In quel capolavoro che è l’Antologia di Spoon River, l’autore, Edgar Lee Masters, dà voce ai defunti di un piccolo paese americano: sono storie ricche di pathos, dove le vicissitudini dolenti di uomini e donne s’intrecciano mostrando come nella banalità di una vita all’apparenza tranquillamente piccolo borghese si nascondessero odi, violenze, abusi. È una denuncia dell’ipocrisia di una società e di un’epoca, ma è anche lo spaccato della debolezza e dell’infelicità umane, dove sembrano solo salvarsi i perdenti, nella loro purezza di rassegnazione.
Se facciamo un enorme salto geografico, storico e linguistico e planiamo in una grande città europea, in un grande e storico cimitero, il “Monumentale” di Milano, ecco che le sobrie lapidi americane sono sostituite da monumenti raffinati e imponenti, una vera antologia della scultura e architettura dall’Ottocento fino ai giorni nostri, a volte dolorosamente mesti, a volte caratterizzati da uno sfoggio di potere e fama “post mortem” in contrasto con la caducità e la riservatezza che il luogo richiederebbe.
Fulcro del “Cimitero Monumentale” è il “Famedio”, che raccoglie le spoglie o solo ricorda i milanesi e le milanesi (anche se queste ultime in numero ingiustamente ridotto) che hanno fatto grande la città, anche se non sempre le iscrizioni funerarie di questi personaggi sanno rappresentare veramente l’umanità e la personalità del defunto.
Ecco allora soccorrerci una studiosa della cultura e del dialetto ambrosiani, Paola Cavanna, docente di quel Circolo Filologico, che è una delle maggiori istituzioni di studio, ricerca, valorizzazione del patrimonio storico, letterario, e non solo, della città lombarda. In due sue raccolte poetiche, Dòna de cent color e Stria in ciel, ci propone un’antologia di ritratti tutti al femminile, che vanno da Eva a Saffo, da Gaspara Stampa a Ofelia, da Iside a Dian Fossey, assieme ad altre figure immaginarie o tratte dalla tradizione milanese.
E proprio in tema di Milano, i suoi ritratti compongono una variopinta e coinvolgente storia della città, dalle origini alla contemporaneità. “Le poesie di Paola – scrive Anna Buscemi Beltrametti nella prefazione di Dòna di cent color – sono il più bel controcanto, ora tragico ora giocoso, alla monotona litania sulla scomparsa delle donne. Sono la testimonianza del permanere, per molti inquietante, delle donne nella vita e nell’immaginario, della loro energia nel presente che si nutre della forza antica degli archetipi, mentre la bellezza esangue delle veline si appanna e su esaurisce con i loro più effimeri e deboli modelli mediatici … ”.
In particolare, e proprio per dissacrare la patina celebrativa delle lapidi del Famedio, la Cavanna sceglie l’immediatezza e la sobrietà del dialetto, un dialetto, come sottolineato nella prefazione sopra citata, che conduce indietro: “Attraverso Franco Loi fino al Porta, ai suoi spaccati di vita, al suo popolo, ai suoi corpi pulsanti …”, ma anche un dialetto, come sottolinea poi nella postfazione Benedetto Bonfiglio, che esce dai canoni del ricordo nostalgico e assume : “un aspetto disturbante: il dialetto, non meno rapace del solito, è affidato a donne morte che ritornano e, solo parlando, si appropriano di pezzi del mondo del lettore …”.
Rivisitiamo dunque il Famedio, a cominciare da Anna Kuliscioff, grande figura di militante socialista, che dalla natia Crimea si stabilì a Milano a fine Ottocento e divenne la “Dottora di poaritt” e che, con le sue ricerche sulle febbri puerperali salverà milioni di donne dalla morte postparto. Al suo funerale, nel 1925, un gruppo di squadristi ne devastò e oltraggiò il feretro: “Mè primm battit l’è staa per l’anarchia. / el segond per Milan, mia patria noeva / col so canal che me fa a ment caa mia, / coi so tosann con ‘na vita che je proeva // Con la fever ch’je brusa e pòrta via / ranzaa da la miseria e malattia // E pròppi lì in del coeur de Milan / l’ambulatòri per la pòra gent / che l’ariva strasciada, senz’arsgian / pièna de piagh, dolor, tribulament …” (Il mio primo battito è stato per l’anarchia, il secondo per Milano, mia nuova patria, coi suoi canali che mi ricordano casa mia, le sue ragazze con una vita che le prova. Con una febbre che le brucia e porta via, falciata dalla miseria e malattia. E proprio lì nel cuore del mio Milano l’ambulatorio per la povera gente che arriva stracciata, senza denaro, piena di piaghe, dolori, tribolamenti …).
