Da qualche anno, grazie al laborioso e paziente lavoro svolto dal personale degli archivi di stato, il Ministero dei Beni Culturali ha reso possibile consultare online un’ampia serie di documenti risalenti ai registri dello Stato civile Napoleonico, della Restaurazione e dello Stato civile italiano. Gli utenti possono curiosare fra numerosi atti di nascita e di morte, memorandum e annotazioni di matrimonio, censimenti e registri di cittadinanza: una vera e inesauribile miniera storica a portata di click. Tuttavia, l’attenzione dei più curiosi è inevitabilmente rapita da una particolare categoria di documenti, gli atti diversi.
Ad esempio, selezionando il fondo di conservazione dell’archivio di stato di Bari, fra gli atti diversi si legge:
“L’anno milleottocentosessantacinque il dì primo del mese di Dicembre alle ore diciassette e mezzo, Noi Sindaco ed Uffiziale dello Stato Civile del Comune di Monopoli è comparsa Apollonia Brescia Pia, levatrice di anni quarantacinque che ci ha recato un verbale dell’Economo dello Spedale dal tenore seguente.
L’anno milleottocentosessantacinque il dì primo del mese di Dicembre alle ore diciassette e mezzo, nella Casa Comunale, l’Economo dello Spedale ha dichiarato all’Uffiziale di questo Stato Civile che alla ruota dei proietti alle ore sedici e un quarto è stata esposta una fanciulla di fresco nata, avvolta in una fascia di cotone nuova, una coltre di bambagia nuova, tre panni nuovi di tela bruna, una camicella di cotone ed un fazzoletto color caffè e bianco. Alla stessa, nei termini del regolamento vigenti gli si è dato il nome di Giuseppa Maria, col cognome San Felice.”.
Questo testo è estratto dai registri dello Stato civile di Monopoli, cittadina pugliese affacciata sulla costa adriatica, e il portale offre una enorme quantità di testimonianze simili, che consentono di addentrarsi in un delicato capitolo di storia, oggi ancora tremendamente attuale. La ruota dei proietti citata poc’anzi era una bussola girevole, spesso in legno, installata presso chiese, ospedali o conventi. La struttura era divisa in due scomparti che, combaciando con un’apertura nel muro dell’edificio, permettevano a chiunque di lasciare i neonati, senza essere visti dall’interno. Una volta “esposto” l’infante, facendo girare la ruota, il piccolo si ritrovava all’interno, dove poteva ricevere le prime cure da balie e infermieri, sovente avvisati dal suono di un campanello.
L’abbandono dei figli indesiderati è sempre stata una pratica diffusa nelle epoche e tra i popoli. Si pensi che nell’antica Grecia l’abbandono era considerata una pratica legale, mentre nell’antica Roma i padri che non riconoscevano i figli potevano lasciarli alla cosiddetta columna lactaria, destinandoli alla pietà dei passanti, alla schiavitù o alla morte per fame. La condizione dei neonati abbandonati poté cambiare solo grazie all’influenza della morale cristiana e agli interventi di Costantino, che nel 315 riservò parte del fisco al soccorso degli abbandonati, e di Giustiniano, che nel VI secolo disciplinò l’abbandono come reato, al pari dell’infanticidio.
Il primo brefotrofio sorse proprio in Italia, nel 787. A Milano, per mano dell’arciprete Dateo, fu istituita questa “opera di santa pietà cristiana” con cui sottrarre all’assassinio i bambini nati da adulterio, fornendo loro l’allattamento di nutrici stipendiate e vitto e alloggio fino al settimo anno di età.
È francese, invece, l’invenzione della ruota degli esposti, che comparve per la prima volta presso l’ospedale dei canonici di Marsiglia, nel 1188. Dieci anni dopo fu la volta dell’Italia, dove si narra che papa Innocenzo III, turbato da macabri sogni in cui vedeva cadaveri di neonati ripescati dal Tevere, decise di farne installare una all’Arcispedale di Santo Spirito, a Roma. Qualche secolo dopo, il predominio francese del Regno Italico influenzò il Regno di Napoli, favorendo la diffusione della rota proiecti in tutto il meridione.
