Dal 1 al 18 Febbraio è stato possibile visitare al Teatro Anatomico dell’Archiginnasio di Bologna l’opera Transanatomy dell’artista Roberto Pugliese, a cura di Felice Moramarco, esposizione realizzata all’interno della sesta edizione di ART CITY Bologna, il programma di iniziative istituzionali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere. Transanatomy ci parla fin da subito di dicotomie e impossibilità. Nella splendida cornice seicentesca del Teatro Anatomico giace sul tavolo Equilibrium Variant, composta da due bracci meccanici fissati su un supporto in plexiglas e posizionati uno di fronte all’altro.
Siamo subito attratti da una misteriosa danza, da un cyber dialogo, ma non ne scorgiamo l’epilogo. Un eterno movimento. All’estremità dei due bracci sono rispettivamente posizionati uno speaker e un microfono. Il dispositivo meccanico è stato programmato per trovare la posizione dei due bracci che consenta all’interazione tra il microfono e lo speaker di produrre un suono stabile, che - e qui nasce l’impossibilità - tuttavia non può essere prodotto a causa dell’effetto Larsen.
Piccola parentesi sul Larsen Effect, come spiega l’artista: “L’effetto Larsen è il suono stridente prodotto da un altoparlante in prossimità di un microfono. Questo è causato dall’amplificazione del suono prodotto dall’altoparlante, captato dal microfono e quindi ulteriormente amplificato. La dinamica circolare che si innesca è potenzialmente infinita, ma si scontra con il limite fisico dell’altoparlante, incapace di produrre suoni oltre una certa frequenza”.
Quale posto migliore dell’antico Teatro Anatomico bolognese per ospitare un’opera in grado di riflettere sui limiti umani e quelli tecnologici? Per dissezionare la fusione sempre più incontrollata tra natura e artificio. È ormai ben noto a tutti quanti la deriva tecnologica alla quale siamo quotidianamente assoggettati. La distopia è dilagante, tant’è gli episodi della serie Black Mirror ne sono ormai un eloquentissimo esempio. L’ibridazione uomo-macchina e le situazioni che ne derivano sono ormai un argomento caro all’uomo da già un secolo, un oggetto di riflessione basilare per tanti artisti delle Avanguardie artistiche sia di inizio che metà Novecento. Come ben racconta Felice Moramarco: "Transanatomy offre uno sguardo immediato sul processo di ibridazione in corso: un’immagine dell’anatomia del corpo del postumano".
E ancora: “L’inquieto e articolato movimento dei due bracci meccanici, tesi alla ricerca di un equilibrio impossibile da ottenere, intercetta una dinamica fondamentale di tutta la cultura occidentale: la drammatica tensione verso l’assoluto e l’immutabile, il disperato tentativo di porre fine alla storia e alla sofferenza umana, si concludono con la tragica consapevolezza dell’assenza del punto risolutivo. L’equilibrio non esiste. Esiste solo il movimento che conduce ad esso”.
La capacità quindi di Transanatomy è struggente quanto lirica e profetica, onesta nel ritrarre e rappresentare una parte di realtà che anziché appartenere al futuro sceglie l’istante e l’adesso, così complesso e mutevole, più veloce di qualsiasi umana comprensione. Il contemporaneo è rappresentato nell’impossibilità di un abbraccio finale, come una storia che non può e non deve terminare. L’impossibilità genera la capacità della ripetizione, senza alcuna arrendevolezza, come una costante tensione necessaria alla storia del futuro.
Il movimento inscenato tramite feedback sonori di Equilibrium variant è come una lotta, una danza, una coreografia dettata soprattutto dal contesto e dall’ambiente, elementi che Pugliese tiene sempre presenti nelle sue opere. Roberto Pugliese, classe 1982, è una artista sonoro e docente di musica elettronica presso il conservatorio di Bari. La sua ricerca artistica scivola tra i sottili e difficili confini di sound art e arte programmatica e cinetica. È indispensabile sottolineare di come però per l’artista sia indispensabile anche l’elemento visuale, si può infatti affermare che le installazioni di Pugliese siano autentiche partiture visive, da leggere e ascoltare.
Suono-materia e spazio sono un trittico imprescindibile per l’artista che utilizza apparecchiature meccaniche regolate a software in grado di interagire con l’ambiente in cui l’opera è posizionata. Pugliese è meticoloso, studioso, attento, matematico, alchimista, scienziato, ingegnere, dallo sguardo mobile di un esploratore dell’effimero concreto come il suono. Per il suo lavoro è doveroso ricordare i numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali: il Premio Fondazione VAF (2016), la menzione d’onore per sound art e musica di Ars Electronica (2013) e la menzione speciale Vida 14 dalla Telefonica Fundaciòn (2012).
