Il Pantheon a Roma, edificato negli ultimissimi anni del regno dell’imperatore Traiano agli inizi del II secolo d.C. e terminato dal suo successore Adriano, oggi come ieri, affascina, influenza e genera grandissimo stupore nei milioni di persone che lo visitano. Guardare il Pantheon ed entrare a visitarlo è come fare un viaggio nel tempo perché, nonostante gli inevitabili cambiamenti apportati nel corso dei secoli, la struttura in sé così come venne concepita dai Romani non è mai stata modificata e si lascia apprezzare ancora in tutta la sua genialità e arditezza. A meravigliare ancora oggi sono sia le dimensioni inusitate della maestosa cupola che sembra letteralmente galleggiare nell’aria, sia i perfetti rapporti matematici che informano la costruzione di questo splendido monumento.
Scavare nelle geometrie e nei numeri del Pantheon è come iniziare un affascinante viaggio attraverso artifici architettonici straordinari, incredibili corrispondenze, simbologie, fenomeni di luce e… alcune domande a cui ancora non si ha risposta. Il primo elemento che si può notare riguarda l’altezza interna dell’edificio che è esattamente pari al diametro della cupola: 43,44 metri. Questo significa che è come se all’interno del Pantheon fosse inscritta una sfera perfetta, inserita in un cilindro alto come il suo diametro, e all’interno di questa sfera sia possibile a sua volta inscrivere un quadrato perfetto. Prendendo in esame virtualmente tutte le misure del Pantheon si nota una cosa interessante: se si inscrive un quadrato nel piano della rotonda e lo si replica a livello del pavimento dal lato del portico, questo secondo quadrato verrebbe a includere perfettamente tutto il portico. Dal momento, poi, che l’altezza del blocco intermedio (la parte del Pantheon tra il portico e la rotonda dove c’è ancora l’“impronta” di un portico più alto) è uguale ai lati di questo quadrato, esso forma un cubo. Tutte queste corrispondenze non sono certamente casuali e furono scelte per dare armonia all’intera costruzione.
La geometria del Pantheon si basa quindi essenzialmente sulle figure del quadrato e del cerchio che, guarda caso, sono anche le forme geometriche ripetute dallo schema decorativo del pavimento. Queste due figure geometriche hanno significati profondi da tempo immemore: il quadrato è simbolo della razionalità e quindi dell’uomo; il cerchio è associato al simbolo dell’infinito, dell’universo e quindi della divinità. La base armonica direttiva dei rapporti tra i quadrati e i cerchi risponde al rapporto matematico chiamato “sezione aurea”, contrassegnato dalla lettera greca phi (φ), in omaggio al grande artista greco classico Fidia che applicò costantemente questo rapporto nelle sue opere scultoree e architettoniche.
La storia della sezione aurea è affascinante perché l’occhio umano vede in questo rapporto una particolare estetica ricollegabile al concetto di bello. La proporzione aurea corrispondente al numero 1,6180339887 (o il suo valore approssimato 1,618) è un rapporto molto presente in natura, nelle forme viventi e non. Nell’architettura antica lo troviamo applicato nella grande Piramide di Giza, nel Partenone e nelle sculture dei grandi maestri greci da Fidia a Policleto. Questo numero (questo rapporto) ha sempre avuto agli occhi degli antichi un che di magico, per la relazione estetica che esprime e per le sue proprietà aritmetiche – tanto da credere che le architetture dell’uomo, se realizzate rispettando questo rapporto, fossero eleganti, armoniche e belle. Gli antichi Greci provarono a dare un connotato matematico a un concetto tipicamente soggettivo quale quello della bellezza e la spiegazione razionale aveva il valore di φ, numero non a caso dedicato a un artista e non a un matematico.
Ritornando al Pantheon, nonostante il nome di questo monumento alluda al culto di tutte le divinità (da pan, “tutti” e theon, “dèi”) e in particolare a quelle olimpiche, in realtà esso costituiva un tempio dedicato al culto dinastico di Augusto. Questo aspetto non è da sottovalutare dal momento che l’edificio è in stretto collegamento con il mausoleo di Augusto, situato sempre nel Campo Marzio, poche centinaia di metri più a nord rispetto al Pantheon. I due monumenti, accomunati dalla persona del primo princeps, sono perfettamente orientati uno verso l’altro secondo una direttrice che non è solo reale ma anche simbolica: il mausoleo venne infatti eretto alla distanza di 739 metri dal Pantheon, che corrisponde esattamente alla metà di un miglio romano, un miliarium, ovvero la distanza media coperta da mille passi (1478,50 metri). Secondo Augusto, ci volevano circa quindici minuti per coprire la distanza fra il Pantheon e il suo mausoleo. A quei tempi non c’erano tutte le costruzioni che oggi si frappongono tra questi due monumenti e lo spazio era relativamente libero. Questi quindici minuti non sono un tempo casuale ma ben calcolato.