“Han strasciaaa i parament, streppaai còronn, / faa del mè funeral fera, on mercaa / m’hann insultada, spuada, col scompònn / fin la mia cassa,. ‘Sti pòrch m’ann oltraggiaa / L’è cambiaa el vènt, adess l’è ‘na bufera, / in de la moeulta, bordéghen la bandera! ” (Hanno stracciato i paramenti, strappato le corone, fatto del mio funerale fiera, un mercato, mi hanno insultata, sputata, col scompormi fin la mia cassa. Questi porci mi hanno oltraggiata. È cambiato il vento, adesso è una bufera, nel fango sporcano la bandiera!).
Altra donna, pur di altro ambiente e di altra storia che, a distanza di quasi un secolo ha condiviso la passione politica e morale della Kuliscioff e, purtroppo, lo stesso oltraggio (il processo contro i responsabili della violenza di cui fu vittima giunse a sentenza definitiva solo dopo 25 anni, con la relativa prescrizione …) è stata Franca Rame, scomparsa nel 2013: “Sul palch scènich, in piazza per i dònn / hoo vosaa i so diritt e condizion / E inscì hoo inzigaa on ròsc de “galantòmm” / che s’hinn dovraa per damm ona lezion // Di òmen la giustizia, indifferént / gh’ha miss vinticinqu ann … per fa on bel niént! // Mì son stada madòna oppur puttana / subrettòna sbiottada e irriverént / mònega, principessa e popolana / mila vit, mila facc …” (Sul palcoscenico e in piazza per le donne, ho gridato i loro diritti e condizioni. E così ho istigato un gruppo di “galantuomini”, che si sono adoperati per darmi una lezione. Degli uomini la giustizia indifferente ci ha messo venticinque anni …per fare un bel niente!. Io sono stata madonna oppure puttana, subrettona nuda e irriverente, suora, principessa e popolana, mille vite, mille facce …).
E così descrive il suo funerale: “On pann ross per quattamm: la mia bandera / on còr che canta l’Internazional / e sont in piazza anmò, spavalda e fiera / a cred anmò e sperà in l’ideal // Senza benedizion, ‘me antiga artista / con fed che se gh’è ‘n Dio, l’è comunista!” (Un panno rosso per coprirmi: la mia bandiera, un coro che canta l’ Internazionale, e sono in piazza ancora spavalda e fiera, a credere ancora e sperare nell’ideale. Senza benedizione, come antica artista, con fede che se c’è Dio, è comunista!).
Paola Cavanna ha voluto poi onorare così una grande poetessa tumulata nel Famedio, Alda Merini, scomparsa nel 2009: “Tropp’òmen fumaa a svelt / ‘ me na sigarett / schisciaa in del portacèner / de la vita / Fumm che soffega: / polmoni in asfissia / Cala l’ombria: mila fantasma / balla dént el coo / El mur de gòmma / anmò se leva sù …Vosi e la vos / l’è rauca / sgangherada / ‘me quella d’usel matt / ciappaa in la red / Sont in ponta de pee: /l’abiss del mond / se sbaratta inzigos / e seducént … /Pù niént … pù niént / rèquia oh mè coeur vegg / sénza pù arlia / On sbris de lus / splendént / el taja el scur ... / La speranza la sgora / e mì / taccada a la soa ca /me sferli dént el ciel / ‘me nivola liggera / e inconsistént …” (Troppi uomini fumati alla svelta, come sigarette, schiacciate nel portacenere della vita. Fumo che soffoca: polmoni in asfissia. Cala l’ombra: mille fantasmi ballano dentro la testa, il muro di gomma ancora si leva … Grido e la voce è rauca, sgangherata, come quella di un uccello folle preso nella rete. Sono in punta di piedi: l’abisso del mondo si spalanca istigante e seducente … Più niente … più niente, riposa oh mio vecchio cuore senza più malinconia. Una scintilla di luce splendente taglia il buio … La speranza vola e io, attaccata alla sua coda mi dirado nel cielo, come una nuvola leggera e inconsistente …).