Se Angelica fugge Gabrina invece permane, domina, possiede, incide e “ferisce” il racconto, esprimendo quindi una funzione simbolica alchemicamente di tipo crucifero,“salino” e plumbeo, anche rieccheggiante l’Asino d’oro di Apuleio, altro testo antico apprezzato esotericamente nel rinascimento e citato nella prima scena dipinta. Gabrina non possiede nell’Orlando una vera autonomia soggettiva dal punto di vista narrativo, ma rappresenta uno “snodo rituale”, un meccanismo scatenante. Né incarna il male assoluto in senso morale, ma gode anzi di una propria sacralità: Odorico che la impicca ad un olmo entro un anno viene a sua volta impiccato da Almonio (XXIV, XLV). L’uscita di scena di Gabrina nell’Orlando infine coincide con la follia di Orlando.
Questa ipotesi permette di ricostruire il senso dell’altrimenti eccessivo spazio dedicato ad un personaggio minore, e della sua apparentemente anomala collocazione simmetrica rispetto ad Angelica, aspetto non presente nell’Orlando dove Angelica e Gabrina non interagiscono, e dove Angelica non svolge mai un banale ruolo di allegorica virtù morale. Da Gabrina ad Angelica: dalla Nigredo all’Albedo alchemica. Nel canto XX Gabrina infine viene vestita da giovane, segno della ciclicità trasformativa del tempo, e diventa la Domina rituale di Zerbino. Gabrina che sottrae la cinta dal cadavere potrebbe rinviare al segno alchemico dell’estrazione del sale filosofico dal “caput mortuum”. Pochi passi dopo sarà Orlando, già fuori di sé, in uno stato alterato di coscienza, a ricevere il simbolico bracciale aureo di Angelica dal pastore.
Il secondo microciclo della sala nobile appare chiaramente dedicato all’ariostesca Ginevra, Regina di Scozia. La Ginevra ariostesca non è dissimile dalla Ginevra arturiana; anche nella vulgata e nelle varie versioni del ciclo bretone appare l’episodio di Ginevra ingiustamente accusata e prigioniera a fronte della quale un duello-ordalìa risolve la situazione e lo stesso Ariosto inizia il tema citando la materia arturiana con identificare la selva calidonia con la selva avventurosa della Tavola Rotonda (IV, LI-LIII).
Interessante invece è il possibile parallelismo simbolico fra Ginevra prigioniera e Angelica prigioniera, e fra Ariodante e Rinaldo, entrambi accecati dall’ira e dalla gelosia e salvi per un soffio dalla dissoluzione di se stessi. Un’ allusione al pericolo di uno scarso controllo del fuoco da parte dell’alchimista? A livello di ipotesi alchemica nel primo caso abbiamo la fase della purificazione del mercurio e nel secondo l’estrazione dello zolfo filosofico. Nella quinta figura compare il duplice simbolo alchemico della scala e della luna cinta da stelle, e il motto allude ai pigmei e ad un necessario adattamento/offerta di primizie. In senso alchemico potrebbe avere un senso il termine “primizie”, mentre la tesi della Rajna appare insostenibile nell’ipotizzare un errore di scrittura sull’affresco! Le primizie dei pigmei, cioè della terra, vanno adattate al colosso, cioè ad Ercole, segno solare e nemico, come le gru, dei pigmei, nella mitologia greca. Il fuoco alchemico eleva l’anima degli elementi sulla scala delle trasformazioni, trasmutando la parte più nobile della terra ermetica e facendola salire fino alla congiunzione di Sole e Luna, Uomo e Donna.
Questo ci narra il criptico linguaggio delle opere alchemiche, enigmatico quanto i motti di Palazzo Besta, ma ad essi compatibile più delle stesse narrazioni ariostesche. Non a caso il pittore Dosso Dossi, amico di Ariosto che lo cita anche nell’Orlando, dedicò un opera al curioso tema di Ercole fra i pigmei, come dedicò altre opere al simbolico Dioniso. La coppia notturna sulla scala richiama anche l’’altra coppia ariostesca che, sempre di notte, giace avvinghiata e viene scoperta da Cloridano e Medoro nel canto XVIII: entrambe infatti sono segno alchemico della coniunctio o coagulatio di Sole/Luna, sempre presente nell’immaginario sapienziale e in quasi tutte le opere ermetiche, basti pensare al contemporaneo Rosarium Philosophorum (1550).
