Spesso si sente dire: “facile come bere un bicchier d’acqua”. Un’espressione semplice che denota un approccio altrettanto immediato all’utilizzo della risorsa idrica considerata un bene comune, pressoché illimitato e a disposizione di tutti. O meglio così dovrebbe essere e non è in molte parti del mondo.
Un’espressione che, dati alla mano e proiezioni al futuro prossimo, farebbero ritirare immediatamente, relegandola soltanto a poche zone della terra particolarmente fortunate. E questo perché l’accesso al bene acqua, il suo utilizzo, stanno entrando in modo sempre più diretto e prepotente nel quadro delle ragioni che spingono i popoli e che provocano dissidi. Più semplicemente, l’acqua sta diventando un bene in senso economico e come sempre accade il controllo delle risorse e le criticità di distribuzione stanno trasformandosi in gangli nevralgici tanto più si istituzionalizza la considerazione della limitatezza della risorsa a fronte dell’accesso sempre crescente e in alcuni ambiti in modo esponenziale, con ciò mettendo a dura prova quelli che un tempo in modo erudito venivano indicati come “corpi idrici”.
E sì, perché di criticità a livello mondiale si parla. Il discorso riguarda in primo luogo, come è palmare, l’acqua potabile, quella che ci fa vivere e che muove l’economia, le produzioni. Ebbene, questa è un’infinitesima parte di quella che ci appare e che copre i tre quarti del pianeta. E non è illimitata, per ragioni varie che coinvolgono i cambiamenti climatici, lo sfruttamento delle falde, la difficoltà per queste ultime di ricostituirsi stante il micidiale aumento di utilizzo che riguarda i paesi sviluppati certamente ma coinvolge ormai tutti quelli in via di sviluppo e sempre più bisognosi oltreché carenti del prezioso liquido. La disponibilità che caratterizza alcune parti del mondo rispetto ad altre è all’origine della complessità di intervento per risparmiare e creare un sistema di riserve, il sottosviluppo e la carenza di strutture fanno la parte del leone. E intanto per l’acqua ci si comincia a scontrare e la sua scarsità fa lentamente riaffiorare – se non si prenderanno adeguati provvedimenti – quell’homo homini lupus che la civiltà almeno in parte ci aveva abituato a vedere come un residuato del passato più arcaico.
A lanciare l’allarme, a indicare questa criticità è stato tra gli altri, l’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che sulla base dei dati disponibili, ha previsto che l’accesso alle risorse idriche e il loro controllo potranno essere una tra le cause delle guerre del 21° secolo, quello appunto che stiamo vivendo tra minacce belliche e dissidi ideologici, religiosi e politici in quasi tutto il pianeta. La definizione ormai consueta di oro blu, in riferimento all’acqua, evidenzia come una risorsa basilare e prioritaria, bene comune dell’umanità, stia rappresentando come dicevamo un interesse economico tale da essere paragonato a un bene di consumo e di mercato Oggi, alla crisi idrica che coinvolge molte popolazioni che vivono nei Paesi a basso reddito si affianca una scarsità di risorse in quelli più sviluppati che – a causa di politiche ambientali discutibili e della crescita demografica – si stanno trasformando in aree a stress idrico o con scarsità idrica.
Esiste, come sappiamo, una sorta di contraddizione in termini. Il 71 per cento della superficie terrestre è coperto di acque ma il 97 per cento di esse è salato e soltanto il restante 3 per cento proviene da ghiacciai, nevi perenni (68,9%), falde sotterranee (29,9%) e acque superficiali (1,2%). Di questa percentuale solo l’1% è acqua accessibile per uso umano.
