Ci sono giorni in cui la dimensione dell’ordinario è sospesa, e nello squarcio irreale che irrompe nel quotidiano trovano spazio le figure dell’immaginario. Sono i giorni del solstizio: mai i vivi e i morti si trovano tanto vicini!
Il Natale e le sue dodici notti d’incanto sono il tempo in cui gli spiriti si spingono oltre la soglia del nostro mondo e gli antenati tornano a benedire chi è rimasto, per ricevere e portare doni. La dodicesima notte è quella che ripara la lacerazione, che richiude il sipario fantastico. È la notte della donatrice, la grande antenata dell’umanità. La chiamiamo Befana, ma ha avuto molti nomi e molti volti: nomi e volti potenti, a volte benevoli e a volte terrificanti.
Non l’abbiamo forse sempre ammirata con stupore, come un’ospite enigmatica, tra i riti e i simboli del Natale cristiano? Lei che osserva con sguardo antico lo scenario agreste del presepe, la natività, i Magi, pur appartenendo a un tempo ben più remoto. Si accomoda tra le nostre tradizioni come una Madre Terra dimenticata, inglobata nel vortice trasformatore del tempo; si lascia temere e benvolere, e la sua visita restituisce all’umanità ciò che è più prezioso.
Con un viaggio astrale percorre gli spazi che la separano dal mondo terreno. Antichi demoni inferi le hanno già tracciato il percorso, quelli che in epoche lontane, al volgere del solstizio, volavano sopra i campi appena seminati per propiziare i raccolti.
La sua scopa è un veicolo magico: si annovera tra gli oggetti domestici che accompagnano da sempre i lavori delle donne, ma nel suo portentoso volteggiare c’è di più. È posseduta da antichi spiriti dendrici che le infondono soffio vitale, energia segreta, un dinamismo soprannaturale. Tra le fibre del suo bastone sopravvive la sacralità dei rami sacri, le sue setole profumano di saggina, di verbene, di erica, di ginepro: erbe che scacciano il malocchio, che tengono lontane le forze antagoniste. La scopa ammucchia, raccoglie ed elimina le scorie inutili, spazza via ciò che non serve, ciò che è di troppo, che intasa la nostra vita. Purifica e riordina. Anche i resti possiedono una loro magia.
Che sia un viaggio reale il suo, o un volo magico, condotto in spirito, non fa differenza. Lei è una vecchia sciamana, ne siamo certi, e ha insegnato alle streghe a librarsi nel cielo.
Il suo viaggio termina sul limitare di una soglia magica, quella del focolare. Si cala dal camino perché è lì che si raccolgono le energie della vita famigliare; il condotto della cappa è una porta dimensionale, un percorso trascendente che facilita il passaggio del soprannaturale. Sicuramente lei sa maneggiare con destrezza tutti gli strumenti per rinvigorire la fiamma, perché governare il fuoco è da sempre un lavoro da donne. Come Vesta, la Befana veglia sulla fiamma, non lascia che si estingua. E quando porta in dono carbone e cenere, custodi del fuoco latente, non è per punire i bambini: sono materie archetipiche, doni fatati da conservare come tesori, il residuo simbolico di una combustione antica.
Ed è soprattutto a loro, ai bambini, che l’antenata reca i suoi regali spirituali: in loro è riposta la continuità del clan, a loro, che per capacità di meravigliarsi sono ancora in comunicazione con le entità invisibili, consegna la sua eredità.
Ma un po’ di paura, quella sì devono averla: guai a prendere troppa confidenza col mistero! Certe creature sanno essere madri e matrigne, richiedono rispetto delle regole.
Dal raccoglimento del focolare, poi, il fuoco dell’Epifania si propaga alla dimensione collettiva. E lì si trasforma in un grande falò purificatore. Eppure non dobbiamo spaventarci nel vedere i fantocci della Befana gettati in quei fuochi: non sono i roghi che la storia ha riservato alle streghe. Tra le faville scoppiettanti la Vecchia interpreta il suo ruolo più archetipico, quello di una Madre Natura sfinita dall’inverno, che ha concluso le tappe vitali attraverso le stagioni; è stata fanciulla in primavera e poi donna feconda nei mesi della calura estiva; ora è il momento di svanire nell’assopimento, ma solo per predisporre il nuovo ciclo vitale. Il fuoco propizia la nuova semina, allontana le entità negative; le sue faville parlano, per chi ne sa interpretare il linguaggio arcano, la direzione e il crepitio. Svelano il futuro.
La cenere residua avrà poteri fatati, taumaturgici e fertilizzanti per la terra. Lei, intanto, nelle calze dei bambini ha lasciato i suoi doni magici. Prodotti semplici e sobri: frutti e dolci, noci e nocciole: nutrimento reale, psichico e spirituale, semi simbolici da spargere per un nuovo anno fecondo. Carbone, per rinnovare il fuoco.
Infine, tra quelle fiamme la Befana si dissolve e prende congedo dai vivi: non è bene che gli spiriti si trattengano a lungo. Portata la sua benedizione, varcherà nuovamente la soglia invisibile.
È la notte dell’Epifania, il tempo del sogno e delle trasformazioni.