La scala è chiaro simbolo dell’opera alchimia nel Mutus liber, in Nicolas Flamel, nel portale di Notre Dame studiato da Fulcanelli e Canseliet, e in molte altre importanti opere ermetiche. Qui compre due volte. La seconda volta la scala appare coronata dalla coppia uomo/donna di Polissero e Dalinda, allusione al coronamento alchemico dell’androgino. Il duello invece si apprezza nel suo senso simbolico leggendolo insieme al motto: “l’oro si prova con il fuoco”. Nell’Aurora consurgens compare l’immagine di due cavalieri analoghi che si muovono in duello con colori antitetici.
Così nella versione valtellinese del duello fra Polisseno e Rinaldo. Il motto allude alla fusione purificatrice degli elementi antitetici sulla via dell’estrazione dell’oro filosofico; e questo è il significato dei numerosi duelli emblematici delle miniature ermetiche.
Oltre a ciò anche le scene di Ginevra sono percorse da un filo “rossoverde” di simbolismo cromatico paesaggistico che attraversa tutto il ciclo a partire dalla prima scena di Gabrina e dai due accennati cipressi. L’ipotesi esoterica connetterebbe alle fasi dell’alchimia (la “viriditas”) proprio il valore rituale e emblematico dei due colori e del loro alternarsi fino alla risoluzione del secco nel verde coincidente con il raggiungimento di una nuova ed superiore Sapienza, scopo dell’Opera alchemica.
Il ciclo di Ginevra va quindi apprezzato nel suo significato in connessione con gli altri cicli. Un ulteriore conferma della libera autonomia con cui viene interpretato, come si nota nell’Ariodante dipinto nudo e rosseggiante mentre si getta nei flutti e nel motto simbolico che ne esalta il rito di passaggio trasformativo che lo rende capace di più alto amore e di maggiore consapevolezza. Alchemicamente può significare il lavaggio dello zolfo mirate ad ottenere lo “zolfo filosofico”. Fra Ariodante morente e Ariodante salvato si erge infatti un albero verde e verticale, (l’unico alberco solitario e del tutto verde insieme con quello della penultima scena) segno di passaggio iniziatico e misterico. Il fatto poi che negli affreschi l’intenzione simbolica superi quasi sempre l’esigenza narrativa e citativa è confermato inoltre dalla maggior enfasi che l’autore mette in questa scena rispetto alla felice conclusione della riunione fra Ginevra e lo stesso Ariodante.
Dalla morte alla vita nuova quindi raffigurata dall’eremita, quale uscita-liberazione dalle ceneri o acque nere della putrefazione/calcinazione durante la cottura della Pietra filosofale. Il segno di Ariodante che sembra annegare e poi risorgere dal mare corrisponde anche all’immagine tipicamente alchemica dell’uomo o del Re che fa il bagno o che entra ed esce dal mare, come si evince da numerose iconografie fra cui ancora l’Atalanta fugiens del Mayer, alle tavole XXV, XXXI, XXXIV, ma più in generale il concetto alchemico diffusissimo della “solutio corporis” o “lavaggio del Re” ben sintetizzato ad esempio nel “Processus sub Forma Missae” di Nicola Melchiorre Cibinense e stupendamente visualizzato nella tavola VIII e XI dello Splendor solis, e nella Philosophia Reformata di Mylius.
L’uccisione di Polisseno da parte di Rinaldo ci parla dell’elemento “terra” donandoci un altra simmetria simbolica stupenda fra la trafittura del suo corpo e la roccia aperta sullo sfondo, segno di resurrezione, di passaggio attraverso l’elemento terra. Le scene sono ricostruibili in tappe in cui viene raffigurata non solo la raffinazione di Mercurio, Zolfo e Sale e l’analogo perfezionamento della cottura della Pietra filosofale, ma pure il modulo dell’attraversamento-superamento-assunzione dei quattro elementi: l’acqua con Ariodante, l’aria con Angelica (Mercurio), la terra (sale/corpo/piombo) con Rinaldo e Polissero, e il fuoco finale che torna alla sua Origine con il carro di Elìa usato da Astolfo: l’Uomo perfezionato sintesi di aria (il grifo) acqua (l’ippo) fuoco (San Giovanni) e terra (il carro), alter ego dell’Ariosto.