Per comprendere in modo adeguato e completo la situazione occorre scorrere alcuni dei passaggi più significativi del Rapporto 2016 delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali. “Con l’obiettivo di comprendere al meglio il rapporto tra domanda e offerta, l’Indicatore degli Obiettivi del Millennio riguardante l’acqua si propone di misurare il livello della pressione antropica sulle risorse idriche in base al rapporto tra i prelievi di acqua del settore agricolo, degli enti locali e dell’industria e il totale delle risorse idriche rinnovabili . La scarsità delle risorse idriche è il risultato di una combinazione di fattori quali la variabilità idrologica e l’elevato utilizzo umano; quest’ultimo può essere almeno in parte mitigato grazie alle infrastrutture di stoccaggio. Sebbene i rischi di carenze idriche su base mensile si rivelino più gravi in Asia meridionale e Cina settentrionale, rischi significativi di scarsità idrica stagionale sono presenti in tutti i continenti”, le parole introduttive del Rapporto.
Secondo le previsioni tra il 2011 e il 2050 – prosegue - la popolazione mondiale dovrebbe crescere del 33%, passando da sette a 9,3 miliardi; nello stesso periodo la domanda di prodotti alimentari crescerà del 60% . Inoltre, secondo le proiezioni, il numero di residenti in aree urbane dovrebbe quasi raddoppiare, passando da 3,6 miliardi nel 2011 a 6,3 miliardi nel 2050. Il Baseline, Scenario del Global Environmental Outlook 2012 ,pubblicato dall’OCSE ha previsto una pressione crescente sulla disponibilità di acqua dolce da qui al 2050, con 2,3 miliardi di persone in più che vivranno in aree caratterizzate da una grave carenza di risorse idriche, in particolare in Africa settentrionale e meridionale e in Asia meridionale e centrale. Secondo un altro rapporto entro il 2030 il mondo potrebbe far fronte a un deficit globale della risorsa idrica pari al 40%, percentuale ricavata in base allo scenario BAU (business-as-usual) (2030 WRG, 2009).
Il miglioramento dell’efficienza nell’utilizzo dell’acqua è considerato dagli esperti e indicato nel Rapporto come un elemento strumentale per colmare il divario previsto pari al 40% tra domanda e offerta e mitigare i problemi causati dalla scarsità idrica entro il 2030 (UNEP). Sempre secondo le stime, circa 663 milioni di persone non hanno un accesso immediato a fonti migliorate di acqua potabile, mentre il numero di persone prive di un accesso affidabile ad acqua di buona qualità tale da risultare sicura per il consumo umano è di circa 1,8 miliardi (UNICEF/WHO, 2015) se non addirittura superiore. Più di un terzo della popolazione mondiale (circa 2,4 miliardi di persone) non utilizza servizi igienicosanitari migliorati; di questi, circa un miliardo espleta ancora la defecazione all’aperto (UNICEF/WHO, 2015). Per “migliorate”, aggiunge il Rapporto, si intendono le fonti in cui l’utilizzo dell’acqua da parte dell’uomo viene mantenuto separato dall’utilizzo da parte di animali e dalla contaminazione fecale. Tuttavia l’acqua proveniente da “fonti migliorate” non è necessariamente priva di batteri o di altre fonti di contaminazione e non risulta quindi necessariamente sicura.
Il Rapporto prosegue sottolineando che l’agricoltura rappresenta all’incirca il 70% del totale dei prelievi di acqua dolce a livello mondiale, percentuale che supera il 90% nella maggior parte dei paesi meno sviluppati (PMS) (FAO, 2011). In assenza di misure volte al miglioramento dell’efficienza, il consumo di acqua per scopi agricoli crescerà a livello mondiale di circa il 20% entro il 2050 (WWAP, 2012). Occorre tenere presente che a livello globale circa il 38% delle zone irrigue dipende dalle acque sotterranee e ciò ha contribuito a un incremento di dieci volte dei prelievi di acque sotterranee per scopi irrigui nel corso degli ultimi cinquant’anni. Al tempo stesso, circa la metà della popolazione mondiale dipende dalle acque sotterranee per l’accesso all’acqua potabile. L’incremento della domanda di acqua previsto principalmente da parte del settore manifatturiero, per la produzione di elettricità e per l’utilizzo domestico comporterà un’ulteriore sollecitazione a carico delle risorse idriche, con un possibile impatto sulla distribuzione dell’acqua per scopi irrigui (OECD, 2012).
