Ogni oggetto ha il suo momento di gloria e una volta passato, ogni singolo pezzo dovrebbe essere reinserito nel ciclo evolutivo.
(Martino Gamper)
Martino Gamper nasce nei primi anni settanta a Merano. Definirlo Designer è compito dei termini della mente che cercano di contornare ciò che non ha limiti e perimetri. Martino ha lo status emotivo dell’Arte per l’assenza di una geometria bilanciata verso il valore del canone ma solo impaginata per la stabilità dell’uso quotidiano e realizzata come se fosse emersione dal tunnel delle Avanguardie dei primi del ‘900.
Come Paul Klee assembla narrazioni di traiettorie e volumi in tragitti cromatici e materici che si armonizzano nei contrasti volumetrici e solidi per sollevarsi da terra in favore della luce e dell’atmosfera. Le sue sedute, i suoi tavoli, le sue librerie…, sono sospese dal luogo per inquadrarsi nei colori di fondo o nelle trasparenze strutturali e si irradiano verso l’esterno dei perimetri necessari a chiudere un concetto: presenze fisiche autonome che si manifestano con ritmo dal jazzistico al sincopato sino al sinfonico. La sua è la prospettiva architettonica dell'Alberti che si acutizza nelle diagonali per approfondire lo sguardo concentrico e le espressioni dell’occhio in fuga dalla certezza dei dati consci verso il trompe-l’oeil dell’anima.
Ogni parte del vegetale piegata al volere del progetto è recuperata a dignità poetica di una forza futuristica che sa di trovare nello spirito di Gamper la chiave di lettura ironica e sovversiva che appartiene alle sue emozioni. Le sue 100 sedie sono l’esperienza di una scala tonale, sulla seduta, da cui ci si innalza nei viaggi dell’onirico alla velocità di un battito di ciglia, senza mai raggiungere, a suo dire, la perfezione: «100 Chairs in 100 Days».
Osservando le opere di Martino è come se osservassimo le macchie di Rorschach: si vede qualcosa di intimo che ognuno può rintracciare nel profilo della propria anima e qualcosa di noto e conclamato, un percorso che dall’inconscio riusciamo ad estrarre. Le sue architetture visive vivono del nobile gesto del riuso che sa di rispetto e dignità della storia con quella carezza a mano nuda che vivifica l’opera attraverso l’atto privo d’intermediazione produttiva che pone il certo verso l’incerto, il noto verso l’anonimo, l’uomo come fattivo autore del suo destino e di quello della sua opera.
Osservare le cromie di Gamper e i loro accostamenti, è come allungare un arto in cerca di un morbido contatto con il valore della poesia che ci arriva da ciò che è la base d’appoggio di quei colori, di quelle venature che sono frutto di un atto compiuto per ridisegnare i caledoscopi oculari. In Martino Gamper c’è pittura, scultura e architettura ed ogni peso è rovesciato dalla sua densità naturale in favore di una densità percepita.
Il suo apprendistato meranese, nella produzione di mobili e l’incontro viennese con la scultura, sotto il magistero di Michelangelo Pistoletto, unito all’esperienza con Ron Arad, al Royal College of Art di Londra, (città dove ancora oggi risiede), hanno gettato le basi di un canto unificatore di arte e design che non ha eguali nel panorama internazionale. Vegetale e minerale, legno e ferro, si tengono per mano, o si osservano avvinghiati ai più lontani cugini di matrice chimica o vitrea, in quelli che sono osmotici amplessi di mondi lontani rimessi nel coro del tempo.
Nel 2007 viene invitato ad Art Basel come “Progettista del Futuro” e in quell’occasione realizza «Se solo Giò sapesse». Giò era Giò Ponti di cui veniva rivisitata la sua produzione per l'Hotel Parco dei Principi di Sorrento: le componenti di quel progetto vennero riassemblate, al momento, da Gamper in un’esecuzione estemporanea, quanto provocatoria e vivificante del passato, ad esprimere un nuovo lessico e quell’affezione all’arte che solo dall’arte può venire.
Nell'arte del meranese tutto si armonizza con la prospettica inclusione dei suoi oggetti in una narrazione spazio temporale degna di Piero della Francesca che racchiude un concetto di comunicazione globale, tra passato e presente, sommato alla forza di esperienze autoriali maiuscole in se stesse e nel loro procreativo abbraccio d’istinto e partizione. MartinoGamper diviene sceneggiatore e regista di atti, per il teatro del tempo, dove ogni esecuzione è davvero dal vivo… “Davvero Gamper”.