Un poeta e saggista messicano, nonché premio Nobel per la letteratura, Octavio Paz, affermava che “l'arte non è mai piatta descrizione di quello che vedono i nostri occhi, è bensì rivelazione di ciò che è oltre l'apparenza...”.
Ed è senz'altro una citazione quanto mai pertinente a introdurre la mostra Il mondo che non c’era. L'arte precolombiana nella Collezione Ligabue, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue, e dedicata alla vita e alle cosmogonie delle culture Meso e Sudamericane prima di Colombo, in corso ora a Venezia a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti.
Uno spettacolare viaggio nelle civiltà precolombiane dentro una rassegna che va ben oltre la visione culturale del tradizionale asse Roma-Grecia–Oriente, per presentare invece le tante e diverse civiltà della Mesoamerica (gran parte del Messico, Guatemala, Belize, parte dell’Honduras e del Salvador) e il territorio di Panama e delle Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, fino a Cile e Argentina): dalla cultura Chavin a Tiahuanaco e Moche, fino agli Inca.
Le opere in mostra provengono dalla vasta Collezione Ligabue, ed è, quindi, un omaggio alla figura di Giancarlo Ligabue (1931- 2015) - paleontologo, esploratore, imprenditore illuminato e appassionato collezionista. Curata da Jacques Blazy, la rassegna, che raccoglie oltre 150 opere, presenta le società, i miti, le divinità, le scritture e le capacità artistiche di popoli, costumi e tradizioni.
Così, il viaggio nel cuore delle civiltà Mesoamericane prende il via dalle testimonianze delle cultura Tlalica e Olmeca (dal 1200 al 400 circa a.C.), con esempi di figurine antropomorfe di ceramica cava provenienti da necropoli - per lo più rappresentazioni femminili con un evidente deformazione cranica –, che furono motivo di fascino anche per i pittori Diego Rivera, Frida Kahlo e i surrealisti. La cultura Olmeca, diffusa tra Mesoamerica e Costa Rica, si ritrova nelle statuine di donne nude, giocatori della palla, coppie o danzatori dai corpi modellati e realistici, nella produzione lapidea tra il 500 a.C. e il 500 d.C., che si svilupperà nella scultura Mezcala, espressione artistica tanto enigmatica da suggestionare André Breton, Paul Eluard e lo scultore Henry Moore.
Ma è tra il 300 a.C e il 250 d.C. che l’Occidente del Messico si distingue nella realizzazione di tombe a pozzo collocate sotto le abitazioni. Il viatico funebre di queste tombe – formato da ceramiche a forma di granchio, armadillo, rospo – sono un'idea della vita quotidiana e della religione. Ed ecco la regione di Chupicuaro con le statuette policrome di ceramica cava, quali “Grande Venere” dalle mani congiunte sul ventre, la testa deformata e gli occhi aperti a mandorla. A seguire Teotihuacan: il primo vero centro urbano del Messico centrale, “la città dove si fanno gli dei” e dove furono costruiti monumenti quali la Piramide del Sole, e la Piramide del Serpente piumato. Ma famose e inconsuete sono le “maschere di Teotihuacan”, con il volto a forma di un triangolo rovesciato, fronte e naso larghi, labbra spesse e sopracciglia marcate.
Della cultura Zapoteca - regione di Oaxaca dal 500 a.C. al 700 d.C. - sono presenti le famose urne cinerarie che appaiono dal 200 a.C. al 200 d.C., con la loro effige spesso antropomorfa, rappresentante un personaggio seduto con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia – probabilmente Cocijo, dio zapoteco della pioggia, del fulmine e del tuono. Senz'altro singolari sono le statuette realistiche in ceramica della cultura classica della Costa del Golfo, e le statue che rappresentano personaggi sorridenti o ridenti. A risaltare nella cultura dei Maya sono le opere che rappresentano le divinità, gli animali addomesticati come i tacchini, i nobili riccamente adornati negli abiti e con bellissimi gioielli (spettacolare la collana di giada) raffigurati in sculture o stele. E bellissimi sono i vasi Maya d’epoca classica, riccamente decorati, che raccontano della società di questa civiltà. Le divinità dell’inframondo, i giocatori della palla, il drago celeste, il dio K’awiil sono i protagonisti che popolano il vasellame in mostra.
Azteche invece due sculture in pietra provenienti dal Messico una delle quali raffigurante Chicomecoatl (Sette Serpenti), la dea del mais, con il suo copricapo denominato amacalli o “casa di carta”, formato da un’armatura di canne ricoperta di carta e di corda. Il viaggio continua con le testimonianze dal Sud America: dalla spettacolare produzione delle prime ceramiche delle Veneri ecuadoriane di Valdivia, agli oggetti degli Inca; dal mondo dell’antico Chavin o dai tessuti e vasi della regione di Nazca, all’affascinante cultura Moche, sino all’oro dei Tairona, per un nuovo viaggio alla ricerca di nuovi mondi e identità.