Il settore industriale – a sua volta - (inclusa la produzione di energia) utilizza circa il 19% del totale dei prelievi di acqua a livello mondiale (FAO, 2014). Secondo l’AIE (IEA, 2012) il settore energetico utilizza circa il 15% del totale, con il 4% circa per la grande industria e il settore manifatturiero (ad esclusione delle piccole e medie industrie, il cui approvvigionamento idrico è garantito dalle reti di distribuzione comunale). Tuttavia, secondo le previsioni, entro il 2050 nel solo settore manifatturiero l’utilizzo di acqua crescerà del 400% (OECD). La domanda di acqua per la produzione di energia, e in particolare per la generazione di elettricità, crescerà anch’essa in misura significativa a causa della crescita di più di un terzo della domanda di energia prevista nel periodo 2010-2035, di cui il 90% nei paesi che non fanno parte dell’OCSE. Le reti idriche comunali rappresentano il restante 10% dei prelievi globali di acqua dolce sostenendo i fabbisogni delle famiglie (di acqua potabile, impianti igienico-sanitari, pulizia, eccetera), delle istituzioni (ad esempio scuole e ospedali) e di buona parte delle piccole e medie industrie.
Il fabbisogno idrico ambientale (nell’acronimo inglese EWR) ai fini del mantenimento di condizioni adeguate dei corpi idrici varia tra il 20% e il 50% della portata media annua del fiume in un bacino idrografico. Nel 2010 il grave inquinamento organico (con concentrazioni mensili della domanda biochimica di ossigeno (BOD) nel flusso superiori agli 8 mg/l) ha interessato, secondo le stime, una percentuale tra il 6% e il 10% dei tratti fluviali in America Latina, tra il 7% e il 15% in Africa e tra l’11% e il 17% in Asia (UNEP).
Secondo le stime, nel 2050 il numero di persone che vivrà in ambienti con rischi elevati collegati alla qualità dell’acqua in ragione di una concentrazione eccessiva di BOD sarà pari a un quinto della popolazione globale, mentre nello stesso periodo il numero di persone che dovranno far fronte ai rischi causati da quantità eccessive di azoto e di fosforo crescerà fino a raggiungere un terzo della popolazione globale.
In alcuni paesi l’utilizzo delle acque reflue comunali può rappresentare fino al 35% del totale dell’acqua prelevata per l’utilizzo nell’irrigazione dei campi. Il riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione rappresenta la strategia più comune per il riciclaggio delle acque reflue. Secondo alcune stime, tra quattro e sei milioni di ettari di terreno agricolo nel mondo sono irrigati con acque reflue non trattate Tuttavia un’ulteriore stima indica fino a 20 milioni di ettari. L’utilizzo di sistemi di raccolta dell’acqua piovana, dei tetti “verdi” e di altre infrastrutture verdi si sta diffondendo sempre di più in alcuni ambienti urbani. Tutto ciò comporta un impatto diretto sulla riduzione del consumo di acqua, oltre alle conseguenze positive in termini di riduzione del rischio di inondazioni grazie al rafforzamento e al decentramento dello stoccaggio, di limitazione del consumo di energia attraverso la refrigerazione per evaporazione e di miglioramento dell’ambiente urbano.
Cresce intanto l’impatto dei cambiamenti climatici ed eventi estremi. Secondo il quinto rapporto di valutazione dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici), circa il 7% della popolazione globale risulterà esposta a una riduzione delle risorse idriche rinnovabili pari almeno al 20% per ciascun grado di aumento della temperatura globale. I cambiamenti climatici condurranno a una sostanziale disoccupazione nell’economia mondiale a causa del taglio dei posti di lavoro, con una potenziale riduzione dell’occupazione pari al 2% entro il 2020. A livello mondiale, i danni causati dalle inondazioni hanno superato i 50 miliardi di dollari americani nel 2013 e stanno aumentando. Allo stesso tempo, aggiunge il Rapporto, diversi studi prevedono che entro il 2050 tra 150 e 200 milioni di persone potrebbero essere costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa di fenomeni quali la desertificazione, l’aumento dei livelli marini e la sempre maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi. Il costo totale dell’insicurezza idrica a carico dell’economia mondiale viene stimato in circa 500 miliardi di dollari americani all’anno.
