Scrittore, musicista, compositore, produttore discografico, Pete Brown è stato per anni una delle figure più carismatiche e importanti dell’underground londinese. Affascinato dai poeti della beat generation, Brown scrive sin da ragazzo pubblicando alcuni lavori sulla rivista Evergreen Reveu. Nel 1960 si unisce al poeta inglese Mike Horowitz e dal loro sodalizio nasce il progetto New Departures, una formazione di teatro e musica d’avanguardia che porterà i propri spettacoli in giro per l’Inghilterra. Negli anni successivi si unisce alla First Real Poetry Band – sigla dietro la quale si celano musicisti come Ginger Baker, Jack Bruce, John McLaughlin e Laurie Allen – sviluppando progetti anche personali di jazz, poesia e cabaret.
Il grande salto, comunque, avviene quando nel 1966 vengono formati i Cream e Pete Brown ne diventa il fortunato paroliere. Insieme al bassista e fondatore Jack Bruce, infatti, scrive molti dei brani che porteranno la band inglese al successo internazionale. Così, dopo aver consegnato alla storia del rock inglese pagine memorabili come White Room, I Feel Free e Sunshine Of Your Love, allo scioglimento dei Cream il buon Pete decide che è arrivato il momento di allestire una formazione tutta propria, i Battered Ornaments, con la quale proporre un mix di poesia e sperimentazione sonora. A Meal You Can Shake Hands With In The Dark è un album ibrido, sfarzoso, eclettico, un grande affresco di spontaneismo poetico-musicale nel quale trovano spazio jazz, improvvisazione, boogie rock, ballate, blues revivale molto ancora, il tutto supportato dalla grande perizia strumentale di un manipolo di musicisti accuratamente scelti e selezionati (ci sono, tra gli altri, Chris Spedding alla chitarra e Dick Heckstall-Smith ai fiati).
Dark Lady, il brano di apertura, è un jazz rock esuberante e dinamico che ricorda i primi Colosseum, anche per l’uso incrociato del sax e delle tastiere i quali sembrano inseguirsi e dialogare per tutta la durata del pezzo. The Old Man ha sì la stessa impronta jazz del precedente, ma l’atmosfera è decisamente diversa: tanto brioso il primo quanto introspettivo e misterioso quest’ultimo, fatto di stacchi e vocalizzi prolungati, crescendo ritmici e suggestive digressioni chitarristiche. Station Song è una ballata scarna e a tratti inquietante, con la voce di Brown ora perentoria ora suadente la cui eco sembra giungerci da lontananze incalcolabili.
The Politician è ovviamente una rivisitazione del famoso brano dei Cream, una versione completamente stravolta che parte con un lungo recitato ai limiti del delirio drammatico per diventare poi un boogie inarrestabile e rumoroso. Rainy Taxi Girl è arrangiato morbidamente come un classico brano prog – flauto e violino sono in grande evidenza – nonostante la voce di Pete Brown, qui volutamente grezza e persino sgraziata, ne faccia una canzone tesa, nervosa, a tratti anche sofferta. Morning Call sembra un classico anni ’40 riproposto con strumentazione elettrificata e col piglio di chi può e vuole permettersi di scardinare ogni possibile convenzione tradizionale e alterarla in nome del rock’n’roll.
Standcastle è una lunghissima cavalcata per basso, batteria e flauto in cui si inseriscono improvvisi i vagiti lancinanti della chitarra di Spedding filtrata dal wah-wah. Travelling Blues Or The New Used Jew’s Dues Blues, come ci suggerisce lo stesso titolo, è un blues, ma lo è nell’accezione tutta speciale di questi Battered Ornaments che, per dodici minuti e tre secondi, ne sfruttano i tre accordi e le dodici battute per farne un canovaccio attraverso il quale esprimersi e improvvisare seguendo una libertà stilistica priva di barriere e inibizioni, una trama sonora che diventa tutt’uno con le parole graffianti e disinvolte di uno dei grandi protagonisti della stagione beate underground inglese. Un album da riscoprire, originalissimo, coraggioso per la sua impronta così poco commerciale e sostanzialmente privo di momenti deboli o cedimenti. Da riscoprire. Dove ascoltarlo? Seduti vicino al vostro giradischi mentre osservate i 33 giri dei Cream rimandandone l’ascolto.