi. Ciclico, incalzante, illimitato, cadenzato dal ritmo del numero tre. L’orologio del tempo trino è la luna, l’astro che segnava la misura arcana dell’era primordiale, ne stabiliva i ritmi agricoli regolando gli ingranaggi della natura, i fenomeni generativi, i miracoli della vegetazione, il crescere e decrescere delle acque. Dove c’è magia c’è sempre una dea, e qui è Ecate, potente e temuta. Sovrana lunare, abbraccia e contiene il numero tre: passato, presente, futuro. Le tre fasi, luna calante, novilunio e luna crescente, sono il cronometro su cui si misurano le età della sua vita: la fanciulla, la donna, la vecchia. In un unico scenario si contempla la ciclicità, la metamorfosi, la rigenerazione.
La figura di Ecate raccoglie l’eredità simbolica di altre triadi arcaiche: le Moire fatali figlie della Notte, le Grazie, le Ore. Perfino le Muse, in tempi remoti, sono state tre. E ancora, nell’universo del femminile selvaggio, tre erano le Gorgoni terrificanti, tre le Graie, tre le Erinni vendicatrici. La trinità è, nell’orizzonte archetipico, l’epifania del femminile.
Si collocava un’effigie di Ecate presso i crocevia, dove tre strade ponevano al viandante l’enigma della scelta. Un corpo con tre volti che scrutavano l’ignoto. Ma proprio in prossimità di quegli snodi direzionali, le superstizioni popolari immaginavano grandi pericoli: in quei luoghi magici di transizione, simboli della potenzialità della scelta e del terrore dell’ignoto, potevano manifestarsi entità vaganti, apparizioni spettrali, e gli uomini divenivano preda del soprannaturale. Fra le mani, la dea stringeva oggetti magici eccezionali: la torcia, per illuminare le tenebre e aiutare a scegliere la giusta via; la chiave, per aprire porte segrete e accedere a passaggi dimensionali; una trottola magica, che con il suo ipnotico ruotare creava il mondo come un fuso primordiale, trascinando i moti celesti.
Ma è la magia oscura la sua arte eletta, che farà di lei il grande archetipo della strega. Ecate è sempre evocata dalle donne di magia, nei riti notturni, nelle liturgie di raccolta delle erbe fatate, tra i sussurri che trasformano la realtà, per dare forza all’incantesimo e al sortilegio d’amore. A lei appartengono le piante portentose, destinate, quando infero venne a significare infernale, a diventare erbe del Diavolo. L’aconito, la meravigliosa mandragora, il croco, la sacra verbena, erba dei crocevia e talismano protettivo per i viandanti; il ciclamino, utero floreale che nel linguaggio verde del femminile porta nel nome la ciclicità.
Ecate, che appare nel pallido bagliore delle notti di luna piena e attraversa la tenebra cieca nel novilunio, possiede l’ambivalenza e la forza dinamica di tutte le divinità femminili archetipiche: genera e distrugge, protegge e minaccia, è allo stesso tempo ctonia e celeste, ordine e caos. Lei che è sopravvissuta ai numerosi naufragi dei simboli, ha saputo camuffarsi egregiamente, ma a chi sa guardare con sguardo acuto si rivela.
Questa dea rivive in molte delle fiabe tradizionali che hanno accompagnato la nostra infanzia, e in particolare in quelle di iniziazione femminile. Infatti, spesso è con questa grande madre che devono misurarsi gli eroi, ma soprattutto le eroine. La fiaba diventa territorio di Ecate ogni volta che il sistema dei personaggi si costruisce intorno alla triade fanciulla - madre/matrigna - vecchia/strega.
La storia di Biancaneve si presta in modo emblematico a rievocarne simboli e significati. Innanzitutto, il numero tre si ripropone con insistenza. C’è una ragazza, c’è una madre buona che muore, sostituita da una matrigna invidiosa; questa in seguito, nella sua veste di operatrice di magia occulta, si trasformerà in vecchia strega. I tre volti di Ecate vegliano sul processo di individuazione della protagonista, sulla sua iniziazione psichica. Tre sono i colori della fanciulla: il suo incarnato è bianco come la neve, rosse come il sangue le sue gote, neri come ebano i suoi capelli. Tre, e le stesse, sono le sfumature che assume il disco solare. Il rosso della luna crescente è il colore di ogni iniziazione femminile: il primo mestruo, il passaggio al tempo della vita feconda. E rosso sarà il cibo magico offerto alla fanciulla da Ecate: la mela, attributo di questa e di altre antiche dee, riverbero della rossa melagrana di Persefone. Cibo dei defunti intriso di veleno, un altro baluardo del sapere della strega, che traghetta l’inizianda in quello stato di morte temporanea necessario al successivo ritorno alla vita.
Affrontare la strega e superare le prove che essa impone significa per l’eroina ritrovare l’archetipo di Ecate e integrarlo nella personalità. La forza distruttiva e caotica e l’essenza benigna e feconda di Madre Natura si ricompongono nella morte della Vecchia, che consente, nel ricongiungimento degli opposti, la rinascita della protagonista, avviata verso un risveglio del corpo e della coscienza.
Illustrazioni di Michelangelo Rossato dal libro "Biancaneve", edizioni Il Gioco di Leggere