Vetulonia fu un tempo il decoro della gente meonia: fu la prima città a far precedere dodici fasci e a congiungere ad essi, in silenzioso terrore, altrettanti scuri.
(Silio Italico)
A me non dispiace la teoria di quelli che sostengono che l'uso dei dodici littori sia stato importato dalla vicina Etruria, tanto questa tipologia di subalterni, quanto il loro stesso numero. Essi credono che ciò fosse così per gli Etruschi poiché, una volta eletto il re dall'insieme dei dodici popoli, ciascuno di essi forniva un littore.
(Tacito)
I simboli sono fragili e potenti, affascinanti e insidiosi, come un lago alpino, come un torrente appenninico. Possono essere utilizzati in modo innocuo, pacifico, oppure, i medesimi segni, diventare distruttive armi psicologiche, drammatiche icone. “Fascismo” è una parola che sintetizza un’ideologia, un partito, che ebbe nell’utilizzo politico di tale antico simbolo uno dei suoi segni distintivi. Gli “ismi” strumentalizzano sempre gli immaginari tradizionali. Possiamo ridurre culturalmente tutto il nostro sanguinoso Novecento nel duplice ultimo revival romantico dell’antica Roma (Usa, Italia) e dell’antica Sparta (Germania nazista, Urss).
Eppure l’utilizzo del fascio in epoca moderna non era una novità, né indicava un’appartenenza che oggi diremo “di destra” o conservatrice, anche grazie al revival sentimentale delle antichità classiche che iniziò con il Neoclassicismo e con lo Stile Impero, grande madre di ogni design moderno. Dopotutto siccome ogni epoca storica negli ultimi duemila anni ha avuto la sua ripresa dell’Antico il Fascio è sempre stato presente nel linguaggi simbolici occidentali. Ma andiamo per gradi.
Il Fascio nasce etrusco e romano. Il mistero resta racchiuso proprio nella sua origine. Non possiamo ridurlo a mera allegoria del potere. A quei tempi il potere non era limitato alla categoria del “politico” ma presentava forti tratti sacrali, magici, rituali. Non a caso non solo tutte le Magistrature di Roma avevano un seguito di littori, tanto più numerosi quanto più erano illustri, ma ne godeva anche il Pontefice Massimo e le Vestali. Anzi, il littore della Vestale aveva diritto di omaggio da parte degli altri. Segno che il Fascio non è solo un segno di Justitia e di Auctoritas, ma un emblema sacrale e spirituale. Le cariche e i collegi della Magistratura romana erano forme di classi sacerdotali per cui sia i riti del Diritto che le cerimonie pubbliche veicolavano sempre un valore evocatorio, propiziatorio e talismanico assai più profondo del mero valore pratico-sociale.
Il Fascio sembra poi celare un’implicita vocazione imperiale, cosmica già all’inizio del suo uso repubblicano. Lo allude la celebre frase di Silio Italico. Non avrebbe senso richiamare il silenzio e il terrore se non in presenza di un rito misterico propiziatorio, sacrificale, connesso all’erezione di un fascio. Accompagnava la fondazione di città? Forse. Presidiavano gli ultimi sacrifici umani, che ancora etruschi e antichi romani compivano in situazioni di sommo pericolo della Res Publica? Non dimentichiamo le scuri, né il numero 12 per i littori consolari. Troppo facili i riferimenti minoici, mai provati. Siamo in presenza degli archetipi più primordiali, universali. Territorializzarli ha per ora poco senso. Occorre liberarsi della principale piaga che affligge la mente degli studiosi: il “confrontismo acuto”, il sincretismo patologico, che fanno perdere il principio di identità e di distinzione, essenziale per ogni ricerca! Sarebbe come chiedersi: da dove sorge Roma, la città/civiltà d’Italia meno simile agli Italici antichi? Se proprio vogliamo evidenziare indizi simbolici della prima e più profonda Roma dovremmo far derivare l’Aquila storica dai primi 12 avvoltoi romulei. Ripeto: avvoltoi; così amati anche dagli auguri etruschi. Origine egizia di Roma?