Se a questa cifra sommiamo il costo dell’impatto ambientale, si raggiunge l’1% del prodotto interno lordo (PIL) mondiale. Secondo le stime della Banca Mondiale, il degrado della qualità dell’acqua costa ai paesi del Medio Oriente e del Nordafrica tra lo 0,5% e il 2,5% del rispettivo PIL annuo (World Bank, 2007). Le stime indicano anche che circa il 30% dei prelievi di acqua di tutto il mondo viene sprecato a causa delle perdite. Anche nei paesi industrializzati la perdita di acqua dalle reti di distribuzione supera in qualche caso il 30%; città come Londra raggiungono il 25% (Thames London, 2014), mentre in Norvegia la percentuale sale al 32% (Statistics Norway, 2015).
Il Rapporto affronta poi la relazione tra economia, occupazione e acqua. Le statistiche dell’ILO sull’occupazione hanno registrato una crescita della forza lavoro attiva a livello mondiale (ovvero il lavoro retribuito) da 2,3 miliardi di persone nel 1991 a circa 3,2 miliardi nel 2014, mentre nello stesso periodo la popolazione mondiale è passata da 5,4 miliardi a 7,2 miliardi. I settori dell’industria e dei servizi si aggiudicano buona parte di questo incremento, mentre l’occupazione nel settore agricolo (agricoltura, settore forestale e pesca) ha registrato nello stesso periodo una lieve riduzione.
La metà della forza lavoro a livello mondiale è occupata in otto settori strettamente dipendenti dall’acqua e dalle risorse naturali: agricoltura, settore forestale, pesca, energia, industria manifatturiera ad alta intensità di risorse, riciclaggio dei rifiuti, edilizia e trasporti. Oltre un miliardo di persone risultano occupate nei settori della pesca, dell’agricoltura e nel settore forestale; in particolare questi ultimi due settori sono tra quelli maggiormente minacciati dai problemi di disponibilità di acqua dolce (ILO, 2013).
L’occupazione nel settore agricolo si è ridotta da poco più di un miliardo di lavoratori nel 2000 a 930 milioni nel 2014, rappresentando così poco meno del 30% della forza lavoro attiva a livello mondiale. Nel 2014 in tutto il mondo risultavano occupati nel settore agricolo circa 520 milioni di uomini e 410 milioni di donne; il settore agricolo rappresenta quindi un terzo dell’intera occupazione femminile. L’agricoltura costituisce il principale ambito occupazionale nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo; e rappresenta attualmente il 60% di tutti i posti di lavoro nell’Africa subsahariana, in cui le donne costituiscono la metà della forza lavoro del settore. L’occupazione nell’industria è cresciuta da un miliardo a 1,4 miliardi di lavoratori tra il 2000 e il 2014, equivalente a poco meno del 45% dei lavoratori attivi a livello mondiale. Il 70% della forza lavoro mondiale del settore industriale è costituito da uomini. L’occupazione nel settore dei servizi è cresciuta del 50% tra il 2000 e il 2014, passando da 545 milioni a poco più di 835 milioni di lavoratori, pari a poco più del 25% della forza lavoro attiva a livello mondiale.
Le stime aggiungono che il 95% dei posti di lavoro del settore agricolo, il 30% dell’industria e il 10% dei servizi dipendono fortemente dalla risorsa idrica. Ne consegue che 1,35 miliardi di posti di lavoro (pari al 42% del totale della forza lavoro attiva in tutto il mondo) risultano fortemente dipendenti dall’acqua (stime 2014). Ulteriori analisi indicano che il 5% dei posti di lavoro dell’agricoltura, il 60% dell’industria e il 30% dei servizi risultano moderatamente dipendenti dalla risorsa idrica. Di conseguenza, 1,15 miliardi di posti di lavoro (pari al 36% del totale della forza lavoro attiva in tutto il mondo) risultano moderatamente dipendenti dall’acqua (stime 2014).