I motivi che spingevano ad abbandonare i piccoli appena nati erano molteplici. Spesso le famiglie, già numerose, non erano economicamente in grado di allevare un ulteriore figlio. A volte i neonati venivano alla luce da relazioni adulterine, altre invece erano abbandonati da padri rimasti vedovi, incapaci di accudirli, oppure da giovani madri senza sposo.
Gli abbandoni erano soliti avvenire dopo il tramonto, nella notte o alle prime luci dell’alba: momenti in cui si poteva agire inosservati, lontani dagli sguardi dei passanti. Dopo aver loro prestato le prime cure, era il personale degli ospedali o degli istituti religiosi a recarsi presso gli uffici del Comune, per dichiarare la nascita dei trovatelli. I verbali redatti dagli ufficiali di stato civile divennero col tempo sempre più dettagliati e si prestava particolare attenzione nel descrivere panni, indumenti e oggetti con cui i neonati venivano abbandonati. In alcuni casi, infatti, la madre esponeva il piccolo con un fazzoletto ricamato e tagliato a metà, così da poterlo successivamente riconoscere esibendo l’altra metà rimasta in suo possesso. Talvolta nella ruota si rinveniva anche un biglietto, con cui il genitore manifestava la propria volontà, magari indicando il nome o il cognome da dare al proietto. In caso contrario, le generalità dei piccoli erano decise dai sindaci o dagli ufficiali che redigevano l’atto. In diverse circostanze essi erano soliti rimarcare l’assenza di paternità dei trovatelli, con cognomi quali Esposito, Donati, Trovato o Fallaci. Diversamente, solevano riferirsi al luogo del ricovero (Degli Innocenti, come l’omonimo ospedale fiorentino) o agli istituti religiosi che li accoglievano (Dioguardi, Casadei, Vescovi, Di Dio). In alternativa, il cognome era inventato ispirandosi al momento del ritrovo (Sabbadin, Dominici, Di Marzo, Inverni, Carnevale).
L’abbandono dei neonati divenne presto un problema di grossa portata. La popolazione europea fu segnata da un netto aumento durante il XIX secolo, che portò gli abitanti da cento a duecento milioni. Nelle grandi città italiane come Napoli e Milano iniziò a registrarsi una crescita del tasso di natalità, superiore alla media nazionale. L’impennata delle nascite si riversava sulle casse dell’erario, che finiva col sobbarcarsi anche le spese di sostentamento delle famiglie più numerose, perché venivano esposti pure i figli legittimi. La situazione, alquanto critica, spinse a valutare l’idea di eliminare la ruota e chiudere i brefotrofi. Prima città ad adottare questa decisione fu Ferrara nel 1867, fino al Regolamento generale per il servizio di assistenza agli Esposti del governo Mussolini, che nel 1923 abolì completamente il sistema.
Attualmente, l’ordinamento italiano consente alle donne di partorire nell’anonimato, garantendone la massima riservatezza. Ai sensi del d.p.r. 396/2000 il nome della madre rimane segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata” (una dicitura simile alla vecchia locuzione natus ex incertis parentibus, riportata negli atti di battesimo dei trovatelli). La situazione di abbandono del minore non riconosciuto viene immediatamente segnalata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che apre il procedimento di adottabilità e inizia la ricerca di una coppia idonea ad adottare e crescere il neonato.
Nonostante le previsioni normative, sono ancora presenti casi di abbandono, spesso ad opera di genitori clandestini che, per timore di essere scoperti e rimpatriati, non si rivolgono alle strutture ospedaliere. Per questa ragione, in Italia come in altri Paesi dell’Unione europea, sono state introdotte nuove ruote degli esposti. Fra le più recenti c’è proprio quella del convento di San Francesco da Paola a Monopoli, nel barese. Un anno fa la città era stata scenario del triste ritrovamento del corpo della piccola Chiaraluna, abbandonata in riva al mare nel mese di febbraio. L’evento scosse la comunità al punto da spingere i frati locali a installare una “ruota della vita”. Le moderne strutture, più tecnologiche di quelle ottocentesche, sono inserite in stanze a temperatura costante, accessibili tramite una finestra basculante. Grazie a sensori volumetrici, la culla avverte subito la presenza del bambino e invia un segnale ai sanitari, che intervengono per prestargli cure immediate.
E giusto pochi giorni fa, Monopoli ha accolto il primo trovatello di soli quattro giorni di vita e che i frati hanno scelto di chiamare Emanuele.