Firenze. Sarebbe entusiasmante se nessuno l’avesse mai definita la culla del Rinascimento. Lo potremmo fare noi. Ma ci è andata male: su Firenze è stato detto il dicibile da secoli e le frotte di visitatori che la invadono ormai dodici mesi su dodici, abolita la pausa novembre-gennaio “in vigore” fino a un paio di anni fa, testimoniano che la città-capolavoro esercita un fascino inscalfibile.
Ai fiorentini dispiace che i viaggiatori non siano più quelli consapevoli del Grand Tour, che si godevano con calma ogni fiore dipinto dal Botticelli, ogni tralcio di glicine delle colline da Fiesole al Pian de’ Giullari, ai quali non veniva in mente di cercare la Torre di Pisa accanto alla Cupola del Brunelleschi, e avviliti, criticoni e auto-critici ammettono che la dozzinalità è sì legata ai superficiali tempi tecnologici, ma anche alla comodità di svendersi. Di sfruttare gli allori antichi senza darsi pena di rinverdirli.
Una settimana tragica ha invece dimostrato che Firenze è straordinaria ancora oggi, proprio nei giorni che avrebbero potuto segnare la disfatta di una cittadinanza.
La mattina del 4 marzo, a Udine, non si è svegliato dal suo sonno di atleta trentunenne Davide Astori, capitano della Fiorentina. La mattina del 5 marzo Idy Diene, 53 anni, è stato ucciso sul Ponte Amerigo Vespucci da un aspirante suicida che non trovando il coraggio di farsi fuori, ha sparato a un altro. Quest’altro, era l’altro per antonomasia: uno straniero, un venditore ambulante senegalese. Sullo sfondo le elezioni che sanno di anti-politica e, probabilmente, porteranno all’ingovernabilità del Paese o a una governabilità che il presidente della Repubblica dovrà inventarsi.
Devastato da queste due morti che tanto significano, per l’età di Davide e il suo ruolo di guida nella squadra, per la nazionalità di Idy e l’inestirpabile minaccia del razzismo, il popolo di Firenze, ha buttato nell’Arno la realtà virtuale, ha rifuggito le meschinità, i pretesti di divisione e si è consegnato al dolore con una dignità, un’umanità, una compattezza, un buon gusto che evidentemente riposavano sotto i cumuli dei brutti gelati delle vie turistiche e di certe avarizie mentali (e non solo) da città piccola-immensa e immensa-piccola. Come se la civiltà che ancora illumina a sprazzi la vita quotidiana di Firenze non sia solo un residuo, ma una possibilità di futuro.
Ai funerali di Astori in Santa Croce, giovedì 8 marzo, e alla prima partita della Fiorentina allo stadio Franchi, senza di lui, domenica 11, la folla era formata da persone, non da pecoroni, e non aveva dunque i difetti della folla, quella brutalità e quell’ottusità così temibili, ma la solennità dell’unione. Una folla di colore viola, bella, che ha saputo stare zitta durante il minuto di silenzio, che ha sentito il desiderio di stare zitta, non per obbedienza a una decisione scontata, ma per il rispetto nei confronti di un uomo giovane dallo sguardo inequivocabile il cui ricordo non è stato aggiustato a causa della scomparsa prematura. Era davvero di valore, Asto.
Alla manifestazione per Diene, sabato 10, i fiorentini e i senegalesi-fiorentini hanno sfilato insieme schivando i numerosi trabocchetti della situazione. Insieme davvero, come nel sogno di Martin Luther King: la vittima non era nera e l’assassino non è bianco. Una vittima e un assassino. I fiorentini in corteo non erano i privilegiati, condiscendenti verso i poveri immigrati, che prendevano le distanze, con atteggiamento solidale e democratico, da quei buzzurri di connazionali xenofobi che votano male.
I senegalesi-fiorentini hanno tenuto a dire che Idy era persona di pace e “non vogliamo fare casino”. La rivolta c’era stata subito dopo l’omicidio, una rivolta durata le ore necessarie per capire, dopo persecuzioni secolari, che, a prescindere se l’assassinio fosse di matrice razzista o no (l’uccisore Roberto Pirrone sostiene di aver sparato a caso, qualcuno pensa che sia stato grato al caso ad avergli messo davanti un nero perché, magari inconsciamente, questo facilita il compito) non aveva fatto fuoco Firenze, ma un individuo. Durante la protesta, i senegalesi avevano distrutto anche alcune fioriere delle strade del centro storico. Hanno deciso che le ripagheranno. Educati, cresciuti da Leopold Senghor. Le fioriere, tra l’altro, appartengono anche a loro.
C’è poco da illudersi nella vita, ma questa è la cronaca fedele della settimana dal 4 all’11 marzo a Firenze.