A distanza di quasi due anni dall'uscita di Granchite Yumtruso, Massimo Ruberti presenta la seconda parte di questo fascinoso lavoro discografico. Malgrado la suddivisione – dettata per lo più da esigenze interne all'etichetta di distribuzione, la palermitana Nostress – si tratta di un lavoro unitario e organico, un concept che riprende il discorso esattamente lì dove era stato sospeso in precedenza. Le atmosfere, infatti, sono le medesime del primo disco, esotiche e raffinate, malinconiche e avvolgenti, eteree e imprevedibili, intensificate e arricchite dal sax di Fabio Leonardi, dalla voce di Ada Doria e dagli arrangiamenti orchestrali di Roberto Mangoni.
Massimo ama chiamarsi «trafficante di suoni» e spiega come le definizioni del verbo 'trafficare' si adattino favorevolmente al suo modus operandi di musicista: «I dizionari riportano di solito tre accezioni per questa parola, e in tutte e tre io mi ritrovo benissimo: innanzi tutto, in senso strettamente etimologico, dal catalano trafegar, il significato di travasare o spostare da un luogo all'altro; poi quello di esercitare traffici non leciti, disonesti o poco chiari; e infine quello di darsi da fare, affaccendarsi, occuparsi in una serie di operazioni, di lavori, in modo affannoso e disordinato».
Ed è sufficiente ascoltare una prima volta i brani che compongono l'EP per capire quanto tale affermazione corrisponda alla realtà. Le impressioni ricevute dal primo capitolo, infatti, vengono immediatamente confermate dall'assimilazione di questo Granchite Yumtruso Pt. 2, dalla sua capacità di trasportare in un mondo lontano e inquieto, dove convivono tradizione e innovazione, primitivismo e intelligenza artificiale, strumenti acustici e sintetizzatori, laddove un caleidoscopio di folgoranti intuizioni sonore riesce di volta in volta a produrre e cesellare infinite combinazioni timbriche, melodiche, dinamiche...
Al dittico Wilderness / Falling è affidato l'incarico di aprire il disco, e non poteva esserci inizio programmaticamente migliore: un vento sintetico si abbatte sull'ascoltatore, e subito fanno capolino una serie di stratificazioni che riempiono ogni possibile interstizio e danno vita a un amalgama ritmico-armonico senza soluzione di continuità; si passa così al secondo movimento, scandito da un gelido quanto seducente gocciolio elettronico, al quale si aggiungono mano a mano gli echi di una voce lontana e i ricami timbrici del sax.
L'incanto prosegue nel successivo Green Cave / Invocation, dove il percussivismo si fa più sostenuto e ancora più intricate le trame etno-psichedeliche degli strumenti. È un viaggio attraverso territori in parte da esplorare, alla scoperta di paesaggi ignorati, ambienti pregni di misteriose lusinghe, di miraggi, di simboli arcani da svelare. Seven Towers Winged Children continua a fondere temi e tradizioni, sommando ingredienti ulteriori che sanno di antico ma che profumano allo stesso tempo di moderno, addirittura di futuristico. E così, agli iniziali rintocchi si connettono e si intrecciano suoni e sapori disparati: contrappunti di voci lontane, di mani che battono, di ali che frullano, sino a un inaspettato glissando verso spazi astratti e siderali. Il finale del disco è affidato al brano Cosmic Egg Travelling Blues, dove ancora una volta a trionfare è una libertà espressiva totale, un'autonomia in grado di fondere le suggestioni mistiche dei Popol Vuh con le eleganze formali dei Dead Can Dance, ma soprattutto in grado di mantenere intatta e al di là di ogni possibile paragone una propria meravigliosa identità stilistica.
Se si dovesse lasciare soltanto a una metafora il compito di rappresentare figurativamente Granchite Yumtruso Pt. 2 – ma lo stesso potrebbe dirsi anche del capitolo iniziale – questa non potrebbe che essere l'immagine di un paesaggio esotico e sconosciuto, in cui elementi eterogenei e talora familiari coincidono all'interno di una stessa inedita prospettiva, salvo poi cambiare repentinamente e rifondersi da capo come le parole e le storie dell'Eufemia descritta da Calvino, «la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio».