Niente più di un viaggio per mare riesce a richiamare il segno della piccolezza dell’individuo di fronte alla potenza del cosmo, di forze naturali soverchianti e incontrollabili, del senso di solitudine dell’esistenza. Viaggiare per mare significa osare percorrere gli sconfinati territori di una geografia senza limiti. Osare perdere ogni riferimento, abbandonandosi all’elemento primordiale per eccellenza, l’acqua, incubatrice di ricordi ancestrali e infinito mistero. Significa aprirsi a incontri straordinari: mostri marini, sirene, popoli e creature inusitate, divinità arrabbiate. Spingersi ai limiti del mondo conosciuto, fino ai confini con l’aldilà. Il navigatore è certamente un viaggiatore dell’anima. Nel mito, il viaggio reale e quello psichico coincidono: l’uno spiega l’altro e ne determina il senso.
Nella metafora della navigazione della vita, l’avventura è foriera di tempesta, bonaccia, contemplazione di spazi infiniti e sacro terrore di essi; senso di smarrimento, superamento delle sfide, ricerca della stella capace di guidarci. Interpreta nel senso più pieno il senso del termine “esperienza”, nella sua valenza etimologica fatta di “ex” (provenire da, staccarsi da ciò che è abituale), “per” (attraversare, penetrare, vivere la pienezza della vita), “ire” (andare): l’accettazione dello sradicamento da ogni convinzione, insieme allo slancio fecondo verso ogni opportunità di rinnovamento.
In quel naufragio nel mare dell’essere che è la vita (per usare le parole di Pascal), l’isola rappresenta l’agognata apparizione dello spazio finito che ristabilisce il contatto con il limite e consente di contemplare l’infinito, fugandone in parte la paura. E’ la dimora delle proiezioni dell’inconscio, rifugio dal caos dell’esistenza, richiamo al recupero dell’identità. E’ necessità di dare compimento ai bisogni psichici. Approdare sull’isola definisce il senso profondo della navigazione dell’eroe. La storia delle peregrinazioni di Ulisse di ritorno dalla guerra di Troia ci racconta una serie di eventi in cui tutti questi elementi mettono in collegamento il piano narrativo con i livelli profondamente simbolici che fanno dell’Odissea una metafora senza tempo della vita umana.
Nel mito greco l’isola assume una fortissima valenza iniziatica. L’approdo definisce sempre l’accesso a un livello di consapevolezza e di evoluzione spirituale che segnano la storia personale in modo definitivo. La cultura occidentale ha moltiplicato e rifratto questo archetipo in mille rivisitazioni, a riprova delle sue forti radici collettive. Le Isole dei Beati, le Isole Fortunate narrate da Plutarco, la Lemno delle Argonautiche; in seguito, l’Isola della leggenda di San Brandano, quella di Alcina nell’Orlando Furioso; la stessa Atlantide, prototipo di ogni utopia, la Avalon dell’immaginario celtico. E innumerevoli altre, incarnazioni dell’immaginario dei popoli o paradisi individuali, come fu per la Thaiti di Gaugin.
Ma l’isola è anche simbolo del femminile, attraverso il richiamo forte dell’elemento acqua e della dimensione circoscritta e rigenerante del ritorno in un grembo, e può diventare il luogo dell’incontro del maschile con la propria dimensione femminile, favorendo il necessario ricongiungimento tra le due polarità. E non a caso le isole mitologiche sono assai spesso abitate da donne. Donne straordinarie e custodi degli archetipi, capaci di attirare uomini dalle vite altrettanto eccezionali: uomini eletti, eroi. Nel viaggio di Ulisse quattro isole consentono l’accesso a quattro diversi incontri al femminile. E altrettante prove per accedere al mistero di sé: Eea, Ogigia, Scheria, Itaca.
Circe.
L’incontro con Circe sull’isola di Eea è l’incontro con un femminile archetipico e potente. La maga possiede la sapienza terribile delle dee arcaiche, che dispiega attraverso le arti magiche, il dominio sulle erbe e sui filtri, e poteri metamorfici capaci di trasformare e soggiogare l’uomo riducendolo in una condizione di sordida animalità. La capacità di seduzione è lo strumento più potente di stordimento sul maschio, il quale, una volta attirato nel nido, diviene la vittima sacrificale di una collera antica. La capacità di Ulisse di addomesticare la femminilità selvaggia di questa dea, piegandola all’amore, costituirà un passo fondamentale dell’iniziazione dell’eroe verso la conoscenza di sé e della sua identità profonda.
Calipso.