Pugliese ama l’elemento tecnologico ma anche il dato naturale, basti pensare ad altre sue opere dove il connubio artificio-natura si confronta sempre sotto l’effigie della sperimentazione sonora: tronchi di alberi, in Concerto per natura morta, ceramica per Risonanti pressioni materiche, o liquidi contenuti in bottiglie di vetro come quelle dell’olio o del vino in Fluide propagazioni alchemiche; Pugliese inoltre rende i cavi e i diffusori come elementi organici, come prolungamenti naturali di quel sentire artificiale. Arterie vibranti di una sonorità espansa. L’artista a dimostrazione dell’attenzione che nutre verso l’aspetto visuale, del rigore, della forma, delle proporzione, riesce a creare per le sue installazioni (spesso composte da autentici e numerosi strumenti come archi o violini) una calibrata sinestesia, delicata, concettuale, essenziale, ridotta, ma precisa e puntuale con l’universo narrato e sospeso tra passato e futuro in cui Pugliese magistralmente ci proietta.
Come definiresti l’essere artista?
Di solito paragono l’essere artista a una malattia genetica, ci si nasce, non è una scelta. L’artista è colui che riesce ad immaginare punti di vista differenti da quelli comuni; l’individuo che fagocita avidamente tutto ciò che lo circonda per poi vomitarlo secondo la propria personale sensibilità.
Che ruolo dovrebbe avere o ha nella società contemporanea l’artista, oggi?
Credo che il ruolo dell’artista debba essere quello di far porre degli interrogativi a chi osserva le sue opere. Ci sono molti modi per farlo, c’è chi usa l’estetica, chi l’interazione, chi l’arroganza, altri la tecnica o la politica. Non credo sia importante il come arrivi al suo obiettivo purché ci arrivi. Altro discorso è la qualità degli interrogativi indotti, è lì che ogni artista crea il suo territorio d’indagine. Credo fermamente che l’arte sia un’estrema necessità di comunicazione e quindi l’artista non può che essere un comunicatore.
Quanto reputi sia importante l’ambito della formazione (dalle Università alle Accademie) per un artista? Mi racconti come sono stati i tuoi anni da studente?
L’ambito della formazione è fondamentale. Il ruolo del docente dovrebbe essere quello di percepire le predisposizioni e le inclinazioni dello studente per indirizzarlo e seguirlo nella sua crescita artistica portandolo ad elaborare una ricerca personale. Credo inoltre che il compito del docente debba essere anche quello di istruire lo studente affinché possa districarsi nel complesso sistema dell’arte contemporanea, comprendendo il ruolo di tutte le figure che lo compongono e le leggi che ne manovrano il mercato. Altro tasto dolente è quello relativo alla qualità dei docenti; molti docenti non hanno mai avuto realmente una carriera artistica e quindi oltre ad avere un discutibile valore professionale non conoscono le dinamiche del settore. Io ho studiato informatica alle scuole superiori e parallelamente musica. Una volta diplomato mi sono iscritto in conservatorio per studiare percussioni, percorso che si è interrotto quando ho capito che era possibile fare musica attraverso l’informatica. Ho quindi deciso di iscrivermi al corso di musica elettronica dove ho avuto la fortuna di studiare con Agostino Di Scipio, compositore e didatta straordinario. A lui devo molto per la sua preparazione, per la sua sensibilità e per la ventata di innovazione che invade gli studenti che partecipano alle sue lezioni. Avere un docente riconosciuto internazionalmente e di ampie vedute ha fatto un’enorme differenza.
Come ti sei avvicinato all’arte?
Ci sono stati due avvenimenti principali. Il primo a 10 anni al Centre Pompidou di Parigi dove subì una forte fascinazione e curiosità. Il secondo durante la mia formazione. Sono stato studente in un momento di riforme cruciali per il conservatorio. In quel periodo militavo in un gruppo di politica studentesca e dato che i conservatori e le accademie di belle arti hanno uno statuto molto simile ho iniziato a frequentare l’Accademia di belle arti di Napoli per delle assemblee. In quelle occasioni ho conosciuto degli studenti con i quali ho iniziato le prime collaborazioni realizzando musiche per alcuni video d’arte e sonorizzazioni per installazioni.
C’è qualcosa (un brano musicale, un testo teatrale, un film) o qualcuno (poeta, attore, regista, musicista, architetto, o artista visivo) che ti ha ispirato o ti ispira maggiormente?