Per capire il rapporto fra questi due monumenti, bisogna innanzitutto rivolgere lo sguardo in alto, all’interno del Pantheon, e guardare l’oculus, l’apertura centrale – l’unica di tutto il tempio – che con la sua presenza stabilizza l’intera costruzione della cupola (se non ci fosse quell’apertura la struttura crollerebbe sotto il suo stesso peso). Questa apertura svolge un ruolo essenziale nel rapporto tra il Pantheon e il mausoleo perché i raggi del sole entrando da lì creano un cerchio di luce che a seconda dei giorni e delle stagioni si sposta dalla cupola al pavimento ma sempre nelle vicinanze del portale d’ingresso. Il 21 aprile, giorno della mitica fondazione di Roma, i raggi solari colpiscono perfettamente il portale, investendo di luce quasi “divina” chiunque entri. Questo fenomeno accade circa quindici minuti prima del mezzogiorno solare, che corrisponde al mezzogiorno convenzionale di Roma a causa della differenza di longitudine. Si può quindi immaginare Augusto che, uscendo dal portone esattamente in corrispondenza di questo fenomeno, appariva agli occhi di tutti come una divinità circonfusa di luce solare. Camminando dal Pantheon e seguendo questa direttrice simbolica e reale che lo univa al mausoleo, Augusto percorreva in quindici minuti quella distanza giusto in tempo per vedere i raggi del sole che penetravano all’interno della sua tomba.
Un altro fenomeno legato alla luce solare che entra nel Pantheon avviene ogni 7 aprile e 4 settembre alle ore 13:00. Quei giorni la luce solare entrando dall’oculus “colpisce” perfettamente l’arco in muratura situato sopra il breve corridoio che conduce al portale del Pantheon. I contorni dell’arco vengono ricalcati alla perfezione dai raggi solari e questo affascinante fenomeno si ripete per alcuni giorni in entrambe le occasioni. Tutto ciò è frutto di calcoli estremamente precisi a partire dall’altezza dell’apertura centrale fino al diametro di 9 metri dell’arco, esattamente come quello dell’oculus.
Perché questo particolare fenomeno si verifica in quei precisi giorni dell’anno? L’archeologa Marina de Franceschini, studiando i fenomeni luminosi del Pantheon, ha intuìto una possibile spiegazione legata al calendario religioso romano. Il 7 aprile era una data speciale per i Romani perché era il giorno della festa di Apollo, dio del sole, simboleggiato proprio da un arco. Non sembra una coincidenza. Inoltre, dal 7 al 10 aprile venivano celebrati i cosiddetti Ludi Megalenses, ossia feste in onore della Magna Mater, una dea madre identificata poi con Cibele. Il 4 settembre l’arco di luce si ripete per alcuni giorni e nell’antico calendario romano dal 2 al 5 settembre venivano celebrati i Ludi Romani, in onore di Jupiter Optimus Maximus, protettore della città di Roma a cui il tempio sul Campidoglio venne dedicato alcuni secoli prima della costruzione del Pantheon. L’arco di luce compare quindi in occasione delle feste dedicate alle due più importanti divinità del pantheon romano, una maschile (Jupiter) e l’altra femminile (Cibele/Magna Mater).
Sembra instaurarsi un dualismo fra divinità maschili e femminili e tra la vita e la morte, che non sembra affatto casuale. I fenomeni luminosi però non finiscono qui: in occasione di ogni solstizio, a mezzogiorno, il fascio solare proietta la sua luce esattamente al centro del portale di ingresso, fenomeno che si ripete “allungandosi” sempre più, obliquamente, dal 21 giugno al 21 dicembre fino ad arrivare, attraverso la grata ancora originale posta sopra il portone di accesso, al pavimento esterno del pronao. Anche questo è un fenomeno di incredibile precisione: la sfera della volta, ideale riproduzione di quella celeste, viene “tagliata” dalla luce solare durante gli equinozi proprio dal cornicione che riproduce simbolicamente l’equatore, la linea immaginaria che divide la Terra in due parti.
Il Pantheon sembra (chissà?) configurarsi così come un immenso e geniale calendario il cui meccanismo per la misurazione del tempo funziona all’opposto di una meridiana solare: questa infatti, inclinata in un determinato modo, proietta l’ombra del sole, mentre nel Pantheon è il sole stesso, e non l’ombra, a far funzionare un ipotetico calendario.
Nella costruzione sono rintracciabili anche altri elementi di natura astronomica, come ad esempio le file di 28 cassettoni sulla superficie della cupola. Questo numero non solo corrisponde al numero di giorni del calendario lunare, ma è anche multiplo di 7, numero dalle profonde valenze magico-simboliche (le 7 meraviglie del mondo, i 7 colli, i 7 re di Roma, i 7 pianeti conosciuti nell’antichità o, rimanendo all’interno del Pantheon, le 7 esedre presenti…). 28 è inoltre un numero particolare perché è il risultato della somma dei primi 7 numeri: 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 = 28. Come il 6, il 28 veniva considerato perfetto perché frutto della somma dei suoi divisori: 1 + 2 + 4 + 7 + 14 = 28. La scelta di questo numero sembra essere stata ben ponderata, dal momento che l’evocazione della perfezione e della completezza sembra sposarsi con il concetto della cupola come rappresentazione di una volta celeste, simbolo a sua volta della divinità, ovvero di un’entità perfetta.
Sulla base di queste affascinanti connessioni, ipotesi e fenomeni osservabili ancora oggi, si può concludere paragonando il Pantheon a un ponte, una straordinaria opera di connessione fra il nostro mondo finito e imperfetto e una dimensione diversa e perfetta, tra l’Uomo e un aldilà misterioso e affascinante.