MM: Buongiorno Francesco, ci vuoi raccontare cos'è Ferro Sette?
FT: Ferro Sette è una miniera e si trova in un pianeta sottoposto a sfruttamento intensivo delle ingenti risorse del sottosuolo. Si tratta di un mondo abitato esclusivamente da minatori, commercianti e membri di una Milizia al soldo di un governo dispotico, controllato da un clan dominante, gli Harris, dai quali deriva il nome dell’intero sistema di cui questo mondo fa parte. Ma questa miniera è anche il covo di una comunità di ribelli, che sotto la guida di uno dei protagonisti del romanzo hanno riscoperto una funzione biologica perduta dell’essere umano: il sonno.
MM: Parli di un futuro lontano, quanto lontano?
FT: Be’, direi diversi millenni. Un tempo sufficiente perché dello sradicamento del sonno, e di tutto ciò che ad esso è collegato, come i sogni, l’immaginazione, la fantasia, si sia smarrita persino la memoria. Queste parole nell’ “universo insonne” non esistono più, oppure esistono ma non indicano più il loro oggetto nel modo in cui lo conosciamo noi oggi.
MM: Come si presenta la Madre Terra in questo futuro?
FT: È ridotta a una pura leggenda. Un pianeta mitico, la cui esistenza storica è messa in discussione fino a relegarla a una delle tante versioni favolistiche dell’origine dell’Umanità. Ma i ribelli di Ferro Sette credono con ostinazione nella sua esistenza, ne hanno fatto un paradiso perduto nel quale sono convinti che l’uomo si dedicasse anche al sonno, ai sogni, alla fantasia e all’arte, e non soltanto a ottimizzare i cicli di produzione di materia prima o lavorata.
MM: L’incapacità di dormire: come ti è venuta l'idea di associare il sonno alla malattia, credi che già nella società di oggi sia presente questo approccio?
FT: Mi pare che nella società di oggi sia presente la tendenza a sottovalutare (quando non a svalutare con colpevole premeditazione) l’importanza di tutto ciò che non si colloca nella sfera dei bisogni concreti. Il lavoro, una casa, il cibo, sono fattori necessari ma non sufficienti a renderci esseri umani realizzati. C’è dell’altro, e proviene da quella parte più intima di noi che desidera cose del tutto inutili, “irrazionali”, svincolate dalla semplice sopravvivenza. Fra esse c’è anche il sonno, non tanto nel senso di periodo rigeneratore di energia per l’organismo, quanto come attività di pensiero per immagini, i sogni, e ci sono inoltre tutte le categorie legate alla fantasia, come l’arte, la creatività, il divertimento nel senso più elevato del termine e, soprattutto, gli affetti, i rapporti umani. La società di oggi non considera tutto questo “malattia”, ma lo relega a qualcosa di secondario e marginale, rispetto al profitto e alla proprietà di beni. Continuando di questo passo non mi stupirebbe quindi se iniziasse a farlo, fra qualche secolo.
MM: Dove si trova Harris IV?
FT: Nella Via Lattea, in una posizione molto più eccentrica rispetto alla Terra. È il quarto dei sette pianeti del sistema di Harris, che ruotano intorno a tre soli: Aleph, Oslo e Garan. Per questa ragione i suoi abitanti lo chiamano il “Quarto Mondo”.
MM: Chi sono i protagonisti del tuo romanzo e a chi ti sei ispirato per delinearne i caratteri?
FT: Il protagonista Tobruk Ramarren, cacciatore di taglie spedito dal Governo a stanare il capo dei ribelli nelle prime pagine del romanzo, è anche il narratore della storia, scritta quindi in prima persona. È attraverso il filtro delle sue sensazioni e dei suoi ricordi che la vicenda si sviluppa agli occhi del lettore. La sua controparte è il capo dei ribelli, David V. P. Hobbes, suo ex commilitone di un tempo. La creazione del personaggio di Tobruk, come il suo cognome rivela (Ramarren era il protagonista de “Il pianeta dell’esilio”), ha risentito della lettura dei romanzi del Ciclo dell’Ekumene di Ursula K. Le Guin. Sulle fonti di ispirazione per gli altri, come il vecchio speziale, Laureel, il dolce e goffo servitore Maiako, o la donna altera di cui Tobruk si innamora, Alina, non saprei dire. Diversi lettori mi hanno detto che in Ferro Sette ci sono tracce di Heinlein, Herbert e persino dell’Universo di Star Wars. Ne sono lieto, sono riferimenti che mi fanno onore.