Il ciclo di Ginevra presenta altri indizi ermetici in certi dettagli quali ad esempio: la luna piena cinta di stelle, la scala, l’unione di uomo e donna, e il duello liberatore della donna. Il primo elemento, la luna piena cinta di stelle, si rivela appunto elemento non naturalistico, anzi irrealistico, e quindi di valore simbolico. Immagine anch’essa riportabile all’iconografia alchemica, segno di nozze cosmiche e della creatrice eclisse mistica, come si evince ad esempio dall’ opera : Utriusque cosmi –Tractatus primis di Robert Fludd, nel testo “Museum hermeticum reformatum”, Philosofia reformata di Mylius, nel Viridarium Chymicum alla figura XCIX, nello Scrutinium cinnabarium di Godfred Schulz, nell’Alchymia di Libavius, nela Quinta essentia di Leonhart Thurneisser zum Thurn, nell’Atalanta fugiens alla figura XLV. Il simbolo congiuntivo della luna con le stelle compare anche nell’opera “Hori Apollinis selecta hieroglyphica” edita a Roma nel 1597,nell’opera “Pandora” di Reusner del 1588, e nel Viridarium Chymicum di Stolcius alla figura LI.
Anche nel sesto riquadro il significato del motto “lampon iurat per anserem” risulta inesplicabile se il senso è ricercato al di fuori di un preciso codice alchemico. Il Lampone è simbolo di Venere e della grande Madre, “Rubus Idaeus”, e nel monte Ida Venere si unì a Mercurio, mentre l’oca è segno nell’alchimia del Mercurio e delle sue trasformazioni. L’oca era infatti nella mitologia animale sacro ad Hermes, anche in quanto animale psicopompo e sapienziale, ricordato nell’arte del rinascimento quale immagine di Nemesi e di Leda nell’amplesso mistico con Zeus cigno.
Oltre a ciò l’oca, spesso equivalente al cigno e alla gru, è sacra anche alla Luna, ed è ricordata simbolicamente quale animale contemporaneamente di terra, di acqua e di aria. “Il lampone giura per l’oca” si potrebbe interpetare alchemicamente nel seguente equivalente motto ermetico: “Venere (il rosso) si lega per la luna, grazie alla luna (il bianco)”, cioè le nozze fra Zolfo e Mercurio, Sole e Luna, tramite il fuoco amoroso. L’oca simbolicamente reca l’uovo cosmico e alchemico, come nella mitologia egizia di Amon Rà e Osiride, cioè la Pietra filosofale. Si tratterebbe quindi di un motto che allude ad una fase di coagulazione.
Persino nell’antico “Gioco dell’Oca” Fulcanelli vi riscontra sensi esoterici considerandolo un labirinto alchemico incentrato sul Mercurio. Il sangue rosso della bianca Oca poi, nel Perceval di Chretien, ferita dal nero rapace, e macchiante la bianca neve, induce l’estasi meditativa nell’eroe arturiano aprendogli simbolicamente il Castello di Artù dove riceverà l’investitura e inizierà la cerca del Graal. L’oca nella mitologia, oltre ad accompagnare Apollo Iperboreo, rivela anche Giove e Mercurio.
Un opera di Bartolomei Suardi detto il Bramantino (part., 1465 circa-1530) racconta il mito, narrato anche da Ovidio, nelle Metamorfosi (VIII, 626-724), secondo il quale Filemone e Bauci ospitarono nella loro capanna due pellegrini scacciati da tutti, sotto le cui spoglie si celavano giove e Mercurio. Fu l'oca dei due anziani coniugi a consentire la rivelazione della vera identità dei divini viandanti. L’oca quindi quale simbolo di un legante o catalizzante alchemico. In tal senso i motti potenziano il senso esoterico delle scene: il settimo riquadro continua e completa l’allusione ermetica del quinto: ricompare il frontone con il segno del fuoco /zolfo e si ha il coronamento dell’unione bipolare in cima alla scala.