Come tutti i simboli più rilevanti notiamo l’ambivalenza del Fascio, anche pratica: pace, onore e ordine, ma pure esecuzione penale, anche capitale, con le verghe e le scuri disciolte. Tipico del carisma di Roma antica che univa pragmatismo a un riservato simbolismo. Quale nume relato? Non certo Marte a cui è appannaggio solo la lancia. Forse Giano, per l’ambivalenza appena indicata oppure Hermes, che in un vaso greco viene raffigurato accanto alla madre Maia con un fascio di probabili verghe. La funzione rappresentativa e magica del Fascio mi sembra accostabile alle analoghe funzioni misteriche e rituali proprie del Caduceo di Hermes. Il mistero del Fascio penso sia ancora latente più nei suoi materiali che in altro: olmo, betulla, cuoio rosso. L’aspetto curioso della fortuna iconica di questo simbolo è il suo permanere inalterato per duemila anni nonostante l’utilizzo più vario: araldica, decorazioni architettoniche, allegorie morali, emblemi, stemmi. Interessante anche la sua presenza nelle panoplie, quale probabile elemento di sintesi visiva nell’assemblaggio di frecce e di lance; stilema che abbonda nelle arti decorative dal tardo rinascimento al barocco e fino al neoclassicismo.
Troviamo fasci in qualsiasi espressione del gusto e dello stile: sculture decorative di facciate di palazzi, candelabri, dipinti, affreschi, arredamento, incisioni e stampe, e sia nelle Chiese che nei luoghi laici della società e del potere. L’utilizzo politico quindi inizia nell’Ancient Regime, quale allegoria etica, decorativa, benevola, vagamente associata a valori di giustizia, valore e unità. È con la Rivoluzione Francese, tramite l’uso illuministico dell’allegorismo neoclassico, che il fascio, anche unito all’Aquila o al berretto frigio, diviene moderno emblema di un nuovo corso politico, indicante un ritorno ai fasti di una Repubblica Universale, idealmente simile a quella dell’Antica Roma. È paradossale ma così accadde: un segno implicitamente imperiale, regale, per la sua plurisecolare associazione alla Roma antica repubblicana diviene a fine Settecento nuova araldica e nuova mitologia idealistico-patriottica in senso radicalmente antimonarchico e progressista.
Così seguirono tutte le varie Repubbliche giacobine, napoleoniche e mazziniane che comparvero in Italia in poco più di cinquant’anni dalla fine del '700 ai moti del 1848, tutte adottanti il Fascio quale emblema rivoluzionario di una nuova epoca politica. Non nacquero gli Stati Uniti riprendendo stilisticamente anch’essi il Mito di Roma? Non si vestiva la corte di Napoleone nelle occasioni solenni e festose “alla romana” con toghe e pepli? Ovunque viene ripreso l’immaginario di Roma antica nel mondo ritorna anche il simbolismo del Fascio. Lo dimostrano gli stemmi/bandiere della nuove nazioni sudamericane sull’onda neonapoleonica dell’epos di Simon Bolivar.
Il massimo successo iconografico del Fascio si ha proprio negli Stati Uniti d’America: dall’emblema del Senato, dai fasci del podio del Congresso, fino al Lincoln Memorial e ai numerosi coni delle belle monete Liberty/Mercury. La storia di questo segno ci mostra un raro caso di congiunzione tra camaleonticità dell’utilizzo e delle ricontestualizzazioni e rigidità monocorde della valenza semantica. Il tutto senza scalfire l’immutato millenario mistero dell’essenza di tale fenomeno linguistico. La colpa del Fascismo fu di prendere troppo sul serio un simbolo, di voler invertire il rapporto fra reale e immaginario, di voler dominare un emblema asservendolo ai propri scopi di potere. Un simbolo già allora celebre, diffuso, conosciuto, apprezzato proprio per la sua efficacia di ambivalenza e congiunzione tra rivoluzionarismo e gusto per le forme antiche e tradizionali. Le immagini più semplici appaiono le più persistenti e ritornanti. Unire più rami insieme genera una nuova forza organica, come la stessa parabola di Menenio Agrippa dimostra.
La novità antica del Fascio è data dall’incrocio tra il tema dell’unione di più elementi verticali omogenei con quello della scure. La dialettica interna all’immagine è crociata, cruciale. Chi manipola i simboli difficilmente ne controlla le conseguenze…