Le superbe prove manifestate nelle opere recenti di Fabrizio Evangelisti richiamano alla mente Kazimir Severinovič Malevič (Kiev, 1879 – Leningrado, 1935), colui che ha illuminato le avanguardie russe con il suo Astrattismo geometrico e il Suprematismo (avanguardia artistica fondata nel 1913).
Tuttavia mentre il “quadrato nero" di Malevič rappresenta l'essenza della figura geometrica (il quadrato è infatti la forma statica per eccellenza) entro la quale molteplici altre forme geometriche possono essere inscritte, dall’oscurità del quadrato di Evangelisti escono immagini che rappresentano l’oppressione della società contemporanea su uomini e donne. È con queste premesse che l’artista trentasettenne romano lavora da alcuni anni alla sua personale ricerca denominata Inquadramento.
La tecnica usata per le sue opere è tradizionale, olio su tela, tassativamente quadrata di 100x100 cm, ma la grande invenzione sta nell’uso del solo bianco e nero o, più correttamente, del nero sul bianco. Si tratta di sequenze di quadrati entro quadrati, di scatole prospettiche fondate e costituite da quadrati, quadrati oscuri che provocano turbamento.
È quanto si evince in Mai Inquadrato (2015, olio su tela, 100x100 cm), la prima opera dove appare il quadrato nero. È un ritratto autobiografico, l'espressione del viso racconta fatica, sforzo, impegno. Il quadrato nero è stretto, i muscoli delle braccia sono in tensione, il personaggio non sta cercando di uscire, ma si sta sforzando di rimanere in superficie dove c'è luce e aria, sta cercando di non affondare nell'oscurità. L’artista in questa opera non racconta un singolo sforzo di slancio, ma una tensione continua e logorante.
In Vieni a giocare con noi (2015, olio su tela, 100x100 cm), si trova un uomo in primo piano preso per il collo dal manager, la figura in giacca e cravatta dietro, si tratta di un “capo” dalle sembianze anatomiche dell’artista. È il lato manageriale di Evangelisti, quello corrotto dall'inquadramento, quello che rinuncia al suo sistema di valori perché in fondo “sono le regole del gioco”. Rappresenta il suo orientamento all'obiettivo, al risultato, alla carriera, al denaro. Nello specifico sta tentando di insidiare un'altra anima ancora non corrotta, sta cercando di portarla dentro l'inquadramento. L'espressione della vittima è di spavento, è angosciata da ciò che lo aspetta. L’opera menziona lo stile di Caravaggio, il viso e la posizione drammatica ricordano rispettivamente Scudo con testa di medusa (1597, Galleria degli Uffizi, Firenze) e Ragazzo morso da ramarro (1595-96, Fondazione Longhi, Firenze).
Evangelisti è un autodidatta, ma fortemente predisposto al disegno e alla pittura, uniche attività che riesce a gestire con la giusta concentrazione nonostante il carattere irrequieto. È pittore d’atmosfere sospese, rese con pennellate calibrate, a strati di colore nero. Le sue sono opere dai toni contrapposti e per questo inquietanti, con figure umane visionarie diventate il capolinea dell’immaginazione, “fotografate” a un passo dal delirio. Quale è la sua idea rivoluzionaria, l’idea che lo rende così originale, così “unico”. È quella di narrare storie di solitudine dell’uomo contemporaneo attraverso personaggi naturali o paradossali senza tempo, gli arrivisti, quelli attaccati soltanto al successo e al denaro.
Si veda Continuous Improvement (2016, olio su tela, 100x100 cm), che rappresenta il top manager di un'azienda. Raggiungere l'"obiettivo" è la sua ragione di vita. La crescita continua è il suo nutrimento, il motivo per svegliarsi la mattina. È in forma, fiero, egocentrico, sempre ben vestito e pettinato, l'orologio prezioso identifica il suo stato sociale. Si sente un super uomo, il quadrato nero è impiantato nel petto al posto del suo cuore dandogli vita. La posa ricorda Superman, il quadrato nero impiantato ricorda Iron Man, il famoso personaggio dei fumetti disegnato da Don Heck. Ormai ha perso i suoi valori, è completamente assorbito dalla carriera, pensando ai figli che crescono soli si giustifica dicendo che sta sempre al lavoro per offrirgli un futuro migliore, in realtà è dipendente del lavoro e dalla sensazione di stress che il lavoro crea.
Figura chiave per la ricerca che sta sviluppando l’artista, l’inquadramento appunto, è L’orchestratore (2018, olio su tela, 100x100 cm) che, con i caratteri fisici del suo critico, cioè di chi scrive, rappresenta un direttore d’orchestra che non dirige maestri di musica ma, metaforicamente risorse umane: impiegati, lavoratori, dipendenti. Il personaggio rimanda al complotto, all’idea di pochi uomini, spietati e cinici che cospirano nell’ombra per placare la loro sede di potere.