Si raggiunge un primo traguardo nell’Opera trasmutativa della materia prima. Come l’unione di Angelica e Medoro fa sorgere la folle furia in Orlando così l’apparente unione di Ginevra e Polinesso porta alla furia distruttiva Ariodante. Nell’ottava scena il motto potenzia il senso del passaggio simbolico attraverso le acque della morte, alchemicamente le acque nere della putrefazione, cioè l’uscita definitiva dalla fase dell’”Opera al nero”.
Altrimenti non si capirebbe il perchè del termine “supremum”, tradotto dalla Rajna come “per l’ultima volta”. La Ginevra spoliata della dignità regale e imprigionata della scena nona anticipa l’Angelica nuda e legata alla roccia, e potrebbe manifestare il senso della denudazione/liberazione/purificazione del mercurio. La decima scena: il duello alchemico fra bianco e nero, cioè la fase di passaggio dall’opera al nero all’albedo. Qui il motto è chiaro: “’l’oro si prova con il fuoco”, frase biblica e sapienziale, mistica e alchemica: l’Opera è nozze ma è anche battaglia fra gli elementi per una loro purificazione.
Lo sfondo del duello simbolico esprime il senso della Resurrezione nella simmetrica corrispondenza fra una chiesa verso la quale và un processione femminile e la caverna/monte cavo, segni antirealisticamente non presenti nella scena precedente, pur di medesima ambientazione, e quindi fortemente simbolici. La trafittura e il dominio della terra purificata si corona con le nozze, come ogni fase alchemica.
Ecco come tentare di riassumere il percorso simbolico dei dipinti: dopo il trattamento del fuoco alchemico (le gru-cicogne, le candele e i simboli architettonici dello zolfo e del sole) e del sale (Gabrina) che deve subire la terra-pietra-asino-umanità, vincendo la resistenza della passività inerte del tellurico Polinesso, il Mercurio nascosto si rivela uscendo dalla terra (le donne liberate) mentre nel contempo lo zolfo viene a sua volta pulito e liberato dalle acque di morte (Ariodante) e purificato nel fuoco e dal fuoco (Ruggero) per giungere alle nozze ermetiche e al rebis rappresentato dal lupo ibrido di leone e volpe e dal capitano trionfale e dionisiaco.La Scala e il Re affogato corrispondono alle tavole VI e VII dello Splendor solis.
Importanti sono anche i cromatismi e gli elementi decorativi degli edifici nelle scene di Ginevra. I due palazzi, vermiglio e bianco, potrebbe alludere al distacco del mercurio dallo zolfo, e infatti il palazzo vermiglio con porticato, nella prima scena di Ginevra, reca la ricorrente e non casuale immagine del “cerchio puntato”, segno dell’Oro/Zolfo/Fuoco; mentre simile segno ritorna appena dopo nel primo palazzo sotto la forma del sulfureo frontone nella scena in cui entrambi gli edifici appaiono invece stranamente candidi. Anche i motivi dell’arco architettonico-vegetale, con al centro una specie di grotta alchemica, che unisce i due palazzi, e della finestra ad arco dell’ultima e terza scena della storia di Ginevra non appaiono irrilevanti.
Nella terza scena addirittura il palazzo vermiglio sparisce mentre il primo palazzo appare ora per metà vermiglio e per metà bianco, allusione all’unione di Zolfo e Mercurio, ripresa anche dall’unione di Polinesso con Dalinda. Vediamo come la stessa ambientazione scenica viene ancora una volta trasformata con precisione simbolica al di là di ogni rilevanza narrativa o giustificazione prosaico-razionalistica, come in un tacito dialogo con gli altri segni della scala, della luna solare stellata, metà piena e metà a falce, e dell’Uomo-Donna.
