La «verità» – da sempre sostenuta in val di Fiemme e in Trentino – su quel Prowler americano in volo di addestramento, che ha tranciato i cavi della funivia facendo precipitare al suolo la cabina, non sarà mai la verità, dopo venti anni e alcuni processi, che non hanno reso giustizia alle venti vittime della tragedia del Cermis del 3 febbraio 1998, anche in presenza di un documento redatto dalle forze armate americane a meno di un mese di distanza dal disastro che indicava una chiara ammissione di responsabilità.
È febbraio, i primissimi giorni di febbraio di quel 1998, e la stagione invernale in Trentino è nel suo periodo di massima affluenza; la funivia trasporta ogni giorno centinaia di persone dalla stazione di Cavalese, in provincia di Trento, agli impianti sciistici del Cermis. Sono da poco passate le 15, quando una cabina con venti persone (7 tedeschi, 5 belgi, 3 italiani, 2 austriaci, 2 polacchi e 1 olandese di 14 anni) a bordo inizia la discesa verso Cavalese. A 300 m dall'arrivo, con le lancette sulle 15,13, accade l'impensabile: un aereo militare Prowler del corpo dei Marines, decollato dalla base Nato di Aviano, tenta una manovra azzardata, ai limiti della follia. Nel tentativo di passare in volo radente sotto i cavi della funivia, li trancia, facendo precipitare al suolo, a un'altezza di 100 m, la cabina. Per i 19 turisti e il manovratore non c'è scampo. La vicenda scatena l'indignazione dell'opinione pubblica italiana, ancora scossa dalla tragedia verificatasi sempre sulla stessa funivia il 9 marzo del 1976, in cui persero la vita 42 persone. Tra omissioni e depistaggi, i quattro marines la fanno franca e nel 1999 la corte marziale degli Stati Uniti li assolve, stabilendo tuttavia un risarcimento di 40 milioni di dollari per i parenti delle vittime. L'episodio resterà un nervo scoperto (uno dei tanti) nei rapporti tra Italia e USA. Un «mea culpa» a lungo negato dall’apparato militare americano. Eppure così chiaro a nemmeno un mese dalla tragedia: «Colpa nostra, dobbiamo pagare per queste vittime».
Il rapporto degli americani
Il documento porta la data del 10 marzo 1998. In calce la firma del comandante dei Marines, Peter Pace, che aveva incaricato il generale Michael De Longe di condurre un’inchiesta, alla quale per l’Italia avevano partecipato i colonnelli Orfeo Durigon e Fermo Missarino. La richiesta avanzata dal governo italiano a quello Usa di rinunciare alla «giurisdizione personale sui quattro membri dell’equipaggio», cade nel vuoto e così l’inchiesta rimane in capo a Pace, che firma il rapporto investigativo.
Ecco la ricostruzione che inchioda gli americani alle loro responsabilità: «La causa di questa tragedia è che l’equipaggio dei Marines ha volato molto più basso di quanto non fosse autorizzato, mettendo a rischio se stesso e gli altri. Raccomando che vengano presi i provvedimenti disciplinari e amministrativi appropriati nei confronti dell’equipaggio, e dei comandanti, che non hanno identificato e disseminato le informazioni pertinenti riguardo ai voli di addestramento. Gli Stati Uniti dovranno pagare tutte le richieste giustificate di risarcimento per la morte e il danno materiale provocato da questo incidente».
L’equipaggio e le carte sbagliate
Sull’aereo militare decollato dalla base di Aviano (denominato EA-6B) ci sono il pilota e capitano Richard Ashby, il navigatore Joseph Schweitzer, il capitano William Raney e il capitano Chandler Seagraves. Quella squadra, si ricorda, non era nota per episodi di «flat hatting», ovvero di volo spericolato. Tuttavia Ashby il 24 gennaio era stato richiamato per essersi tenuto troppo basso durante una missione. Secondo quanto ricostruito il 2 febbraio è Schweitzer a studiare la rotta per il volo di addestramento a bassa quota. Il punto è che lo fa sulle carte sbagliate.
Perché? Il comandante dello Squadrone, tenente colonnello Muegge, e i suoi assistenti non avrebbero informato direttamente i piloti sulle nuove limitazioni (da qui la richiesta di Pace di sanzionare anche loro). Dall’agosto 1997, infatti, il governo italiano ha introdotto nuove regole sui voli a bassa quota nella nostra regione: è vietato scendere sotto i 2000 piedi, ovvero i 700 metri. Eppure quella direttiva, come le carte che indicavano la presenza della funivia, vennero trovate nella cabina dell’aereo. Mai visionate.
Nel 2005 i piloti colpevoli della morte di quelle 20 persone vennero premiati per le loro missioni in Iraq.