In una valle verdissima e ancora intatta dell’Appennino Tosco-Emiliano, c’è la capitale della bugia: Le Piastre, minuscolo paesino lungo l’antica via Ximenes, che ospita il primo (e unico) Campionato italiano della bugia, la prima (e unica) Accademia della bugia e ora anche il primo (e unico) Museo della bugia. Primati dei quali gli abitanti vanno fieri, ci scherzano anche, ma la cosa è serissima. E soprattutto vera.
I fatti in questa storia hanno radici in un passato di quelli che oggi un ventenne non riesce neppure a immaginare: tempi senza corrente elettrica, barrocci al posto di auto, professioni come carbonaro, ciabattino, boscaiolo, ghiacciaiolo. E per distrarsi c’era solo la fantasia che si accendeva intorno al fuoco dei metati (stanzoni in cui si essiccavano le castagne, bene primario locale): lì la gente s’intratteneva raccontando la realtà a modo suo, fantasticando, anche per scaldare il cuore e gli animi, dato che fuori dettava legge il Generale Inverno prodigo di neve e temperature glaciali al punto da fare delle Piastre, lambito dal torrente Reno, uno dei più attivi poli italiani di produzione di ghiaccio naturale. Una vera e propria industria che dava da lavorare a grandi e piccini, a uomini e donne.
La Ghiacciaia della Madonnina è un mirabile esempio ancora intatto e visibile lungo il torrente Reno, punto di sosta del percorso dell’Ecomuseo della Montagna Pistoiese. Riti e ritmi che per due secoli hanno accompagnato i nativi locali fino a quando l’invenzione dell’americano Alfred Mellowes, messa a punto e commercializzata oltreoceano, piega l’economia locale: il frigorifero qui a Le Piastre ha davvero messo fine a un’Epoca. Molti ghiacciaioli, deposta la palamina (attrezzo per praticare fori nella pietra e nel ghiaccio) sono emigrati in cerca di fortuna nelle Americhe.
Marcellino Gavazzi, figlio di carbonari, raggiunse i fratelli già espatriati in Brasile, mise su un’azienda avicola e quando tornava per la villeggiatura raccontava storie mirabolanti nel bene e nel male della vita a San Paolo e dintorni. Fece fortuna, come i boscaioli migrati a fine Ottocento per andare a far carbone nel Mato Grosso, o come Ferruccio e Dina Gavazzi che in Brasile ci andarono negli anni Venti, per risollevarsi dalle catastrofi della Grande Guerra, e dopo diverse fatiche aprirono un albergo; o ancora l’Angella, altra piastrese doc, che dopo la Seconda guerra mondiale approdò in California seguendo la sorella che aveva sposato un soldato americano “loro salvatore”. In seguito l’intera famiglia d’origine si ricongiunse a loro: tutti alla conquista dell’West (coast).
Anche Angella per anni ha intrattenuto i suoi compaesani con racconti variopinti, perché quella voglia non si è mai sopita in nessun piastrese residente, emigrato o immigrato di ritorno: tutti sono storytelling addicted da tempi non sospetti. Capaci di inventare storie, vere o verosimili, come il leggendario Benvenuto Corsini, detto Monti perché ne sparava grandi quanto montagne e lo faceva citando Dante o narrando fantasiosi retroscena dell’Unità d’Italia dal punto di vista di Anita. Un affabulatore che ha tirato su una generazione di altrettanti bugiardi per celia. Perché la bugia non è menzogna: se la seconda è una falsificazione della realtà o invenzione del suo contrario, la prima – la bugia – è un gioco da illusionisti, una mezza verità più simile al camuffamento, non un’invenzione di sana pianta, ma una versione manipolata della realtà e, se la si racconta per divertimento, rende i fatti più leggeri e memorabili.
Da quei lontani metati l’arte della bugia si è mantenuta viva, al punto che nel 1966 tre giovani piastresi - Mauro Begliomini, Giancarlo e Mauro Corsini, - ebbero l’idea di movimentare la tradizionale Sagra della Polenda Dolce con il bizzarro Campionato Italiano della Bugia. Fu un’intuizione tanto semplice quanto felice: dopo 50 anni, a parte qualche pausa, il Campionato si svolge ancora con regolarità e, per onorare le gesta dei padri affabulatori, sono nate l’Accademia della Bugia e il Museo della bugia ospitato nell’ex Pensione Margherita messa a disposizione da Giacomo Reggianini gestore dell’omonimo bar, cuore pulsante del paese. Accademia e Museo sono frutto della mente di un drappello di “bugiardi” capeggiato da Emanuele Begliomini, agronomo di professione, un millennial che ama Pinocchio e ha un grande senso di appartenenza al territorio, anche se ormai vive in città. Al suo fianco Giancarlo Corsini, decano dei bugiardi, ideatore di geniali “trappole” non sense che dissemina per le strade durante il Campionato e autore di numerose raffinate storie bugiarde, con altri volenterosi compaesani, si prodigano in pratica nove mesi su 12 per tenere in piedi la tradizione, rinnovandola.
