Ci sono due domande alle quali faccio spesso fatica a rispondere: dove abiti? Che lavoro fai?
So perfettamente che può risultare strano, ma come fai a descrivere casa tua quando vivi costantemente in giro per il mondo macinando migliaia di Km al mese, sostando in media 72 ore per ogni località e passando 1/3 del tuo tempo vitale in aeroporti, stazioni o mezzi di trasporto?
Credo che molti di noi non pensino che possano esistere persone nella nostra società che per scelta vivono pienamente i loro sogni rischiando tutto e mettendosi completamente in gioco. Esseri umani che hanno deciso di non rassegnarsi alle false certezze, ma che uscendo da tutti gli schemi fanno nella vita quello che gli piace veramente. Se potessimo chiedere ai cittadini di tutto il mondo “chi effettivamente vive la vita come vorrebbe e chi fa un lavoro che realmente ama con tutto il cuore?” quanti potrebbero realmente alzare la mano? Non la maggioranza di certo.
Lo ammetto, non sono ricco e non posseggo molti beni materiali. In questi ultimi anni la mia casa è composta da due trolley e uno zaino; dormo costantemente in letti diversi, ricevendo non di rado e-mail da amici di diverse città che mi dicono di avere ritrovato in casa loro qualcosa di mio: una mia sciarpa, un paio di scarpe o un giubbotto. Una vita affascinante, ma di certo non semplice che, grazie alla mia famiglia allargata composta dalla rete di meravigliose amicizie sparse per il pianeta, mi hanno permesso di portare avanti e divulgare le mie idee e i miei progetti.
Ed eccoci all’altra risposta difficile che riguarda proprio il mio lavoro. Sono talmente tante e diverse le passioni che porto avanti quotidianamente che risulta complicato spiegarle, figuriamoci comprenderle. Fino a quando racconto che sono un regista e produttore cinematografico, che mi occupo di documentari socio-antropologici e di spot pubblicitari tutto sembra rientrare nella norma. Poi inizio a raccontare che dopo aver realizzato un documentario, La voce del corpo, sulla gestualità dei siciliani sono diventato ufficialmente un esperto di gestualità italiana e ho iniziato collaborazioni in qualità di coach con il National Theatre di Londra e diverse TV (BBC, RAI) fino a diventare una sorta di “professore di gestualità italiana” conducendo workshop in diverse Università in giro per il mondo, masterclass per studenti di italiano e conferenze scientifiche sulla comunicazione non verbale italiana. A questo punto la prossemica del mio interlocutore si trasforma visibilmente.
Quando mi trovo davanti una donna, la prima reazione è di grande stupore e curiosità visibile sul suo viso, grazie alla dilatazione delle palpebre e l’avvicinamento del corpo in segno di apertura seguito da una tempesta di domande realmente interessate. Mi diverte osservare come invece nel comportamento dell’uomo solitamente si intravede un sottile scherno e sospetto, visibile grazie all’allontanamento fisico, in segno di chiusura, e l’inarcamento del sopracciglio che precedono l’immancabile domanda: ma quindi ti pagano davvero per fare questa cosa? È proprio in questo momento che io rispondo chinando più volte il capo verso il basso inarcando entrambe le sopracciglia, aprendo la bocca e allargando le braccia con il palmo della mano verso l’alto, gesto che nel codice italiano significa: Ebbene sì! So che può sembrare strano ma è così.
Di certo non potrei fare tutto questo da solo. Ho la fortuna di ricevere l’amore di due donne eccezionali che mi sostengono totalmente e sono perni fondamentali del mio lavoro: mia madre Angela e mia sorella Liana. In perfetto stile italiano siamo un’azienda di famiglia. Il mio braccio destro è mia sorella che, nonostante gesticoli molto meno di me, sostituisce magistralmente la mia parte sinistra del cervello, organizzandomi la vita e le attività in tutto il mondo. Mia madre, invece, è una cuoca straordinaria e spesso ha provocato in tutti i suoi clienti uno dei classici gesti per esprimere bontà, che consiste nel roteare in senso orario avambraccio e mano abbinando un’espressione del viso di soddisfazione che porta a stringere le labbra con una smorfia o dilatare la bocca con emissione di un tipico suono di goduria culinaria. Non a caso ho deciso di farle curare quasi tutti i catering dei miei film fino a quando mi sono accorto che i miei collaboratori partecipavano ai progetti solamente perché era mia madre a cucinare per tutti e non perché attratti dalla mia idea.
Pensate che adesso lei con la sua arte è diventata coprotagonista del mio spettacolo teatrale La voce del corpo sulla gestualità italiana VS il resto del mondo. Forse vi starete chiedendo ma perché ci sta raccontando tutto questo?
In questo caso vi suggerirei di utilizzare al posto della parola uno dei gesti italiani più stereotipati al mondo ma meno conosciuti nel suo vero significato che è quello delle dita della mano disposte a formare un carciofo e portate avanti e indietro con un movimento veloce. Chiaramente dovrete sempre abbinare la giusta espressione del viso altrimenti il gesto diventerebbe monco.
Come al solito mi sto dilungando. In realtà volevo solamente introdurvi brevemente la mia storia e invitarvi a seguire i miei prossimi racconti che sveleranno volta per volta pezzi importanti della mia ricerca sulla gestualità italiana e la comunicazione non verbale nel resto del mondo sempre correlata all’intelligenza emotiva e sociale. Una ricerca che continua ad evolversi giorno dopo giorno in ambiti sempre diversi incrociando magicamente tantissimi campi di interesse come sociologia, antropologica, linguistica, cultura, comunicazione, psicologia, teatro/danza e tanto altro ancora.
Credetemi, non potete immaginare quanto mi piacerebbe osservare di nascosto la vostra mimica mentre state leggendo queste parole.