Mi è sempre risultato difficile collocare Yuval Avital in una casella precisa: artista visivo o musicista?
Forse perché in realtà non c’è una risposta più vera di un’altra e tutte le sue creazioni, nonostante la diversità, hanno sempre un importante impatto sensoriale. Ricordo molto chiaramente l’installazione Alma Mater del 2015: una sorta di viaggio verso le origini ripercorrendo il cordone ombelicale idealmente rappresentato dal simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Quasi un ritorno nel grembo materno. Dove i suoni della natura si intrecciavano alle voci di nonne che narrano favole, canti tradizionali in una “foresta” di 140 altoparlanti. Oppure Fuga Perpetua del 2016 realizzata in collaborazione con le Nazioni Unite UNHCR. Non un’opera sui rifugiati ma insieme ai rifugiati che attraverso silent interview, attraverso le loro espressioni facciali e gesti naturali, raccontavano momenti importanti della loro vita, senza verbalizzarli.
Oggi Yuval Avital è ritornato con un’opera straordinaria presentata tra la fine di maggio e l’inizio di giugno a Roma presso le Terme di Diocleziano. L’occasione è data dall’80° anniversario della promulgazione delle leggi razziali, tema tuttora attuale purtroppo, e dal fatto che nel 2018 l’Italia ha assunto la presidenza dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto. Giobbe, questo il titolo dell’opera, celebra così il ricordo di una delle esperienze più buie della storia del nostro Paese affinché certe esperienze non siano state inutili e non si ripetano più nel futuro. In questo senso il Giobbe di Avital parte dall’omonimo testo biblico (ritradotto, editato ed adattato per libretto dal Maestro della Torah e filosofo Haim Baharier e dalla critica teatrale Magda Poli) per affrontare in chiave contemporanea il tema della persecuzione attraverso gli archetipi di Bene e Male, Dio e Satana che accomunano tutti noi e che prendono forma a seconda che noi ci lasciamo guidare dall’uno piuttosto che l’altro.
“Il dialogo costante con centri di ricerca, istituzioni, archivi, ma anche con singole persone e famiglie portatrici di memorie - commenta Yuval Avital - ha portato alla raccolta di un vasto ed eccezionale materiale documentaristico e alla sua riedizione in chiave artistica che in quest’occasione viene presentato come frutto di un’intensa interazione umana, in cui ogni partecipante al dialogo prende parte attiva nel processo creativo. La commemorazione delle vittime della Shoah diventa, quindi, attraverso Giobbe un simbolo da cui trarre insegnamento contro la discriminazione razziale e l’odio che oggi stanno pericolosamente riprendendo piede contaminando la società. In questo momento cruciale, in cui le questioni etiche e umane devono riprendere il sopravvento sopra gli interessi economici e i fanatismi politici e religiosi, è fondamentale assumere una posizione decisa per salvaguardare il nostro presente e futuro”.
Giobbe diventa così un simbolo di drammi feroci, passati ed attuali. Le immagini dell’Osservatorio Solare della NASA (Avital nel 2012 realizzò l’opera Unfolding Space in collaborazione con la NASA e ESA) sono alternate a materiale storico delle teche Rai e al volto della senatrice Liliana Segre, testimone diretta dell’Olocausto, che “dialoga in silenzio” con l’Ensemble PMCE dell’Auditorium di Roma e i solisti vocali del coro Auditivvokal di Dresda.
Un’opera che scava dentro, che parla ai nostri sensi e alla ragione. Un’opera che ci fa riflettere sul fatto che il bene e il male sono presenti in ognuno di noi e che solo noi decidiamo poi di seguirne uno o l’altro, di realizzare uno o l’altro. Come afferma la scrittrice olandese Etty Hillesum “Se tutto questo dolore [la persecuzione nazista degli ebrei] non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile”.