C'è un colonnello dei carabinieri che ricorda il generale Dalla Chiesa, e forse anche un po' Primo Levi; una scrittrice testimone oculare di un rapimento che suggerisce la figura di Oriana Fallaci, poi lungo le quasi 300 pagine, la vicenda del rapimento di un parlamentare da parte delle SAP, Squadre d'Azione Proletaria che fa balenare alla mente il sequestro Moro. Insomma dalla genialità della penna di Roberto Riccardi, ufficiale dell'arma e scrittore è scaturito un racconto che ti risucchia in pieno periodo eversivo e stragista.
Siamo nell'anno 1974 e in Italia si sta svolgendo una vera e propria guerra civile. Iniziata nel '68 con le rivolte studentesche, con l'approvazione dello statuto dei lavoratori che innesca volontà paritarie e con la strage di piazza Fontana, la storia di un decennio circa vede contrapporsi gruppi della sinistra extraparlamentare a squadre di estrema destra, per non parlare di chi afferma anche il coinvolgimento dei servizi segreti e quindi di uno stragismo di stato. Anni nei quali nel mappamondo si gioca una guerra fredda tra USA e URSS, anni nei quali gli Stati Uniti si avventano in un battaglia cruenta e fatale come quella del Vietnam, anni nei quali in Italia il governo democristiano a capo del quale comanda Aldo Moro, apre ad accordi con i comunisti. Questi fermenti, insofferenze, malcontenti e politiche d'oltreoceano condizionano anche il nostro paese.
Kissinger non ammette che Moro sia così aperto a concessioni a sinistra e preme perché si tenga una linea dettata dalla NATO atta a tenere sotto controllo il comunismo, è l'era di Gladio, delle squadre pronte a intervenire anche se poi non interverranno mai, almeno pubblicamente, l'era dei depositi di armi sparsi su tutta la penisola che poi andranno in parte dispersi o forse utilizzati per dotare altre squadre. Tutto questo clima diventa, nel nuovo romanzo di Roberto Riccardi La notte della rabbia edito da Einaudi, materiale di elaborazione per la creazione di un caso: il rapimento del prof. Marcelli, attorno al quale gravitano satelliti, personaggi oscuri dell'Arma, spie della CIA, capi partigiani, superstiti di Auschwitz, carnefici nazisti che operano sul fronte orientale e occidentale, giovani studenti sovversivi e squadre d'azione proletaria.
Dentro a questi recinti, i buoni e i cattivi oppure i forti e i deboli coesistono lasciandoci intravedere i dubbi accanto alle certezze che sorgevano nell'ambito di tutte queste correnti di pensiero. Mi piace citare il discorso di Pasolini in merito allo scontro di Valle Giulia che dette il via alla rivolta studentesca: «Avete facce di figli di papà. Vi odio, come odio i vostri papà: buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo, siete pavidi, incerti, disperati. Benissimo; ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte con i poliziotti io simpatizzavo con i poliziotti, perché i poliziotti sono figli di poveri, hanno vent'anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia, ma prendetevela con la magistratura e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi, per sacro teppismo, di eletta tradizione risorgimentale di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe e voi, cari, benché dalla parte della ragione, eravate i ricchi; mentre i poliziotti, che erano dalla parte del torto, erano i poveri».
Accanto invece, una idea opposta di Eugenio Scalfari, resa sull'Espresso alcuni giorni dopo la manifestazione sotto la sede del Corriere della Sera: «Questi giovani insegnano qualcosa anche in termini operativi. L'assedio alle tipografie di Springer per bloccare l'uscita dei suoi giornali è un mezzo nuovo di lotta molto più sofisticato ed efficace delle barricate ottocentesche o degli scioperi generali. Ad un sistema "raffinato" si risponde con rappresaglie "raffinate". L'esempio è contagioso. Venerdì sera a Milano un corteo di studenti in marcia per dimostrare sotto il consolato tedesco si fermò a lungo e tumultuando sotto il palazzo del Corriere della Sera. Può essere un ammonimento per tutte quelle grandi catene giornalistiche abituate ormai da lunghissimo tempo a nascondere le informazioni e a manipolare l'opinione pubblica. Ammesso che sia mai esistita, la società ad una dimensione sta dunque facendo naufragio. Chi ama la libertà ricca e piena non può che rallegrarsene e trarne felici presagi per l'avvenire».
Il colonnello Leone Ascoli, colui che indaga e che è a capo del dipartimento anti eversione, ha una caratterizzazione forte: è un uomo che è stato segnato dagli orrori della Shoah che ha vissuto in prima persona, da deportato. Èquindi un personaggio riflessivo, pacato, estimatore del valore della vita, anche di quella della moglie che non c'è più, Leone si muove in punta di piedi nella sfera affettiva, con ritrosia davanti alla violenza, mai pronto alla vendetta, ma in una notte può sovvertire la priorità dei suoi pensieri e... sarà la notte della rabbia.
Roberto Riccardi ha abbracciato in giovane età la carriera militare, a 15 anni entra come allievo alla Scuola militare “Nunziatella” di Napoli. Successivamente ha frequentato l'Accademia militare di Modena e la Scuola ufficiali Carabinieri. Ha conseguito le lauree in Giurisprudenza e Scienze della sicurezza. È stato direttore della rivista Il Carabiniere, ha svolto per diversi anni mansioni operative in Sicilia, Calabria, Lazio, Toscana e nei Balcani per la missione di stabilizzazione di pace. È adesso capo Ufficio stampa al Comando generale dell'Arma dei Carabinieri a Roma.