Le parole in origine erano incantesimi, e conservavano intatta la forza primordiale del suono, del verbo che crea e dà sostanza alla realtà immaginata. Tutte le forme di magia hanno custodito l’energia segreta della parola, così come hanno fatto quelle più arcaiche di medicina magica.
I primi medici sono stati i sacerdoti e gli sciamani, che con il simbolo avevano grande familiarità. La consapevolezza della natura simbolica della malattia richiedeva doti di profonda capacità di osservazione e interpretazione della realtà, che intessevano un dialogo complementare alla conoscenza delle risorse della terra e della sua farmacia spontanea al servizio dell’uomo: questa era densa di significati magici e veniva onorata da riti di raccolta accompagnati dal segreto controcanto della preghiera. Herba et verba sono stati i pilastri su cui si è costruito l’orizzonte della medicina magica, confluita in seguito nel vasto bacino del sapere popolare. Il soffio della parola incantata era il mezzo di attivazione del principio terapeutico insito nella natura: un’espressione divina che prendeva forza proprio dalla sinergia tra farmaco e incantesimo, strumenti dotati della capacità intrinseca di agire in senso trasformativo.
Di questo primitivo approccio religioso anche la filosofia greca si è avvalsa per formulare la sua riflessione sulla salute dell’uomo. Ne parla Platone nel dialogo intitolato Carmide, dove Socrate rivela di essere a conoscenza di un rimedio contro il mal di testa che consiste in un farmaco efficace solo se accompagnato da una formula magica. Per Platone, dunque, l’anima e il corpo si curano con gli incantesimi, ma questi altro non sono che “i discorsi belli”, cioè la filosofia, che fortifica l’uomo e lo educa alla virtù. Uno stupendo omaggio al potere delle parole, alla loro originaria capacità di suggestione e alla loro valenza terapeutica. “Bisogna curare in primo luogo e soprattutto l’anima, se si vuole che siano in buona salute sia la testa sia il resto del corpo. E l’anima si cura con certi incantesimi, e questi incantesimi sono i bei discorsi, e da questi discorsi si genera nelle anime la temperanza. E una volta che questa sia nata e sia presente, allora è più facile ridare la salute alla testa e al resto del corpo”. Insomma, non è possibile curare il corpo senza curare prima l’anima: con sottigliezza e ironia Platone anticipa concetti attualissimi che che oggi la medicina e la psicologia stanno riportando alla ribalta, e ci ricorda che in origine medicina e filosofia coincidevano.
Nei testi medici di epoca classica si trovano ancora molti esempi di formule terapeutiche, che provano la sopravvivenza di residui del più antico approccio religioso anche nella tradizione colta, la quale continuò a lungo a inglobare l’ampio orizzonte magico precedente. La medicina pitagorica, per esempio, ha fatto largo uso del potere del suono: l’ausilio della litania incantatoria era parte integrante dell’“offerta terapeutica” e aveva la funzione di rivitalizzare procedure che garantivano la funzione connettiva fra la dimensione invisibile e il mondo reale. La parola aveva anche valore di esorcismo, in linea con la convinzione che la malattia fosse il risultato di uno stato di disequilibrio alterato dall’intervento di forze avverse, e che questo meccanismo fosse mosso da un’intrusione esterna, una volontà antagonista, un malocchio. In risposta a questa azione ostile, l’intervento curativo aveva il compito di espellere, oppure di sciogliere, qualunque nodo o legamento.
In un passo del De Agricultura di Catone si trova un incantesimo per ricomporre una frattura o una lussazione associato a un rito di magia terapeutica: una formula che presenta termini misteriosi e indecifrabili accompagnati da gesti emblematici ed evocativi della rottura dell’arto e del suo riassestamento, riprodotti per magia imitativa. Ma nei trattati antichi è possibile trovare molti altri esempi di rimedi che prevedono il ricorso a formule magiche, amuleti e incantesimi: ed è nel III secolo, tra le pagine del “Liber medicinalis” di Quinto Sereno Sammonico, che fa la sua comparsa il primo “abracadabra”, che di fatto si rivela essere un talismano terapeutico.
L’antico paradigma dell’incantare ha attraversato indenne il passaggio dal paganesimo alla cristianità, trovando forme di accomodamento che ne hanno consentito la sopravvivenza. Le preghiere agli antichi dèi hanno lasciato spazio a un nuovo breviario, dove ad assumere il patronato dell’universo vegetale sono i santi, Gesù o la Vergine Maria. Nel medioevo, nelle tradizioni di medicina popolare sono sopravvissute memorie in parte inconsapevoli delle antiche preghiere rivolte alle stelle o alla luna e delle invocazioni alle erbe, residui di liturgie perpetuate da un riproporsi ininterrotto. La commistione di elementi di dottrina colta, sapere erboristico e magia sarebbe rimasta la cifra peculiare dell’intera tradizione europea medievale, in una ricca miscellanea di approcci e tradizioni, fatta di rimedi erboristici, incantamenti e formule di guarigione.