In pratica, il 78% dei posti di lavoro in cui è occupata la forza lavoro mondiale dipende dalla risorsa idrica. Inoltre diverse mansioni collegate permettono la creazione di altra occupazione dipendente dalla risorsa idrica, tra le quali le autorità di controllo delle pubbliche amministrazioni, il finanziamento delle infrastrutture, il settore immobiliare, il commercio all’ingrosso e al dettaglio e l’edilizia. Queste mansioni contribuiscono a creare un contesto adeguato e a fornire il necessario sostegno alle attività e al funzionamento delle organizzazioni, istituzioni, industrie e sistemi che dipendono dalla risorsa idrica. Il numero di occupati del settore agroalimentare è di difficile valutazione, poiché la produzione alimentare assume significati diversi secondo le tipologie di lavoratore. Solamente il 20% degli addetti all’agricoltura è considerato occupato come lavoratore salariato (World Bank, 2005), mentre tutti gli altri addetti sono considerati lavoratori autonomi o persone operanti in imprese familiari in circa 570 milioni di aziende agricole di tutto il mondo.
I redditi delle aziende agricole e i salari dell’agricoltura rappresentano tra il 42% e il 75% del reddito rurale nei paesi a forte vocazione agricola e tra il 27% e il 48% nei paesi in via di trasformazione e di urbanizzazione. La crescente pressione causata dall’aumento della domanda alimentare e dai cambiamenti climatici contribuirà ad aggravare le sfide relative al degrado delle terre, allo sviluppo industriale. Uno scenario preoccupante secondo il quale il 45% del PIL globale, il 52% della popolazione mondiale e il 40% della produzione di cereali potrebbero essere a rischio a causa della mancanza d’acqua entro il 2050. Il sostegno alle piccole aziende agricole prevalentemente a carattere familiare, ai pescatori e alle imprese della lavorazione alimentare potrebbe permettere di assorbire la crescente forza lavoro proveniente da aree rurali attraverso una migliore gestione della produzione ad alta intensità di lavoro, agevolando al contempo la transizione consistente nella progressiva uscita dal settore agricolo.
L’Africa subsahariana costituisce la principale priorità degli investimenti nelle risorse idriche e acquacoltura, poiché presenta i livelli più bassi di irrigazione del settore agricolo (appena il 5% delle superfici coltivate rispetto a oltre il 40% in Asia e a una media globale leggermente superiore al 20%), mentre appena un terzo del potenziale di irrigazione della regione viene effettivamente sfruttato (FAO/WWC, 2015).
Interessante anche il confronto tra acqua e produzione di energia. Notevoli quantitativi di acqua sono impiegati per ottenere gran parte dell’elettricità prodotta, o sotto forma di acqua di raffreddamento, o attraverso la produzione di energia idroelettrica. Il costante sviluppo delle energie rinnovabili ha peraltro condotto allo sviluppo di nuove dinamiche nel lavoro e nell’utilizzo dell’acqua; in effetti, alcune fonti rinnovabili, come il solare fotovoltaico, l’energia eolica e l’energia geotermica, non utilizzano praticamente acqua, ma fanno registrare una crescita dell’occupazione. Nel 2014 – anno con i dati assestati - in tutto il mondo risultavano occupate nel settore delle energie rinnovabili, direttamente o indirettamente, circa 7,7 milioni di persone. Il solare fotovoltaico costituiva il settore a maggiore occupazione, con 2,5 milioni di lavoratori, seguito dai biocombustibili liquidi con 1,8 milioni.