La lista sarebbe davvero molto lunga… Per quanto riguarda la musica mi sono avvicinato all’elettronica grazie ai Kraftwerk, Bjork, i Mouse on Mars, Aphex Twin, per poi conoscere, studiando in conservatorio, la storia della musica elettotroacustica e apprezzare Cage, Varese, Stockhausen, Pierre Schaeffer, Luigi Nono, Barry Truax, Iannis Xenakis, ecc., ecc., arrivando anche alla musica elettronica sperimentale non accademica come quella degli Organum, dei Machine for making sense, dei Noise temperature, ecc. L’amore per il teatro sperimentale nasce grazie ai Raffaello Sanzio che seguo da diversi anni. Il cinema richiederebbe un’analisi a parte ma tra i diversi generi sono maggiormente attratto dal Cyber Punk. Amo molto anche le architetture di Carlo Scarpa, Frank Gehry, Renzo Piano, Alberto Campo Baeza e molti altri. Tra gli artisti visivi, Olafur Eliasson, Tomas Saraceno, Anish Kapoor, Tamara Repetto, Donato Piccolo, Alessandro Sciaraffa, Emilio Scanavino, Iannis Kounellis, Jorinde Voigt, Marina Abramovich, Arthur Duff e tanti altri.
Se dovessi stilare una top ten di opere d’arte (anche qui dal teatro al cinema alla danza alla musica) quali sono i tuoi “must have”?
Anche in questo caso l’elenco sarebbe enormemente più lungo e la lista di seguito non è e non vuole essere una classifica:
Olafur Eliasson The weather project
Raffaello Sanzio-Scott Gibbons The Cryonic Chants
Anish Kapoor Cloud Gate
Ridley Scott Blade Runner
Tomas Saraceno Stillness in Motion – Cloud Cities
Martin Heidegger Filosofia e cibernetica
Agostino Di Scipio Hörbare Ökosysteme: Live Elektronische Kompositionen 1993-2005
Iannis Xenakis La legende d’Eer
Terry Gilliam Brazil
Carlo Scarpa Il tumulo Brion
Da artista-critico, come definiresti/racconteresti Transanatomy, tenutasi al Teatro Anatomico dell’Archiginnasio di Bologna questo febbraio?
Transanatomy è nata da una visione di Felice Moramarco, giovane curatore che studia alla Goldsmiths di Londra e che segue la mia ricerca da diversi anni. La sua idea è stata quella di confrontare la mia opera Equilibrium Variant con il valore simbolico ed estetico del Teatro Anatomico di Bologna, uno dei luoghi simbolo della tradizione umanistica occidentale. L’opera presentata è costituita da due bracci robotici che cercano di trovare un punto di equilibrio mediante un feedback audio anche noto come fenomeno larsen. Il larsen è un fenomeno che strutturalmente non può avere un equilibrio quindi i due bracci in questione lo cercano senza mai trovarlo. Dato che il feedback è un processo presente all’intero di tutti gli esseri viventi l’opera è come se prendesse vita, appare come un organismo vivente dai movimenti sinuosi e armonici. È quindi il contrasto tra la filosofia di origine umanista che trasuda vividamente dai bassorilievi e le sculture in legno del Teatro anatomico e il freddo metallo dell’opera cibernetica che incarna il post-umanesimo il soggetto principale della mostra. Un dialogo tra passato e presente che mira ambizioso al futuro.
Che rapporto hai con la città in cui vivi?
Vivo a Bari da poco più di un anno perché sono stato chiamato a insegnare Multimedialità nella scuola di musica elettronica del conservatorio. È una città molto viva e piena di energia nella quale stanno nascendo molti spunti decisamente interessanti come quello della scuola Open Source, una realtà multidisciplinare costituita da giovani di diversa formazione che realizzano corsi e workshop legati anche al design e all’arte chiamando professionisti e intellettuali da tutta Europa. Per quanto riguarda l’arte contemporanea come purtroppo avviene in tutto il sud Italia ci sono pochi luoghi di aggregazione e un unico Museo d’arte contemporanea stabile in tutta la Puglia, ovvero la Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea attuale?
Penso che riservi troppe energie al gossip e poca attenzione alla ricerca degli artisti. È un sistema estremamente complesso e articolato sorretto da speculazioni e strategie che l’artista contemporaneo deve necessariamente comprendere e che sottraggono tempo ed energia alla sua ricerca.
Giunti al termine di questa conversazione, agli artisti faccio sempre una domanda … Cosa vorresti che ti chiedessi?
Vorrei che mi chiedessi di parlarti dei miei nuovi progetti e soprattutto di quelli irrealizzabili.
Ultima domanda, giuro. Se chiudi gli occhi in questo istante descrivici l’immagine che vedi (se la vedi).
Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.