L’isola di Ogigia è un approdo diverso: è il luogo dove si arriva svuotati di ogni energia vitale, provati dagli eventi, smarriti. Ulisse vi giunge solo, vivo per miracolo, ormai privo dei compagni. L’isola rappresenta qui la dimensione in cui fermarsi per recuperare energia psichica, ridefinire la propria identità e i propri scopi. E’ il luogo in cui il senso del trascorrere del tempo si perde, in cui lo stordimento dei profumi della natura avvolge e consola. Contemplando il vasto mare inquieto dallo scoglio più alto l’eroe, che piange la nostalgia dell’antico peregrinare e il desiderio del ritorno, ritrova la sua dimensione finita e recupera le forze necessarie per definire la nuova sfida. Calipso è la donna che salva e cura il corpo e l’anima, la Nasconditrice (Calipso è appunto “colei che nasconde”), che ama ma sa anche accettare e benedire la partenza. Ed è tra le braccia della bellissima ninfa che Pascoli, nei Poemi Conviviali, ha immaginato un ritorno di Ulisse. Il viaggio ultimo, quello della morte, “nell’isola deserta che frondeggia nell’ombelico dell’eterno mare”. Il ritorno nel grembo della madre. Dalla dea che un tempo gli aveva offerto l’immortalità ma invidia il suo destino di finitezza; che lo attende tessendo e cantando fra le fragranze d’oblio che circondano le sue case, e infine avvolge l’amato corpo ormai spento nella nube dei suoi capelli.
Nausicaa.
L’arrivo all’isola di Scheria si compie con l’assenso benevolo degli dei. Benché Ulisse vi giunga naufrago e privo perfino dei suoi vestiti, in una nudità che prefigura l’inizio del rinnovamento, è ancora una volta un volto femminile ad accoglierlo. Quello di una fanciulla, di una vergine, di una principessa. Nausicaa. La sua isola è un’isola prospera e felice, dove la dimensione del femminile è esplorata attraverso figure che appaiono libere e autorevoli: una ragazza che parla liberamente a un uomo sconosciuto, una regina che esercita un potere inconsueto per i canoni del tempo. Nausicaa tuttavia è soprattutto l’adolescente che si infiamma rapidamente per il nobile ospite straniero, che si abbandona alle fantasticherie proprie della sua età e arriva a sognare un illustre matrimonio. Per Ulisse è l’incontro con l’archetipo della figlia, nel momento in cui diviene pronta al distacco dai genitori per proiettarsi nella vita di donna. Ed è, al contempo, l’incontro con la sua stessa “Anima”, con il lato femminile di sé. Questo incontro, non a caso, precede il ritorno a Itaca, il fine e la fine del viaggio. Coincide con un momento di riconciliazione interiore profonda.
Penelope.
Itaca, infine. L’isola del ritorno, l’isola del risveglio dal sogno, dove attende la vita vera, le aspettative, le responsabilità del regno. E una donna mortale, non divina: Penelope, la sposa. La sposa che Ulisse inevitabilmente troverà invecchiata, sfiorita, ma per ricongiungersi alla quale ha affrontato per dieci lunghi anni un mare sconvolto dall’ira di un dio. Per la quale ha rifiutato l’offerta di una vita immortale e il letto di due dee. Penelope è il simbolo dell’amore coniugale, ma non banalmente inteso come vocazione di fedeltà all’uomo scelto. Incarna il simbolo della sacralità del legame nuziale come solo presupposto in cui riposa e trova compimento la storia di ogni individuo, e da cui prende slancio per proiettarsi nel futuro delle generazioni; è colei che custodisce l’unica forma possibile di immortalità.
Ulisse torna vecchio e stanco dagli anni di faticosa ricerca di sé. Il suo viaggio si è compiuto anche attraverso l’incontro con le diverse dimensioni del femminile. Il suo è il ritorno di un uomo rinnovato nella maturità conquistata, pronto a guardare la propria storia con occhi nuovi. Quello che Jung chiamava “l’archetipo Odisseo” vive in ognuno di noi. L’Odissea è l’epos di ogni individuo, che anche nel peregrinare più remoto non può mai fuggire da se stesso. La forza di trasformazione insita in ogni viaggio parla alla nostra parte più profonda. Le isole, nelle turbolenze del viaggio, ci offrono orizzonti da contemplare. Per lasciarsi affondare nel tempo...
Odisseo: Si tratta sempre di accettare un orizzonte. E ottenere che cosa?
Calipso: Ma posare la testa e tacere, Odisseo.
(Da C. Pavese, Dialoghi con Leucò)