Studi recenti svolti in otto paesi africani (Burkina Faso, Egitto, Ghana, Kenya, Maurizio, Ruanda, Senegal e Sudafrica) evidenziano come le politiche verdi in materia di economia condurranno allo sviluppo di numerosi nuovi posti di lavoro. Investimenti in fonti energetiche a basso utilizzo di acqua, come l’energia solare e l’energia eolica, possono promuovere interessanti sviluppi occupazionali. Secondo le stime, migliorare la produttività dell’acqua al fine di colmare il divario esistente a livello mondiale tra domanda e offerta costerà ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di dollari americani nel corso dei prossimi 20 anni. L’investimento del settore privato rappresenterà circa la metà di questa cifra, con un rendimento positivo che dovrebbe già materializzarsi dopo appena tre anni. Nel settore agricolo i potenziali risparmi derivanti dalla maggiore produttività dell’acqua nell’irrigazione potrebbero ammontare addirittura a 115 miliardi di dollari americani ogni anno fino al 2030 (con riferimento ai prezzi del 2011).
Il petrolio del futuro, in sostanza, è l’acqua. Le guerre che nel XX secolo si combattevano per il controllo strategico delle fonti d’energia, nel XXI secolo potrebbero avere come posta in gioco l’accesso alle riserve idriche del pianeta. Da anni il Pentagono studia uno scenario da terza guerra mondiale che opporrebbe Cina, India, Pakistan, con il Tibet e i ghiacciai dell’Himalaya come “serbatoio vitale” da controllare. Il valore crescente dell'acqua, le preoccupazioni concernenti la qualità e la quantità di approvvigionamenti, oltre che le possibilità di accesso, accordate o rifiutate, stanno avvicinando l'acqua al petrolio e a certe ricchezze minerali in quanto risorsa strategica. La sua rarità e il suo valore crescente porteranno sempre più a delle politiche dell'acqua e a conflitti internazionali che potranno attribuire ai diritti su quest'ultima un'importanza di primo piano.
Vi è uno stretto legame tra povertà e accesso alle risorse idriche - sottolinea il Rapporto - in quanto il loro sfruttamento e la loro distribuzione richiedono un ingente investimento; e contemporaneamente la mancanza di acqua limita lo sviluppo economico. Si ipotizza che attualmente l’investimento medio per dare l’accesso ad acqua potabile sia di 100 euro a persona, variando secondo l’economia di scala. In ambienti urbani dove gli utenti finali sono concentrati, i costi si abbassano rispetto a zone rurali dove le distanze tra utenti sono molto grandi. Nella distribuzione dell’acqua bisogna anche tener conto dei costi per il suo trattamento e smaltimento, in particolare laddove i consumi superano i 50 litri per persona al giorno. Infatti, l’acqua distribuita necessita di essere poi smaltita e trattata per non rappresentare un possibile vettore di malattia. Le popolazioni con minore percentuale di accesso all’acqua sono principalmente quelle dei Paesi a basso reddito, inferiore a 855 dollari a parità di potere di acquisto nel 2004. Nella maggioranza di questi, gli investimenti più consistenti nella distribuzione di acqua potabile dipendono dagli aiuti internazionali o da fondi governativi che spesso concentrano i finanziamenti nelle capitali, a discapito dei centri urbani più periferici e delle zone rurali.
Allarmante il riferimento ai cambiamenti climatici, al centro in questi mesi di dure polemiche a livello internazionale. Si stima che, nel 21° secolo, il 20% della scarsità di acqua sarà dovuto a questa causa che produrrà grandi variazioni nell’evaporazione e nelle precipitazioni, insieme a mutamenti non prevedibili del ciclo idrogeologico. L’innalzamento delle temperature comporterà una maggiore evaporazione negli oceani, intensificando il ciclo dell’acqua e la formazione di nuvole ma, nello stesso tempo, il surriscaldamento delle terre farà sì che una minore quantità di acqua piovana possa raggiungere i fiumi in quanto vaporizzerà più velocemente. Le zone umide saranno probabilmente interessate da maggiori precipitazioni, più intense e concentrate nel tempo, causando quindi fenomeni alluvionali, mentre nelle zone più aride, nonché in alcune zone tropicali e subtropicali, vi sarà presumibilmente una diminuzione e una maggiore irregolarità delle piogge.
Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il livello del mare potrebbe innalzarsi tra 9 e 88 cm entro i prossimi 100 anni, con conseguenze significative sulla sicurezza e l’accesso alle risorse di acqua potabile. Oltre all’aumento della salinità degli acquiferi costieri, si potrebbe infatti assistere a fenomeni di accelerazione dell’erosione delle coste e le inondazioni minaccerebbero milioni di persone. Le aree più a rischio sono quelle dei grandi delta, in particolare in Bangla Desh, Egitto, Nigeria e Thailandia, dove vivono attualmente circa 110 milioni di persone. La World bank (la Banca mondiale) stima che in Bangla Desh, alla fine del 21° sec., si perderà circa il 16% delle terre a causa dell’avanzamento delle acque marine, coinvolgendo un’area che supporta il 13% della popolazione e produce, attraverso l’agricoltura, il 12% del prodotto nazionale lordo (PNL).
L’unico intervento possibile da parte della comunità internazionale per mitigare questo fenomeno è minimizzare il cambiamento climatico, indebolendo il legame tra sviluppo economico ed emissione di anidride carbonica. Il passo principale fatto negli ultimi anni nella direzione della mitigazione dei cambiamenti climatici è rappresentato dal Protocollo di Kyoto, sottoscritto da più di 160 Paesi l’11 dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 con la firma di 130 Paesi: nell’ottobre 2009 le nazioni firmatarie erano 184. Il trattato prevede l’obbligo per i Paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (biossido di carbonio e altri cinque gas serra) nel periodo 2008-2012, in una misura non inferiore al 5,2% rispetto alle emissioni registrate nel 1990, considerato come anno base.
È convincimento diffuso – sottolinea il Rapporto - che l’acqua rappresenterà una delle maggiori cause dei conflitti nel 21° sec., dal momento che la sua accessibilità sarà sempre più difficile e il controllo delle risorse rinnovabili rappresenterà uno strumento politico estremamente importante nell’equilibrio mondiale. Negli ultimi anni una nuova causa di tensione per il controllo dell’acqua è rappresentata dal passaggio della gestione delle risorse idriche da parte di autorità pubbliche a società private multinazionali: nel 1980 soltanto 12 milioni di persone erano fornite da imprese private, nel 2000 si era già arrivati a 300 milioni e si prevede che tale cifra crescerà fino a 1,6 miliardi entro il 2025. Tale processo di privatizzazione è favorito da due fattori: da un lato, gli alti costi di investimento e le ridotte capacità finanziarie delle istituzioni per far fronte alla sempre più alta richiesta di acqua, dall’altro, il crescente interesse di società private verso i profitti derivanti dalla vendita di acqua e servizi associati.
La World Bank valuta il potenziale mercato dell’acqua intorno ai 1000 miliardi di dollari l’anno. Secondo gli analisti economici l’industria idrica, le cui entrate già oggi sono pari al 40% di quella petrolifera, è destinata a diventare un settore produttivo di grande rilievo. DA questi dati si comprende la definizione delle risorse idriche come “oro blu”, ricchezza del futuro. Contro la privatizzazione dell’acqua si è diffuso un movimento internazionale, fondato su tre principi: la conservazione delle risorse idriche; l’acqua come diritto umano; la democrazia dell’acqua. Oggetto di maggiore contestazione da parte del movimento è il fatto che il fragile equilibrio tra domanda e sfruttamento delle risorse, accompagnato dalla distribuzione ineguale e da condizionamenti ambientali, non può essere lasciato alla gestione delle multinazionali, spinte da interessi economici.