In Anelando carogne (2016, olio su tela, 100x100 cm) si condensa il sapere filosofico e morale di Fabrizio. In un raccapricciante aforismo, un avvoltoio attende le carogne delle anime morte a causa dell'inquadramento. È un animale paziente, sicuro che il nutrimento stia per arrivare. È un animale spazzino che cancella le tracce di ogni carogna. Tecnicamente uno dei lavori più complessi, molto interessante la resa realistica del rapace. Il piumaggio, gli artigli stretti sul bordo del quadrato e lo sguardo inquietante pongono l’osservatore in uno stato d’ansia, come se il pennuto stesse per muoversi da un momento all’altro.
Evangelisti è pittore fondamentalmente figurativo, sempre vicino alla realtà fisica con segno sicuro e con un bi-cromatismo che sottolinea il trauma di una produzione che nasconde profonde riflessioni filosofiche, sottili elucubrazioni, continui turbamenti in una persona che non si limita a una rappresentazione sterile, ma che vuole trasmettere con le sue opere messaggi sottintesi o manifesti di una interiorità molte volte tormentata. La sua arte nasce da un interesse di carattere sentimentale verso la pittura che converte in una rappresentazione neofigurativa per una istintiva necessità di chiarezza e di comunicazione. C’è nelle opere dell’artista una felicità di espressione, una concretezza di segni che sono filtrati attraverso uno stile personale; c’è un linguaggio pieno di risonanze interiori che raggiunge una permanenza di risultati indiscutibili e validi.
L’infanzia e l’adolescenza trascorsa a Roma, dove Fabrizio fa le prime decisive scoperte vocazionali, vengono maturando alla metà degli anni Novanta sotto le suggestioni impressionistiche. Questo periodo iniziale mette tuttavia l’artista in una condizione di ricettività percettiva capace di arricchirlo ulteriormente.
Agli inizi del Duemila l’incipit diventa totalmente concettuale, rigoroso e coerente, riprendendo figure prese dal suo mondo lavorativo e professionale come Scontro fra titani (2010), Formazione (2013), L’oscuro fascino dell’inquadramento (2015), Sedotto e... (2018), per farne il simbolo di un cammino prezioso rivolto all’interno della sua anima, verso il pensiero di vita a queste connesso.
Le sue opere possono anche essere considerati Ritratti, quasi ossessivi certo, ma emblematici di una ricerca introspettiva che non indulge a facili rappresentazioni formali, che fa intuire situazioni e stati d’animo di particolare intensità. Certo in ogni quadro è evidente la padronanza dell'artista di un’anatomia precisa, di proporzioni scevre da deformazioni o dalla ricerca di atteggiamenti di facile presa sull’osservatore. Infatti, quasi sempre l’artista coglie il volto, l’essenziale, usando con sicurezza il disegno e privilegiando il limitato cromatismi del bianco e nero, tuttavia intrigante. Ma al pittore non interessa la precisione anatomica, quanto la denuncia sociale che con questa può realizzare. In ogni caso Evangelisti non mistifica nulla, e ognuna delle sue opere manifesta originalità di ispirazione e sicurezza di espressione.
L’artista è stato sicuramente influenzato dalla sua formazione (laureato in Filosofia) e dal suo lavoro, manager in una azienda nel campo della “Difesa”, ma con la perenne sensazione che tutto si fondi sulla sabbia, un grande gioco che tutti sembrano prendere maledettamente sul serio mettendo in secondo piano le cose importanti della vita. Fabrizio stesso spesso viene preso dal gioco, ma nei momenti di sconforto cerca le sue basi ideologiche.
Il suo attuale progetto artistico studia e critica un problema che affligge la sua generazione: L’Inquadramento dell’anima. I giovani sono infatti addestrati per raggiungere gli scopi di una società tecnica e specializzata. I percorsi educativi e professionali tendono ad essere incanalati in strade sempre più strette, spesso in contesti dove il carrierismo e la competizione fanno da padrone. Leadership, gestione del tempo, flessibilità, risoluzione dei problemi, sono i nuovi mantra che regolano le vite e dispongono in uno stato di perenne ansia.
L’artista ama dipingere in modo comunicativo, cercando di trasmettere idee comprensibili di bellezza. La filogenesi è tutta, intera, viva e palpitante nella autogenesi, in questo sottosuolo affettivo, in questa visività esterna e scabra eppure profondamente radicata. Le tappe essenziali e cruciali del divenire di Fabrizio Evangelisti, la rievocazione agitata del suo personalissimo mito danno agli esiti formale timbratura di verità. Si tratta di una verità perennemente viva nella memoria in germoglio, palpitante biologicamente e miticamente, sogguardata con un occhio al passato e l’altro al presente, con la malinconia bianco nera di chi ha lasciato i suoi dei nella poesia forte delle cose semplici, ed è condannato a vivere fuori di essa, come se non credesse più ai suoi numi, come se avesse perduto una patria e stentasse a trovarne una nuova.