Duemila metri quadrati di preziosi affreschi medievali pesantemente danneggiati nel corso dell'ultima guerra mondiale. Settanta anni di restauri, di cui gli ultimi dieci hanno visto l'uso di sofisticate tecniche di avanguardia. Un comitato scientifico alla guida di 12 restauratori impegnati giorno dopo giorno in un lavoro difficile e delicato. Un enorme capannone costruito alla periferia di Pisa per accogliere di volta in volta ognuno dei grandi capolavori che rischiavano di lasciarci per sempre. Sette milioni di euro, di cui uno finanziato dalla Regione Toscana e il resto a carico dell'Opera della Primaziale pisana, il costo della maxi operazione di restauro.
Un'impresa enorme che si è appena conclusa con il recupero dell'ultimo affresco, quel magistrale Trionfo della Morte ormai universalmente attribuito a Buonamico Buffalmacco, pittore fiorentino 'eretico' e girovago, poco incline agli insegnamenti di Giotto, anzi piuttosto irriverente, qualche volta grottesco nella sua passionalità. Fu lui, quello che per lungo tempo abbiamo conosciuto solo come il compagno di Bruno e Calandrino nelle ribalderie del Decamerone, l'autore di un intero ciclo di affreschi, dalla Tebaide al Giudizio Universale, dall'Inferno alla Resurrezione, dipinti nel cortile interno del Camposanto Monumentale della piazza del Duomo di Pisa.
Altri grandi artisti, come Francesco Traini, Taddeo Gaddi, Spinello Aretino e Benozzo Gozzoli, lasciarono importanti testimonianze del loro passaggio decorando quelle stesse mura dove trovavano il loro eterno riposo gli esponenti pisani delle classi più agiate, tra cui notai, orefici, medici e speziali, le cui spoglie sono raccolte in lunghe file di sarcofagi. In tutto erano 2500 metri quadrati di affreschi: un' antologia della pittura toscana del Trecento e del Quattrocento, un'opera imponente in buona parte distrutta da un incendio che durò tre giorni e tre notti dopo il bombardamento del 27 luglio 1944. E imponente è stato il recupero di ciò che si salvò dalle fiamme, ma restò seriamente danneggiato. Quasi un altro miracolo in quella piazza dei Miracoli che racchiude in uno stesso spazio l'intero cammino della vita di ogni uomo, dal battesimo fino alla morte, passando attraverso l'impegno religioso e civile rappresentato dal Duomo e dalla famosa Torre campanaria con cui i cittadini venivano chiamati a raccolta. In un momento 'buio' per il patrimonio artistico e culturale italiano, troppo spesso trascurato o addirittura ignorato, il colossale sforzo di un'istituzione per restituire ciò che il tempo e la Storia ci avevano rubato è un esempio raro, e anche una speranza che molti altri seguano questa stessa strada.
E un esempio deve restare l'uso della scienza e delle sue ricerche nel recupero del patrimonio artistico. Nel caso del Camposanto Pisano è stata fondamentale la microbiologia che con l'addestramento di un gruppo di batteri 'mangiatori' ha risolto il problema della 'caseina', la colla usata nel dopoguerra per fissare gli affreschi ai supporti di eternit, colla che nessun solvente riusciva a rimuovere. Ghiotti di 'caseina', i batteri 'ammaestrati' nei laboratori di Campobasso dal professor Giancarlo Ranalli, l'hanno eliminata totalmente dalla superficie pittorica senza danneggiare i colori originali. Un 'pasto' di tre ore e non c'è stato bisogno di 'tormenti' chimici. Così ci sono stati regalati anche particolari fino a quel momento invisibili: nel Trionfo della Morte è il caso di due scorpioni che si arrampicano su un cadavere, di uno scoiattolo che mangia una noce e dei pappagalli variopinti che decorano l'abito di una delle signore raccolte in giardino. Per eliminare il problema delle condense dovute all'umidità dei muri su cui gli affreschi vengono ricollocati è stato invece progettato insieme al Cnr un sistema di riscaldamento con fibre di carbonio che mantengono costantemente la temperatura dei dipinti a un livello superiore di 2 o 3 gradi rispetto a quella ambientale.
A guidare l'avventura due grandi restauratori, Carlo Giantomassi e Gianluigi Colalucci, mentre la direzione dei lavori dal 2009 è affidata al professor Antonio Paolucci, storico dell'arte, ex ministro dei Beni Culturali e ambientali, oltre che direttore dei Musei Vaticani e soprintendente del Polo museale fiorentino.
Ma cosa ci racconta Buffalmacco? Cosa succede nel Trionfo della Morte? Ce lo spieghi lei, professor Paolucci.
Succede che un'allegra compagnia di uomini di alto ceto accompagnati dalle loro fidanzate sta facendo una battuta di caccia nelle campagne toscane. Sono a cavallo e con loro ci sono i levrieri. Ma a un certo punto della loro passeggiata questi giovani belli, ricchi e felici si trovano davanti a tre bare aperte, dove ci sono tre morti in diversi stadi di decomposizione. Il primo è ancora intatto, ma gonfio, il secondo è in stato di putrefazione, mentre il terzo è già uno scheletro.
