“Messico e nuvole, la faccia triste dell’America, e il vento suona la sua armonica, che voglia di piangere ho…” così cantavano grandi voci come Jannacci o Conte.
Passione e dolore, strazio e coraggio, si incontrarono nelle calde terre messicane in un giorno del lontano 1907, Coyoacàn, per dare alla luce una creatura speciale, una donna talentuosa che ha fatto del suo dolore arte, uno sguardo profondo e penetrante, un nome, Frida Kahlo.
Aspra, sensuale e ambigua come una pellicola di Almodovar, il suo modo di dipingere mescola aromi diversi, per un cocktail fatto di naif, realismo e surrealismo. Ma, come confermato dall’artista, amica dei surrealisti, in particolar modo di André Breton, ella non dipingeva sogni, no, le tele di Frida sono intrise di dolore, di un forte dolore, di un dolore straziante, di grida sordide, una pittura impastata di lacrime e colori, caldi, terrosi, importanti.
Artista messicana di fama internazionale, la sua produzione ricopre all’incirca duecento dipinti, nature morte, ritratti di animali, e in numero preponderante, autoritratti, non a caso lei stessa diceva che era il suo soggetto preferito perché era con se stessa che passava la maggior parte del tempo.
Mille papaveri rossi i giorni di sofferenza dell’artista, un campo sconfinato di tragedia fiorente e personale; già da piccola fu costretta a restare a letto per nove lunghi mesi a causa della poliomelite, provocandole una grave malformazione al piede, a 18 anni invece, un terribile incidente stradale la vide ancora protagonista, l’autobus sul quale viaggiava si scontrò con un tram e Frida venne travolta da un palo di metallo fratturandosi gravemente la colonna vertebrale, il bacino e le gambe.
Abbracci spezzati, (ancora Almodovar) Frida si spoglia così della pelle che abita e la ripone, la nasconde nella sua pittura calda e commovente. Nel periodo trascorso ricoverata all’ospedale l’artista iniziò a dipingere, a dare voce, al dolore e alla sfortuna che aveva deciso di travolgerla. La sua esistenza fu costellata di operazioni e ricoveri, nel 1950 le furono amputate le dita dei piedi, affrontò numerosi trapianti ossei e operazioni alla colonna vertebrale, nel 1953 le venne amputata una gamba, costretta così alla sedia a rotelle, a causa dell’incidente non poté avere figli e l’aborto da lei subito fu ispiratore di un’opera importante come El Aborto del 1932 o come La cama volando, oli che non sono semplici rappresentazioni, ma veri e propri mondi personali, specchi nei quali noi possiamo entrare seppur in punta di piedi nelle ferite di Frida, profonde e intense. Ma non bisogna disperarsi nella disperazione, non bisogna affogare nell’oceano delle lacrime, lei stessa infatti affermava: “Che me ne faccio di voi piedi, se ho due ali per volare?” Mai arrendersi dunque.
La columna rota, del 1944, olio su tela, rappresenta la donna artista, con il busto diviso in due, la colonna vertebrale che si fa architettura morale spezzata, il volto e il resto del corpo puntellati da chiodi e le lacrime bianche che sgorgano dai profondi occhi neri, insenature di una geografia umana spoglia e sofferente, una trasposizione perfetta di un Cristo femminile, un martirio, una flagellazione. Il cielo viola avvolge la testa di Frida come un manto cupo senza promesse di alcuna felicità. Ma la pittura di Frida è un dono, è un antidoto, è una ricerca introspettiva aperta, che tende all’universo e ingloba i dolori di tutti; è insieme dolore e cura. È un rimedio. Sembra di sentire la voce di Gabriella Ferri:
Remedios, niña pequeña, chiquita, hermosa, preciosa
Linda niñita quedada así, sentada en la orilla del mar
y las manos llenas de perlas
el sol en tu frente y en la sonrisa
blanca orquidea, alma y paloma
y la alegría, tú cantas consuelo,
tú cantas esperanza, tú cantas remedios.
Calda, profonda, emotiva. Perché il tormento tempestoso di Frida non era solo fisico ma anche emotivo.Nel 1929 si sposò con il famoso artista, conosciuto soprattutto per i suoi grandi murales, Diego Rivera. Entrambi membri del partito comunista, legati da passione e feeling artistico, si separarono nel 1939 per poi risposarsi l’anno seguente, un rapporto burrascoso, che vide tradimenti da parte di Diego anche con la sorella di Frida, Cristina, e poi i flirt di lei con altre donne.
Qualche piccolo colpo di pugnale e Le due Frida, sono lavori che rappresentano al meglio la separazione dall’amore magnetico tra Frida e Diego. Come due calamite, si attraevano e si respingevano. La Frida con il cuore spezzato dà la mano alla Frida con il cuore intero, legate da un profondo legame, sono ritratti speculari di una vita assassina, che spezza, piega, squarcia. Nonostante tutto però i due avevano bisogno l’uno dell’altro e per Frida Diego rappresentava l’universo, il cosmo, la globalità, il tutto, come nel dipinto El abrazo de amor de El Universo, la tierra (Mexico), Yo, Diego y el senor Xòloti, olio su tela dl 1949, mistico, intenso, divino.
Un paradiso amaro quello di Frida, seducente e dai tratti forti ha affascinato chiunque la incontrasse, non a caso fotografata da grandi artisti come Immogen Cunningam, Edward Weston, Dora Maar, Lucienne Bloch, ritratta quasi sempre con i capelli raccolti, neri, a volte con qualche fiore come ornamento e quasi sempre con il costume delle donne di Tehuantepec simbolo di bellezza fascino, ma anche di coraggio, forza e intelligenza.
Morta troppo presto, a soli 47 anni, Frida ci ha lasciato un’importante testamento visivo, ricco di vissuto, di intensità sia cromatica che emotiva.
Le lacrime di Frida sono il colore di quelle tele, che giacciono lì, urlanti, mai silenziose, raccontano la loro storia, ma anche la nostra, e quando incontrerete Frida nei musei, per la strada tra la sue gente negli sguardi delle terre messicane, nei colori caldi, nei libri o in un film, sappiate che il suo dolore un giorno vi sarà utile, ci sarà utile.