In Italia non capita spesso di trovare eventi d’arte contemporanea allestiti all’interno di spazi sconsacrati. Eppure questo è il caso di Kahuna, mostra collettiva curata da Leonardo Regano nell’affascinante cornice dell’ex Chiesa di San Mattia a Bologna. Essa prosegue armoniosamente l’ampia riflessione sul senso del sacro, nel profondo dell’esistenza contemporanea, iniziata con la precedente esposizione Sequela. Se con quest’ultima l’attenzione degli artisti coinvolti si è concentrata sulla ricerca di approcci alternativi alla religione cattolica, meno dogmatici e più vicini alle rivelazioni bibliche, con Kahuna l’analisi cambia direzione, soffermandosi su una spiritualità in stretto dialogo con il mondo naturale.
La cultura sciamanica è al centro di questo nuovo progetto che indaga e riconsidera l’antico rapporto uomo-natura aggiornato alla contemporaneità. A questo scopo il giovane curatore prende spunto dagli studi storici e sociologici dello scrittore americano Max Freedom Long che, negli anni Venti del Novecento, entrò in contatto con i culti religiosi della società hawaiana. In particolare si concentrò sulla figura dei sacerdoti Kahuna e sulle loro violente pratiche sacre, basate sul sacrificio e su riti iniziatici altrettanto feroci. A seguito di questa esperienza Long elaborò la filosofia Huna basata su una nuova e più semplice spiritualità, un insieme di precise attività e azioni meditative aperte a tutta la collettività, che ha la grande opportunità di congiungersi con il divino senza alcuna intercessione. Attraverso queste vicende Regano collega il differente rapporto, caratterizzato da un generale processo di razionalizzazione, che l’uomo moderno ha successivamente instaurato con il sacro e con la natura.
Le opere realizzate dai tredici artisti si concentrano proprio su quest’ultimo aspetto. La mostra, divisa in quattro sezioni, si apre esplorando la natura come oggetto di studio scientifico, un approccio necessario per comprenderla e dominarla ed espresso efficacemente dagli ordinati lavori di Penone e della Bernardoni. Nella sezione successiva il creato si ribella all’approccio scientifico e l’uomo si scontra con una natura potente e selvaggia ma restandone inevitabilmente affascinato come dimostra l’evocativa foresta dipinta da Alessandro Saturno, o dalle pietre con neon rossi di Arthur Duff, che associano il corpo umano alla Terra.
Misteriosa e seducente allo stesso tempo risulta l’installazione mobile firmata dal duo First Rose, che ha collocato lungo la navata della chiesa un tenebroso aerostato. Proseguendo il percorso di visita si scopre il ruolo inedito dell’artista che come un moderno sciamano ci invita a un contatto spirituale e diretto con la natura. Questo metodo coinvolge tutti i sensi come dimostrano i meditativi suoni prodotti dalle cinque campane tibetane dell’opera di Gregorio Botta. Viene così ribadita la necessità da parte dell’essere umano di avvicinarsi al sacro e soprattutto alla natura, attraverso un rapporto più contemplativo e astratto, non più mediato da una rigorosa razionalità scientifica. Una pratica non facile per l’uomo contemporaneo, ma che Sabrina Muzi sembra assistere offrendogli di provare in prima persona, tramite il suo diamante ligneo, i benefici di un’esperienza sensoriale completa. Un ritorno alle origini e alla purezza come dimostra Cosimo Terlizzi che dona ai suoi oggetti quotidiani dignità, preziosità e vicinanza al divino, mediante l’utilizzo del colore oro.
La mostra sembra terminare con un vero e proprio monito espresso egregiamente dal meraviglioso e imponente drappo, posizionato sull’altare dell’ex chiesa bolognese, realizzato da Claudia Losi. Un’opera che se indagata attentamente, in particolare tramite l’osservazione delle specie animali ritratte, rivela una lezione non ancora assimilata dal genere umano, ossia le insanabili conseguenze provocate dallo scellerato controllo e superamento della natura, che porta al suo lento e progressivo annientamento.
Artisti esposti: Pinuccia Bernardoni, Gregorio Botta, Sophie Ko, Claudia Losi, Sabrina Muzi, Giuseppe Penone, Amandine Samyn, Alessandro Saturno, Cosimo Terlizzi, Arthur Duff, Golzar Sanganian, Nobuya Abe, First Rose (Fabrizio Favale – Andrea Del Bianco).