Un incontro inaspettato...
Un ammonimento della Grande Falciatrice, di fronte alla quale tutti gli uomini sono uguali, anche quelli belli, ricchi e felici. Succede allora che a questa vista i cavalli scalpitano, le signore si turbano e tra gli uomini c'è chi si tappa il naso per non sentire il cattivo odore. Eccolo, è il trionfo della Morte. E se spostiamo lo sguardo un po' più a destra, dove angeli e demoni si spartiscono le anime, ci accorgiamo che gli uomini rappresentati da Buffalmacco nel momento del trapasso non sono poveri e straccioni, a cui la Morte può dare sollievo da una vita di stenti e privazioni, bensì sono Papi, cardinali, vescovi, gran signori, coloro che non la vorrebbero, ma che ne saranno ugualmente falciati, perché Lei non guarda in faccia a nessuno e tutti porta via. Sull'estrema destra, quasi da contraltare alla scena dell'incontro con la morte, troviamo invece un gruppo di giovinette ignare e sorprese in piacevole conversazione.
A quale epoca si attribuisce l'affresco?
Per lungo tempo non se ne conosceva l'autore, che veniva indicato come il Maestro del Trionfo della Morte. La ricerca di Luciano Bellosi, pubblicata nel 1974, ha portato all'individuazione di Buonamico Buffalmacco. Un'attribuzione accettata, che io condivido. Dunque Buffalmacco lavora a Pisa negli anni Trenta del Trecento e nel Camposanto esegue non solo il Trionfo della Morte, ma un ciclo di affreschi, tra cui il Giudizio Universale e la Tebaide, oggi tutti restaurati. Il Trecento è stato il grande secolo degli italiani e la drammaticità di questi affreschi lo dimostra. Siamo in un Camposanto e l'intera opera doveva fornire una riflessione spaventosa, terribile. Guardiamo i volti degli uomini nel Giudizio Universale, che già lo scorso anno è tornato al suo posto. Vi leggeremo tutte le sfumature delle emozioni, dallo stupore alla paura, dalla pietà alla rabbia. Un messaggio potente.
Il restauro degli affreschi si è dunque concluso e il 17 giugno, giorno di San Ranieri, patrono della città, questo grande patrimonio storico-artistico sarà restituito al mondo intero. Ma gli interventi sul camposanto monumentale sono definitivamente conclusi?
Questo restauro è stato un intervento sapiente e delicato, una magna impresa, durata poco meno di un secolo. Tutto è successo in questi decenni: i più grandi restauratori e i più grandi storici dell'arte ne sono stati coinvolti. Ecco perché è giusto dire che l'ultima ferita inferta dalla guerra è stata risolta. Un risultato di cui tutti noi dobbiamo andare giustamente orgogliosi. Ma ora bisogna spingere sull'acceleratore e moltiplicare gli sforzi. In realtà ci mancano ancora anni per il recupero complessivo anche della struttura del Camposanto. Presto cominceremo ad occuparci dell'usura del pavimento, e lo faremo grazie a Gisella Capponi, direttore dell'Istituto superiore per la Conservazione e il Restauro, che ha già diretto il restauro matelico della Torre dei Pisa e del Colosseo.
Parliamo di arte, di musei e di conservazione del patrimonio artistico culturale. Come sta l'Italia?
Dipende da quale punto di vista la osserviamo, perché l'Italia è un insieme di contraddizioni. Senza dubbio la nostra qualità del restauro è la migliore del mondo e abbiamo ancora centri storici intatti e ben conservati. Ma, in contrasto, abbiamo distrutto il paesaggio. Dalla valle padana fino a Milano, solo per fare un esempio, è una continua villettopoli. Altri Paesi d'Europa hanno magari dimenticato i centri storici, ma hanno salvato il paesaggio e ancora oggi si possono ammirare panorami che troviamo nella pittura antica.
Resta il problema della conservazione museale...
L'Italia conserva una grande quantità del patrimonio artistico mondiale, però da noi il museo esce dai suoi confini e si moltiplica sotto i campanili delle città. Questo ci rende unici e dobbiamo mantenerlo. Ma dobbiamo farla finita con l'economicità dell'arte, un concetto americano che è totalmente sbagliato. L'arte non deve servire a fare quattrini. I musei, nel passato così come oggi, sono fatti per incivilire le plebi, persone che non hanno mai letto un libro e che non sono in grado di scrivere poche righe senza infarcirle di errori di grammatica. Fare avanzare la civiltà è importante. E chi se ne frega dei quattrini. Se riusciamo a ottenere questi risultati abbiamo svolto la nostra funzione.
Se questo è vero per il passato, cosa dire dell'arte contemporanea?
Il problema dell'arte contemporanea sono i codici espressivi, che non sono facili da decifrare. Quindi la prima cosa da fare è capire cosa vogliono dire, il significato di quei codici. Ma questa è un'altra storia...