L’arco aperto ricorda il monte aperto nella scena successiva dell’uccisione di Polinesso, via di attraversamento alla fase trasformativa seguente. Il ciclo nel suo complesso può leggersi anche attraverso il superamento dei quattro “elementi” (o meglio principi vivificanti), similmente a come Franco Picchio ha studiato l’assalto di Rodomonte a Parigi quale percorso simbolico. Polinesso è nome che richiama allusivamente l’anagrammatico “Polisseno”: nome anch’esso dai molteplici echi esoterici: figlio di Giasone, emblema tradizionale con Eracle dell’alchimista vittorioso e dell’alchimia stessa, e Medea, una Gabrina ante litteram, si racconta svanisse in una magica nube con Medea alla fine del suo ciclo, e l’Inno omerico a Demetra ci narra di un Polisseno iniziato ai misteri eleusini di Demetra. Alchemicamente quindi l’uso dell’immagine, seppur anche ariostesca, di Polisseno, concorda con il nostro associarlo simbolicamente alla terra e alla morte iniziatica.
Abbiamo infine il Polisseno principe greco pretendente di Elena e partecipe della spedizione contro Troia, ultimo epos mitico dell’occidente precristiano. La parte del ciclo ariostecamente più celebre risulta dedicata non a caso non a Orlando, ma ad Angelica, il cui microciclo segue quello di Ginevra-Polinesso-Ariodante. La sua figura si rileva nei dipinti, come nel testo, fortemente simbolica, e così sarà per tutta l’eredita di influenza ariostesca sull’arte italiana. Angelica ci ricorda l’”Atalanta fugens” del Majer, simile infatti alle molte simboliche ninfe fuggenti dell’antichità mitologica, presenti anche nelle Metamorfosi, segno del Mercurio volatile o argento vivo, che deve essere fissato dallo Zolfo nelle “nozze alchemiche”.
Angelica infatti è forse l’unica costante dell’Orlando con le sue imprendibili ed enigmatiche fughe e il senso unitario dell’opera insta proprio nella liberazione di Orlando dal folle inseguimento di Angelica e l’unione della stessa con Medoro, cioè ermeticamente, il controllo del Mercurio per giungere al compimento dell’Opera, visualizzata appunto dal segno delle nozze, dell’unione “maschio/femmina, sole/luna”.
Per l’alchimia il Mercurio deve essere “trattato”, purificato ed estratto per divenire il “Mercurio filosofico” o “Materia prima” dell’Opera e così appare Angelica liberata da Ruggero: dipinta nuda, cioè pura, e biancorosea, i colori della trasformazione alchemica, i colori del Cantico dei Cantici, e raffigurata vicino a una pietra bianca con in cima dell’erba verde e rossa: la terna cromatica del successo dell’”Albedo” o sbiancatura o prima tintura. Non appena viene “liberata” si allontana su un mostro che arde come lo zolfo; abbracciata al fuoco Angelica fugge dallo sperso Ruggero, figura simile al successivo Rimando il quale viene poi salvato a sua volta dall’idra mortifera della gelosia, segno alchemico delle acque morte o caos degli elementi dell’Atanor, da un cavaliere tutto fuoco, altro simbolo dello Zolfo spirituale.
Ogni scena quindi è configurabile quale sequenza che sì rieccheggia l’Orlando ma a sua volta esprime e narra un percorso iniziatico/alchemico esistenziale. Angelica che si invola dal liberatore Ruggero in groppa ad un essere sulfureo inventato per l’occasione può rinviare alla fase alchemica dell’”evaporazione o prima sublimazione. Le stesse evoluzioni cromatiche nel viso e nei vestiti di Olimpia, Isabella e Angelica, giocatensi fra i colori alchemici nero bianco e rosso, risultano ermeticamente allusive, come ha abilmente indagato il Porf. Franco Picchio. Nel motto relative alla fuga di Angelica liberata il riferimento all’idra forse può avvallare la tesi di un riferimento alla fase alchemica dell’evaporazione o distillazione della passività umida radicale dei metalli. Nella tradizione alchemica il mercurio è sempre visualizzato, in quanto principio femminile e volatile, utilizzando segni femminili.