La fuga dei cervelli dall'Italia non è un fenomeno che si manifesta unicamente nel mondo della ricerca. Il brain drain riguarda anche il settore della cultura coinvolgendo quindi musicisti e artisti in generale. A raccontarci la sua storia è Stefano Guarascio, giovane e pluripremiato pianista salentino che, da un incantevole territorio come quello pugliese, ha portato il suo talento nell’ammaliante città di Doha, in Qatar.
Aveva appena sei anni quando, con una tastiera in mano ricevuta in dono a Natale, sorprendeva chiunque l’ascoltasse cogliendo la sua innata inclinazione a suonare con estrema facilità qualsiasi melodia. Ebbero così inizio i suoi studi di pianoforte fino al diploma, a soli 18 anni, con il massimo dei voti, lode e menzione speciale al Conservatorio Tito Schipa di Lecce sotto la guida del maestro Carlo Scorrano. Ha poi frequentato numerosi corsi di perfezionamento e masterclass con i più grandi insegnanti di pianoforte del panorama mondiale vincendo oltre trenta primi premi in concorsi nazionali ed internazionali. Tra i diplomi conseguiti, inoltre, degno di menzione è quello ottenuto cum laude presso l’Accademia Nazionale Santa Cecilia a Roma con il maestro Benedetto Lupo.
"Se dovessi sintetizzare in due parole la mia vita – sostiene Stefano Guarascio - userei il connubio musica-viaggio. Fin da piccolo ho cominciato a spostarmi in Italia per i primi concorsi. Poi, pian piano, gli spostamenti sono diventati più importanti: prima ho cominciato a conoscere nuove realtà europee e poi extracontinentali, entrando a contatto con culture straordinarie e musicisti di fama internazionale. Ho avuto l'onore di suonare con la grandissima violista Nobuko Imai nella sala Argenta a Santander in Spagna, di esibirmi in diversi Paesi del mondo, come Australia, Belgio, Corea del Sud, Austria, Russia e molti altri, di conoscere e studiare nel prestigioso Conservatorio di Mosca e nel Mozarteum di Salisburgo. Un'esperienza particolare nella mia vita sicuramente l'ho vissuta in Giappone, a contatto con una realtà culturale che si accosta quasi con sacralità alla musica classica. Tutti i miei concerti eseguiti lì erano circondati da un silenzio quasi mistico. Un'altra esperienza che ricordo con entusiasmo e commozione è inoltre il concerto ai Musei Vaticani: un'emozione unica il privilegio di poter suonare nella Sala di Raffaello, tra capolavori di straordinaria bellezza".
Dopo innumerevoli viaggi, emozionanti e formativi, Stefano Guarascio approda a Doha, dove attualmente è docente di pianoforte in uno dei più prestigiosi college inglesi presenti sul territorio e dove cerca di trasmettere ai tanti giovani di nazionalità e cultura diverse, la sua connaturata passione per la musica e tutti gli insegnamenti appresi dai grandi Maestri.
Liszt sosteneva che “il pianoforte concentra e riassume dentro di sé tutta l'arte universale”. Come interpreti questa frase?
Il pianoforte è uno degli strumenti musicali più completi, perché in grado di imitare il timbro di numerosi strumenti dell'orchestra (oltre che della voce umana). Suonato da un buon pianista è in grado di dare voce a mille sensazioni ed emozioni dell’animo umano. Per quanto mi riguarda direttamente, il pianoforte, oltre ad essere un potente mezzo espressivo è ancora uno strumento da scoprire nella sua interezza, esso mi sollecita ad essere sempre in sfida con me stesso, dunque a migliorarmi continuamente e a pormi sempre nuovi obiettivi.
Oltre all'entusiasmo e al talento naturale, quali sono le caratteristiche necessarie per diventare un bravo pianista?
Tanta costanza e dedizione. Non si ottiene mai molto se non si è animati da spirito di sacrificio. Spesso uno dei grandi errori che si tende a commettere è quello di fare affidamento solo sul proprio "talento" e a non applicarsi mai abbastanza. Quello che invece cerco di infondere anche ai miei allievi è di dedicarsi allo studio dello strumento con costanza e impegno, in modo tale che il talento posseduto possa essere espresso in tutto il suo potenziale.
Cosa senti emotivamente quando suoni il pianoforte?
Molto dipende dal brano che interpreto, dal periodo, dallo stile e dal compositore. In generale, quando suono cerco di essere il più rilassato possibile per poter meglio trasmettere la mia idea emotiva e creativa del brano che eseguo. In generale, cerco di capire sempre prima di suonare dove possa lasciarmi andare un po' di più e dove invece occorra essere più "rigorosi". Una buona parte dell'esecuzione è programmata in partenza, un'altra invece è lasciata all'improvvisazione. Un’esecuzione ben riuscita secondo me è quella che riesce a trovare il giusto equilibrio fra le due cose, raggiungendo l’obiettivo principale che è quello di emozionarsi e far emozionare.
Come è iniziata la tua carriera a Doha? Come ti hanno contattato e quali sono state le tue emozioni?
La mia carriera a Doha è iniziata davvero per caso, dopo essere venuto a conoscenza della necessità di un insegnante di pianoforte al Doha College in Qatar. Avevo da poco iniziato un corso di tedesco intensivo perché, una volta terminata l'accademia di Santa Cecilia a Roma, avrei voluto fare un'esperienza di vita e di studio all'estero, puntando quindi al trasferimento in Austria o in Germania. Ho comunque mandato la domanda assieme al mio curriculum e grande è stata la mia gioia quando ho saputo di aver ottenuto l’incarico: ora mi trovo a lavorare in questo prestigioso College, insieme a un bellissimo team di docenti, guidato da persone eccezionali. Sono inoltre onorato di aver potuto suonare in manifestazioni per l'Ambasciata sia italiana che inglese e in luoghi molto importanti come il Doha Exhibition and Convention Center per la quattordicesima Doha Jewellery and Watches Exhibition.
Quale ritieni possa essere il futuro di un musicista in Italia?
In generale, secondo me in Italia non si punta abbastanza sulla cultura. In particolare, la musica viene molto spesso considerata come un mero hobby e non come una disciplina di primaria importanza per lo sviluppo cognitivo di bambini e ragazzi. Anche in alcune scuole spesso manca un approccio alla musica di più largo respiro con la conseguenza che il bambino non si sente emotivamente molto coinvolto dalla dimensione musicale e può arrivare a considerarla noiosa o poco interessante. In tale contesto quindi, il futuro della musica (e dei musicisti...) in Italia non pare molto semplice.
Ritieni il tuo attuale lavoro un punto di partenza o un traguardo?
Io sono una persona che in inglese si direbbe molto "goal oriented": mi piace pormi degli obiettivi e raggiungerli. Ogni obiettivo raggiunto rappresenta sicuramente un punto di arrivo, ma che si trasforma, già il giorno dopo, in un punto di partenza verso altro. Concepisco la vita come una perfetta esecuzione pianistica: una buona dose di essa può essere programmata, un'altra invece la si deve lasciare all'improvvisazione.