Sembrava una città mai vista, un’alternanza di bianchi e neri apparentemente disposti senza regole. Nessuna forma era riconoscibile, quel quadro però al piccolo Claudio gli raccontava di un nuovo mondo. Si trattava di un’opera di Vedova esposta alla Galleria d’Arte Moderna (oggi GAM) di Torino. Era la primavera del 1974 e di fronte a quel quadro si trovava un ragazzino di 11 anni in mezzo a una scolaresca: Claudio Bellino.
Immediatamente chiese alla professoressa in che modo si poteva realizzare un quadro simile e una volta rientrato a casa corse in cartoleria a comprare le spatole. Iniziò immediatamente a dipingere cercando di emulare il suo nuovo eroe utilizzando fiumi di colore a tempera. Vedendo quanto colore aveva preso a consumare la professoressa iniziò a rifornirgli del materiale per aiutarlo a continuare questo nuovo percorso. L’anno successivo partecipò alla Biennale Studentesca d’arte di Roma. Ricevette una lettera di congratulazioni perché tre sue opere si piazzarono tra le prime dieci posizioni. I disegni furono venduti e l’incasso devoluto in beneficienza.
L’estate di quell’anno suo padre fu portato via da un infarto e la sua scomparsa influì sul prosieguo degli studi del giovane Claudio. A Torino, in quegli anni con un diploma di Perito Industriale era semplice trovare impiego e così scelse una strada diversa da quella artistica.
Claudio nasce a Torino il 21 di giugno del 1963 e la sua vita può essere suddivisa in due fasi ben distinte. Durante la prima parte il giovane è rapito dai suoi pensieri e dai suoi sogni e dalla velocità con la quale gli eventi succedevano nella sua testa. Un periodo di completo e totale rapimento, dell’irrazionalità padrona, il periodo in cui la sua distrazione a scuola lo rese studente autodidatta. Era assente ovunque si trovasse.
Nel secondo periodo, scavalcata la soglia dei venti anni, era un giovane uomo che si affacciava per la seconda volta sul mondo del lavoro (la prima volta successe nel periodo del rapimento). Trovò impiego presso una fonderia e decise di rieducarsi e per, favorire la sua concentrazione, ascoltava i radiogiornali mentre si recava al lavoro e ripeteva gli articoli dei giornali che leggeva. Questo periodo Claudio lo definisce il periodo della “rieducazione”. Dovette farlo per imporsi una sorta di autodisciplina, per inserirsi nel mondo del lavoro.
Entrambi i periodi hanno per il giovane un fascino unico e sono assolutamente positivi. Da adulto Claudio impara ad essere rapito e rieducato. Oggi si occupa di ingegneria ed è, a tutti gli effetti, un artista informale, righe dritte di giorno e curve vertiginose di notte. Nel 1996 iniziò a frequentare corsi di perfezionamento di disegno artistico e si innamorò del carboncino, esso diede corpo alla sua irrazionalità e iniziò a disegnare quello che l’occhio non vede e a cercare quel qualcosa che consente di riconoscere le cose pur non essendoci. Per fare ciò usava la memoria, ciò che rimane impresso quando il tempo di esecuzione è brevissimo. Non aveva però ancora una produzione artistica, per averla doveva succedere qualcosa di grosso in grado di spostare interessi ed equilibri.
Nell’autunno del 2007 successe quel qualcosa di grosso: la sua storia d’amore finì ma soprattutto gli vennero diagnosticato dei seri problemi di salute, oggi risolti. Superate le crisi di panico iniziali, Claudio reagì con una mostra personale. A febbraio del 2008 fece una domanda per esporre in una galleria all’interno di un cinema. Ci provò senza avere nulla da esporre. Ad aprile giunse la risposta positiva e in trenta giorni realizzò 45 opere che poi espose. Queste opere comprendevano carboncini, quadri e fotografie artistiche. In quel periodo Claudio scoprì la potenza che la creatività rilasciava e cominciò ad esprimersi con continuità. In realtà affrontò l’aspetto creativo per la prima volta verso la metà degli anni ’90. In quel periodo frequentò la scuola Holden e fece dei corsi di scrittura creativa tenuti nelle biblioteche civiche. Scrisse anche dei racconti poi pubblicati in antologie ma in seguito smise: la struttura della scrittura poco si adattava alla sua intenzione espressiva.
