«Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini». Per questo motivo, esso non è qualcosa di esterno alla società, ma, al contrario, è la sua struttura profonda. Questo è il concetto cardine su cui si regge un capolavoro come La Société du Spectacle dello scrittore e filosofo francese Guy Debord, pubblicato per la prima volta nel 1967.
Yves Scherer (1987), artista svizzero che vive e lavora a New York City, attinge e lavora proprio dall’archivio che lo star system quotidianamente alimenta tramite social, magazine e tv. Scherer, se all’inizio della sua carriera intendeva far lo scrittore, ha poi dirottato sulla produzione artistica, dopo il viaggio e il soggiorno europeo a Berlino. Dapprima la scultura con vari materiali - rame, alluminio, resina, gomma-piuma, cera - corpi di star come Emma Watson - vengono ricontestualizzati e riletti come simboli in cui l’osservatore è chiamato in causa per rintracciarne la realtà. Ma quale realtà? Quella in bilico fra verità e finzione, in quel limbo dove l’arte giace fin dai primi albori attraverso la pittura - la rappresentazione, questo grande inganno. E se invece la società dello spettacolo avesse fatto della finzione la propria realtà?
Lontano dal perderci in giochi di parole dall’aria consunta e filosofica, Scherer, come ben sottolinea la curatrice Abaseh Mirvali in un testo su Cura - “trasmette la propria ricerca risignificando immagini dotate di un peso simbolico predominante”.
Nella personale che la bolognese Gallleriapiù gli dedica - The last of the English roses - titolo tra l’altro tratto da un brano del 2009 di Pete Doherty - Scherer incornicia in scatole di legno e plexiglass diverse pagine dello stesso libro fotografico con immagini di Kate Moss scattate da Mario Testino ed edito da Taschen. La sua ricerca sospesa tra sfera pubblica e privata, tra soggetto individuale e collettività si fa qui un brillante e patinato esempio pop. Quello stesso pop dal quale Scherer attinge straordinariamente per rieditarlo in altro nuovamente: dalla musica, dalla moda, dall’arte.
In Kate l’icona della moda anni ’90 viene sospesa come in un frame cinematografico nei momenti più intimi che il caro amico e fotografo Mario Testino aveva immortalato. Tra nudità e ammiccamenti celati da stravaganti outfit, la celebrità Moss viene isolata e ricontestualizzata - alla stregua di un ready-made - l’artista attinge dalla storia dell’arte e dalla storia dello spettacolo - per restituirci una nuova dimensione strutturale dell’icona. Le pagine del libro fotografico sono volutamente rese visibili come a svelarci il trucco, il medium; il plexiglass come metafora di un schermo, ci introduce a una visione “riflettuta” - “performata”.
La serie Kate si snoda lungo lo spazio espositivo accompagnata da un allestimento soft pink, l’artista ha rivestito il pavimento e dipinto le pareti di un rosa antico, color cipria; un allestimento make-up che induce a far diventare la galleria essa stessa un corpo ironico e performato - attraversato.
In mostra è fruibile anche il libro d’artista New-York - July 26, 2012 - attraverso una distanza maggiore di blow-up rispetto agli scatti di Kate Moss - la paparazzata Emma Watson (soggetto ripreso più volte da Scherer sia in scultura che in fotografia) viene immortalata in scene di quotidiana realtà - di lei a passeggio per vari negozi della grande mela in un anonimo giorno d’estate. Il fatto di finire sui giornali trasforma l’apparente banalità in un autentico evento - e allora l’artista ecco che nuovamente ci offre uno sguardo sul fascino della vita privata di una star - le immagini di Scherer sono volutamente sgranate, fuori fuoco - qui l’aspetto pop non riguarda l’immagine di moda glam confezionata per essere perfettamente tale - ma l’appropriazione di un’immagine tratta da un magazine di gossip.
Scherer non sceglie soltanto soggetti punta dello star system ma personaggi che hanno anche ruoli precisi nella società, dotati di una certa statura morale, ad esempio la tanto presa in causa Emma Watson non è solo l’attrice famosa per aver interpretato Hermione Granger nei film della saga di Harry Potter ma è anche una donna, una fidanzata, un’ambasciatrice delle Nazioni Unite - questa complessità stratificata rende divi come Johnny Deep, Leonardo DiCaprio, Kristen Stewart, Chris Hemsworth e tanti altri - perfette icone a metà tra esperienza personale e collettiva, autentiche manifestazioni di indagine sul concetto di identità in una società capitalista in continua accelerazione.
Yves Scherer riesce a non cadere nella banalizzazione che comporta la ripresa del genere pop nelle sue ampie accezioni, ma al contrario lo pone al centro di una riflessione e di un’indagine in perfetta tensione con il sistema di comunicazione contemporaneo - eternamente sospeso tra micro e macrocosmo tra individuo e società tra realtà e finzione. Nella poetica di Scherer il “black mirror” ritorna non solamente ad essere lo schermo degli apparecchi in grado di connetterci ai social network ma anche la lente riflettente del mezzo fotografico, in un blow-up continuo - “antonionamente" fantasticando.