Midge Ure è uno di quei “signori della musica” tanto discreti quanto di sostanza, interessati più a portare avanti per bene un’idea artistica che ad apparire. Per chi ne aveva perso le tracce dopo il bagno di successo di Breathe (1996), il brano divenuto celebre nel 1998 grazie allo spot della Swatch, sarà stata una sorpresa rivederlo sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo in duetto con i Decibel (featuring non casuale, dal momento che la band di Enrico Ruggeri ha rappresentato in Italia la new wave, ossia il genere che Ure, a inizio carriera, ha contribuito a far nascere), in una performance peraltro perfetta.
Coloro che ne conoscevano il passato a capo degli Ultravox, gruppo fondamentale della scena new wave e synth pop britannica con hit quali Vienna, Dancing with Tears in My Eyes e Hymn (quest’ultima da Quartet, album realizzato con lo storico produttore dei Beatles George Martin e Geoff Emerick, ingegnere del suono dei Fab Four), oltre che di membro dei Visage (chi non ricorda il capolavoro new romantic Fade to Grey?), magari si saranno stupiti di scoprire che si tratta anche di un chitarrista sopraffino, elegante e virtuoso, e all’occorrenza graffiante di quel “pure rock” che bisogna averlo dentro per saperlo rendere così.
D’altronde il musicista scozzese ha militato pure nelle fila della leggenda Thin Lizzy del compianto Phil Lynott, una delle figure più influenti e, per certi versi, di nicchia di tutto il rock, suonando in tour col gruppo, componendo insieme al leader (anche per la produzione solista di Lynott, loro è Yellow Pearl, sigla di Top of the Pops dal 1981 al 1986) e registrando chitarre e sintetizzatori in diversi album.
Andando ancora più a ritroso, fra le curiosità, si può scoprire che nel 1975 gli venne offerto dal produttore Malcolm McLaren il ruolo di cantante dei Sex Pistols (proposta che Ure rifiutò). Maggiormente nota invece è la partecipazione di Midge Ure all’organizzazione nel 1985 del Live Aid, insieme a Bob Geldof e Harvey Goldsmith (Ure è anche coautore con Geldof del brano della Band Aid Do They Know It’s Christmas?, singolo di enorme successo ovunque e uno dei più venduti in UK), e, sempre con Geldof, al Live 8 del 2005, impegno quest’ultimo che fu premiato con la nomina del musicista a ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico.
Da solista l’esito importante di pubblico non fu comunque solo quello della già citata Breathe e del disco omonimo: il primo hit single è datato 1982, una cover molto bella e personale del brano No Regrets di Tom Rush, poi tra i best seller va perlomeno ricordato il debutto in proprio su LP di The Gift (1985), ai vertici, nel Regno Unito, sia della classifica degli album che di quella dei singoli con If I Was, e andò bene anche il singolo Cold, Cold Heart (da Pure, 1991). Va assolutamente menzionato anche Fragile (2014): l’ultimo lavoro completamente inedito di Ure e il disco che, per sua stessa ammissione, aveva sempre sognato di fare a dispetto di qualunque risultato di vendita. Probabilmente non vendette molto, ma che sia un vertice della sua produzione è indubbio: il livello di scrittura è altissimo e la sintesi di sonorità elettroniche, acustiche ed elettriche perfetta. Da augurarsi che venga riscoperto.
Un’occasione per rivivere tutta la storia di Mr. James (Midge è il contrario del diminutivo “Jim”) Ure oggi la offre la splendida antologia orchestrale Orchestrated, uscita lo scorso dicembre. Arrangiamenti solenni, incalzanti e mai leziosi avvolgono un canto immune al passare del tempo (per il grosso pubblico le doti vocali sono forse il primo biglietto da visita di Ure) e senza scordare i vari generi di riferimento, tanto che l’orchestra a volte suona davvero come un gruppo rock (e non solo per la presenza di chitarre e batteria), attraversano e fondono l’epoca Ultravox con la carriera solista, chiamando in causa le hit irrinunciabili (Hymn, Dancing with Tears in My Eyes, Breathe, If I Was, Vienna, The Voice, Lament, Reap The Wild Wind), Fragile (di cui compare in chiusa la splendida title track) e aggiungendo un inedito, Ordinary Man, che suona già come un nuovo classico. Ha commentato Ure al lancio di Orchestrated: “Il disco ha richiesto un anno e mezzo per essere registrato, ma una vita intera di lavoro per essere realizzato”. Impeccabile la produzione di Ty Unwin che trova la direzione sonora ideale (e sempre funzionale ai pezzi) sia per celebrare che per raccontare a chi ci si imbatte per la prima volta una simile carriera, sottolineandone la freschezza, l’originalità e l’impeto.