E il Museo della bugia è l’ultima novità, una perla verace che raccoglie documenti e testimonianze di 50 anni di Storia non solo locale, ma italiana: molte opere grafiche esposte, che hanno concorso al premio negli anni, tracciano un sorprendete quadro anche del nostro Paese. Dagli esordi hanno partecipato personalità dello spettacolo, della letteratura, di stampa, televisioni e radio nazionali. Pure Luis Sepulveda in un suo racconto ha tessuto le lodi e azzardato un gemellaggio tra Le Piastre e un altro villaggio smarrito in Patagonia, abitato da artisti della bugia. Tutto il mondo è paese, no?
Il Campionato, apprezzato per genuinità e originalità, si tiene la prima domenica di agosto, richiama concorrenti e spettatori da tutta Italia anche grazie alla vallata lussureggiante e ricca di attrattive per escursionisti, bird watcher, mountain biker. Nel suo genere un piccolo paradiso. Ed è questo che ha pensato Bamba Sowe, gambiano, quando nel 2015 è approdato da queste parti e, come benvenuto, è stato invitato sul palco di quel Campionato a raccontare una storiella sui mussulmani come lui - falsa ma verosimile - pensata e scritta a più mani con alcuni tra i migliori bugiardi del paese. Non vince il campionato, Bamba, ma è lì che “stacca un bonus” per il suo nuovo viaggio: quello dell’integrazione.
Orfano, fuggito dal Gambia in seguito a una crisi economica sfociata in guerra civile, Bamba impiega più di 500 giorni (un anno e mezzo) per arrivare in Italia con tutti i mezzi di fortuna, inclusi i barconi. Arriva a Napoli nel 2014, viene trasferito a Pescia e poi a Le Piastre: dal clima Tropicale si ritrova a 900 metri di altezza, dove acque sorgive zampillano freschissime e la neve in inverno si accumula ancora abbondante. Un altro pianeta. Viene portato nel centro di prima accoglienza che ha sede nell’ex albergo Bellavista – un tempo lustro locale – che il proprietario Luigi Innocenti ha dato in affitto ad alcune cooperative sociali dedite a rifugiati e richiedenti asilo. Quando Bamba arriva trova una quarantina di altri ospiti, in gran parte africani. Quella del centro per migranti è una novità per il paese e i piastresi - che, pur ricordandosi delle storie dei propri emigrati - all’inizio temono risvolti problematici per la vita della comunità, hanno le comprensibili riserve su come si possa favorire la convivenza e un aiuto fattivo in un luogo abitato per lo più da anziani, dove le uniche distrazione sono il bar Margherita e la pizzeria Amalfitana. Si chiedono come possano, persone così distanti per cultura e geografia, trovare “casa” lì dove ci sono solo boschi e dove ormai tutti sono emigrati a lavorare in città.
Eppure per Bamba è stato possibile. «Fin da subito girava per il paese con il sorriso dando aiuto a chi ne aveva bisogno senza aspettarsi nulla in cambio», racconta Luciana Ferrari vice presidente della Proloco, «ha conquistato la fiducia di tutti noi e ha sempre detto di voler restare qui. Gli piace la natura, ha una grande capacità di relazione e ha sempre mostrato volontà per qualsiasi lavoro gli è stato offerto. Sta diventando un modello di riferimento anche per gli altri rifugiati, che sta aiutando a integrarsi. Certo non per tutti è uguale e su 10 uno riesce davvero e trovare il suo posto. Le cose avvengono, ma lentamente», conclude Luciana.
Così Bamba ha cominciato a lavorare: giardiniere a Torbecchia, fattore a Castello di Cireglio, “tuttofare” alle Piastre e poi aiuto bracciante e boscaiolo, con contratti regolari. È la svolta, il bonus inconsapevolmente “conquistato” al suo arrivo al quel primo Campionato ora gli fa coronare il sogno: quest’anno ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha traslocato dal centro di accoglienza in una casa vera, un appartamento messogli a disposizione da un generoso piastrese. Così Bamba è diventato il residente numero 81. Quando gliel’hanno detto stentava a crederci: non è una bugia, vero? No, non lo è. Anche da queste parti certe volte la realtà supera la fantasia. E esaudisce i desideri.
PS: I Corsini citati in questo articolo non sono miei parenti, ma miei compaesani. Ebbene sì, sono anch'io una bugiarda emigrata.