La creatività richiede: limiti, disciplina e regole restrittive per scatenarsi. Curiosamente è la sua parte irrazionale a districarsi in questi confini definiti e qui succedono cose che lo riportano indietro negli anni, quando si chiudeva in se stesso per fantasticare e immaginare. Ed è proprio questa sorpresa finale quella che dà potenza, aver realizzato qualcosa di imprevisto. Una delle chiavi di questo percorso è la determinazione nel proseguire l’errore creativo, l’errore accidentale. Forse questa determinazione è una questione di carattere ma la cosa stupefacente, la lezione che il giovane artista apprende ogni volta, è che può farcela in qualsiasi situazione.
In questi ultimi anni Bellino ha sviluppato una carriera di performer che è principalmente basata su questa determinazione. Durante le performance improvvisa segni e forme su carta, plastica, tessuti e altri supporti ispirato da chi lo accompagna in quel momento. Usa carboncini, pastelli a olio, gessi, acrilici e bombolette a spray. In tal senso sono diverse le sue collaborazioni con musicisti pop e classici, con danzatori. Lui stesso sostiene: ”La consapevolezza di cavarmela in ogni contesto mi permette di esprimermi come se sapessi esattamente cosa sto facendo mentre in realtà sto improvvisando e sto vivendo un magnifico trip verso il mistero.”
Tornando alle sue creazioni, essendo spesso i risultati casuali, il problema è dare loro il titolo. Non amando i “senza titolo”, Claudio ha inizialmente coinvolto le sue nipotine, delle splendide bambine che gli regalarono dei capolavori come: La luna è triste perché non ha doni, È tutto una discesa e tanti altri che abbinati alle sue opere diedero un contributo fondamentale alla loro riuscita. I The Happiness Diaries sono un’altra soluzione: si tratta di un box che raccoglie una serie di fiori reinterpretati che prendono il titolo: Happy e una data da scegliere per qualche ragione. Il suo pezzo più riuscito di questa collezione forse è: Happy 01,11,2009 tanto per fare un esempio.
In studio collabora con stilisti di moda e designer. Adora dipingere i tessuti perché si punta tutto sull’estetica e sulla leggerezza; rispetto alla pittura su tela è molto più easy. Grazie ai suoi amici designer sono state prodotte: lampade, sedie e separè con le sue immagini utilizzando spesso materiali riciclati. Una nuova e recente avventura è l’animazione. C’è molto da lavorare prima che il disegno prenda vita però si tratta di un’esperienza fantastica. “Oserei dire che un quadro di fronte a un disegno animato prende un po’ l’aspetto di una lapide!”, sostiene sorridendo Claudio.
Dal 2008 le opere di Bellino sono esposte in molte città italiane: Torino, Milano, Venezia, Roma, Palermo, Terni, Napoli, Firenze. Ha esposto in Brasile e a Barcellona dove alcuni suoi quadri sono ospiti in una villa dove fu ambientato il celebre romanzo Ombra del vento di Zafon; progetti per il futuro, New York e Londra. Ad ogni modo per Claudio non sono le mostre il suo principale obiettivo. Lo interessa piuttosto crescere come autore, provare a mostrare la bellezza sotto nuove forme e continuare a stupirsi. Citando Tom Robbins, l’autore del romanzo Natura morta con Picchio, “non è mai troppo tardi per rifarsi un’infanzia.” “Ecco perché spero di non fermarmi più pur vivendo in due mondi diversi. Un sogno sarebbe vedere un ragazzino di undici anni in mezzo a una scolaresca davanti a una mia opera e chiedere alla sua professoressa: "Com’è stato fatto?".