Per far fronte all’aumento del numero di Paesi che si troveranno in situazione di stress o scarsità idrica e per limitare potenziali motivi di conflitto per la gestione delle risorse idriche, nel 21° sec. si dovranno allora concentrare gli sforzi atti a migliorare la produttività dell’uso dell’acqua in tutti i suoi settori (agricolo, industriale e domestico), ottimizzando il rapporto tra domanda e prelievo. In questo modo non solo si proteggeranno le risorse disponibili, ma si potranno salvaguardare quelle economiche per destinarle all’esigenza delle popolazioni che ancora non hanno accesso all’acqua. Questo obiettivo – osserva il Rapporto - rappresenterà un primo momento di verifica degli impegni della comunità internazionale verso gli investimenti promessi per una politica di lotta alla povertà, di servizi per i più poveri e per una protezione dell’ambiente in conformità al Protocollo di Kyoto.
Se fino alla metà degli anni Novanta la spinta dei governi e degli aiuti internazionali era proiettata a finanziare infrastrutture dimensionate più sulle risorse estraibili, una revisione strategica, portata avanti in quegli anni dalla World Bank, ha spostato l’indirizzo sulla fornitura di servizi adeguati e rispettosi di pratiche ambientali. Si presta oggi più attenzione alla gestione sostenibile delle risorse in termini di capacità dei beneficiari di farsi carico della loro manutenzione e operatività, di relazione con l’ambiente circostante e di tecnologie appropriate alle condizioni in cui si opera, coinvolgendo nella scelta gli stessi beneficiari.
La risposta per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse idriche è nella gestione integrata dell’acqua (dall’estrazione al recupero), che rappresenta una metodologia per prendere decisioni e tramutarle in azioni, considerando aspetti diversi del processo produttivo. I passi per realizzare una gestione integrata prevedono la pianificazione del bacino idrografico, l’organizzazione di gruppi di lavoro, l’identificazione dei finanziamenti, la verifica dell’impatto ambientale dalle sorgenti alle piane di inondazione, lo sviluppo di leggi e regolamenti, e il coinvolgimento di tutti gli attori interessati, dalle istituzioni agli utilizzatori finali.
La maggioranza dell’acqua ritorna nel ciclo idrogeologico, sotto forma di vapore acqueo, infiltrata nel sottosuolo e convogliata nell’acqua marina. Il mantenimento della qualità di queste acque è fondamentale per non sbilanciare continuamente il rapporto tra risorse rinnovabili e domanda mondiale. Quindi l’impegno in tutti i settori di utilizzo è di non pensare solo all’acqua nel momento dell’estrazione, ma di incidere maggiormente nella gestione, nel trattamento e nel recupero.
La gestione integrata delle risorse idriche prevede forme complementari di raccolta, come quella dell’acqua piovana, combinate a sistemi di pompaggio solari o eolici, diversificazione dell’uso delle acque potabili da quelle per uso domestico, recupero delle acque provenienti da impianti di trattamento, campagne di divulgazione sul corretto uso dell’acqua, inclusi il risparmio e il suo smaltimento, coinvolgimento degli utilizzatori sulla definizione delle tariffe, sull’uso di servizi privati e sugli investimenti.
L’economista Marianne Fay, nel suo lavoro del 2001, Financing the future: infrastructure needs in Latin America 2000-2005 (World bank, policy research working paper, 2545), ha stimato che le perdite annuali dovute a un’inadeguata politica dei prezzi e dei sussidi e a connessioni illegali ammontavano a 18 miliardi di dollari ad inizio secolo e quelle derivate dalle perdite nelle tubazioni a 4 miliardi, cifre che potevano rappresentare l’accesso all’acqua potabile per 147 milioni di persone.
Nei Paesi sviluppati per far fronte alla relazione tra governo della domanda e sviluppo dell’offerta bisogna trovare al più presto un giusto equilibrio tra sviluppi di nuove fonti e misure di risparmio dei consumi, sostenendo un approccio integrato del ciclo dell’acqua con investimenti mirati alla ricarica degli acquiferi, al trattamento e recupero delle acque reflue, alla riduzione della salinità e alla raccolta di acque piovane.