MM: Perché scegli la fantascienza?
FT: Non sono io a sceglierla, è lei che sceglie me. Scherzi a parte, non c’è nulla di consapevole o programmatico; in verità non è nemmeno una scelta. Penso che il genere sia degno di tutti i lettori, e che tutti i lettori siano all’altezza della fantascienza. In realtà mi piace spaziare fra varie declinazioni del fantastico, non solo la fantascienza, quindi. Il genere fantastico veicola storie in cui tutti possono riconoscersi, scegliendo però di dettare regole nuove, diverse da quelle vigenti nel piano di realtà. Ferro Sette, in particolare, è stato letto da molti non appassionati di fantascienza, che hanno capito subito che fra pagine che parlano di un mondo lontano è malcelata la società di oggi, con la sua tendenza allo sfruttamento, all’oppressione e all’iniquità. Pur facendone parte, Tobruk si ribella a tutto ciò, come ciascuno di noi forse dovrebbe trovare il coraggio di fare.
MM: Hai fatto molte presentazioni in giro per l’Italia, come è stata questa tua prima esperienza e che tipo di feedback hai ricevuto dai lettori?
FT: È stato emozionante. Finora ho ricevuto apprezzamenti molto lusinghieri.
MM: Quanto hanno contato i social network nella promozione del libro?
FT: I social network sono importanti; rappresentano una piattaforma di base per veicolare informazioni, recensioni, e per alimentare il confronto, il dialogo e la critica. Ma, senza una casa editrice che ti supporti adeguatamente, non sono sufficienti. A mio parere, adagiarsi sull’idea che facebook o twitter ti consentano di promuovere un libro è sbagliato. La promozione è parte integrante del marketing, e ci vogliono strutture, efficienza, know-how e un budget adeguato al rischio d’impresa e agli obiettivi di vendita. E poi ci sono altri aspetti, come la distribuzione e l’attività dell’ufficio stampa, che sono fondamentali e che solo una seria casa editrice può curare. Salvo casi eccezionali, trovo insomma che internet oggi sia necessario, ma non sufficiente.
MM: Puoi riportarci qualche commento che ti è rimasto impresso?
FT: Ricordo una lettrice che ha scritto in Goodreads, il social network librario: “Che dire, mi dispiace che questo bellissimo romanzo sia terminato!”. La ringrazio con tutto il cuore, perché una simile affermazione, come anche tante altre che potrei citare, ti ripaga della fatica e della pazienza spese. E mi dà modo di dire che è in programma la pubblicazione del sequel, dal titolo Falsi Dei, che in origine non era affatto previsto. A beneficio di chi ci legge ci tengo però a precisare che Ferro Sette è un romanzo del tutto autoconclusivo.
MM: Cosa hai adesso in cantiere?
FT: Oltre al terzo volume del ciclo di Tobruk Ramarren sto scrivendo molti racconti che sono destinati a raccolte di AA.VV., e un romanzo non propriamente di fantascienza. Nel frattempo, dopo Ferro Sette, è stata pubblicata la mia raccolta personale Domani forse mai _a cura dell’Associazione RiLL, che comprende nove racconti fantastici (di cui solo un paio di fantascienza), e proprio in questi giorni vede la luce l’antologia _Crisis che io e Alberto Cola abbiamo curato per i tipi delle Edizioni della Vigna e che contiene otto racconti di fantascienza.
MM: Cosa leggi e come si è formata la tua passione per la scrittura?
FT: Le mie letture si dividono fra fantascienza e narrativa generale, e spesso è difficile segnare una linea di confine netta fra i due ambiti: penso che per scrivere buona fantascienza (e fantastico in senso lato) leggere Calvino, Conrad, Goethe, Borges, Buzzati o persino Carlo Levi sia importante quanto leggere Asimov, Heinlein, Simak o Ursula Le Guin. Non mi faccio mancare nulla, e inoltre dedico molta attenzione agli altri italiani che scrivono narrativa di genere. La mia passione per la scrittura è in realtà recente ed è nata in modo casuale, ovvero frequentando una scuola di scrittura, regalo di compleanno da parte di due persone che mi vogliono bene.
MM: Le persone amano ancora leggere? Ha senso quindi investire nella scrittura?
FT: Saranno moltissime le persone che amano leggere finché ce ne saranno alcune che amano scrivere. Quindi la mia risposta è sì, ha senso investire nella scrittura, sia dal punto di vista economico che umano. Magari, con un pochino di oculatezza e di entusiasmo in più.