La recente produzione artistica di Alberto Timossi si caratterizza per l’utilizzo di tubi industriali in plastica fusa, che tuttavia manipola, deforma e colora soprattutto di rosso, ormai segno distintivo del suo operare.
Inserendo questi elementi scultorei in torri (Torre Civica di Pomezia, 2012), in musei (Pastificio Cerere, Roma, 2006; MUSMA Museo della scultura, Matera, 2008; Raccolta Giacomo Manzù, Ardea, 2013-2014), nelle strade (Tokyo 1999), in edifici storici (Palazzo dei Consoli, Gubbio, 2014), nei parchi (Largo Gesto, Spoleto, 2003 e poi a Piazzola sul Brenta, 2013 e 2015; Beelden in Gees, Olanda, 2015; Bad Ragatz, Svizzera, 2015), realizza una connessione e contestualmente un mutamento dell’ambiente.
Timossi non si limita però a ricercare un dialogo con lo spazio urbano e architettonico, a inserire questi elementi soltanto in ambienti urbani storicizzati, ma anche in paesaggi naturali, come nel caso del progetto intitolato Fata Morgana – Dentro l’Antropocene (a cura della Takeawaygallery). Si tratta di un intervento di land art realizzato nel 2017 sulla superficie del lago del Col d’Olen, Comune di Gressoney-La-Trinité, Valle d’Aosta, a 2.722 metri di quota, con l’installazione di 33 elementi scultorei sull’acqua, di diversa altezza, galleggianti e in armonia con l’habitat. Un’opera ambientale quindi, dove l’artista riflette sul rapporto arte-natura-ambiente antropizzato. “Mi sono concentrato sul cambiamento climatico, sui ghiacciai e sul loro progressivo scioglimento e ho capito che il tema che mi interessava era l’acqua di fusione. Così è nato un canneto artificiale di colore rosso che, come una pianta, trae linfa da un lago glaciale di alta montagna, arricchito dai riflessi e dalle luci mutevoli dell’ambiente alpino: un miraggio, appunto Fata Morgana” (Alberto Timossi).
Di straordinaria valenza risulta la ciclopica installazione (in questo caso termine riduttivo) realizzata nello scenario sconfinato dei gradoni di marmo delle Cave Michelangelo a Carrara (2015-2016), dove l’artista ha messo in scena Illusione (sempre a cura di Takeawaygallery), un enorme tubo arancio lungo oltre 75 metri del diametro di 65 centimetri, che perfora l’anfiteatro delle Alpi Apuane.
I tubi rossi di matrice industriale, utilizzati comunemente negli impianti sotterranei, con Timossi si nobilitano in un fluido movimento che corrompe la staticità, escono allo scoperto, manifestandosi in piazze, musei, laghi e montagne, connettendo il fuori e il dentro, superfici e volumi, aria e acqua, vita e morte. Per il nostro artista i tubi, i suoi Flussi, sono un tramite, come la linfa per gli alberi e le vene per l’uomo, che irrora distribuendo un eterno passaggio di energia e rinnovamento, divenendo così elementi dominanti, iconici, dalla forte spinta tensionale e valenza simbolica. “I suoi lavori operano uno scardinamento continuo dei concetti elementari che regolano la speculazione sul lessico delle arti plastiche, mostrando come dalla contrapposizione tra convenzioni discordi si debba procedere ad una revisione dei loro limiti per confronto” (Carlotta Monteverde).
L’artista oltre a inserire tubolari in PVC rossi, ma anche bianchi e gialli, in numerosi contesti urbani, li ha presentati anche in molte personali, tra queste: Anywhere (Galleria Trebisonda, Perugia, 2005), Sequenze (Galleria Limiti Inchiusi, Campobasso, 2005), Partitura Urbana (Archivio Crispolti, Roma, 2009), Innesti (Galleria Endemica Arte Contemporanea, Roma, 2009), This is not a pipe (Spazio Monitor, Casa dell’Architettura, Acquario Romano, Roma, 2010), Passaggi d’autore (Pavart, Roma, 2012) e nel Museo del Foro Romano (Assisi, 2014).
In tutti i casi sono moltissime le letture che negli anni ne hanno dato storici e critici. Per Giorgia Calò “Viene a crearsi un rapporto sinergico, quasi simbiotico, tra arte e architettura che dialogano e si confrontano sullo stesso piano”; per Aldo Iori “Il tubo, comune forma archetipica del nostro vissuto, organico e non, è decontestualizzato ed elaborato per esaltarne le caratteristiche minimali e comunicative”; per Enrico Crispolti “Nel lavoro di Timossi c’è un protagonista assoluto: il tubo, che nella sua consistenza iconico-strutturale nasce dalla crescita di consistenza plastica di una orditura grafica spaziale”.
Già prima di concepire i titanici tubolari da impiegare nella realizzazione delle opere, tagliati, piegati, modificati cromaticamente e immaginati come speculazione sulle possibili trasformazioni dello spazio urbano, Timossi sperimenta possenti Vettori che traforano case e monumenti: “Già nel 2000 disegnavo innesti di grandi dimensioni sugli edifici, prevalentemente situati in periferia per assimilare i palazzi a masse scultoree. La volontà era di eccedere nelle misure e di confrontarmi con la scala urbana in una maggiore contaminazione con l’architettura”.
Alberto Timossi, all’anagrafe nato a Napoli nel 1965, in realtà risulta essere ligure-toscano, sia come origine familiare che come formazione, avendo frequentato, fin dal 1979 l’atelier dello scultore Franco Repetto a Genova, per poi iscriversi nel 1985 all’Accademia di scultura di Carrara, dove è stato allievo di Pier Giorgio Balocchi e Floriano Bodini approfondendo le tecniche di lavorazione del marmo. Nel 1989, al termine degli studi si trasferisce a Roma, dove insegna in un noto liceo artistico.
La sua ricerca lo ha portato nel tempo a concepire varie sperimentazioni: dalle grandi macchine di ferro (1992-1993), ai tubi che dialogano con i “dischi plastici” svettanti su una di piattaforma dell’artista Sauro Cardinali (Perugia 2003); dalla serialità degli elementi che assumono man mano una disposizione sempre più articolata e complessa (vedi Periplo della scultura italiana contemporanea 2, a Matera), a “scritture grafiche” nello spazio, curvilinee, sottili, flessuose, con una remota insinuazione di surrealtà, capaci di richiamare le opere di Marcel Duchamp, Francis Picabia e Fernand Léger. L’ultima sperimentazione concepisce grandi tubi vuoti internamente e quindi “percorribili”, utopici e visionari attraversamenti di un contesto urbano.
La sua ricerca artistica lo ha portato tuttavia anche a degli “sconfinamenti”, dove le opere vengono arricchite da elementi musicali, realizzando così vere e proprie sculture sonore. In realtà già nella performance Anywhere al Teatro Furio Camillo di Roma (2005), dei danzatori butoh interagiscono con le opere di Timossi, ma in Crisalide (Emufest, Festival di musica elettroacustica, Conservatorio di Santa Cecilia, Roma, 2011), a comporre i paesaggi acustici è il Maestro Simone Pappalardo, che collaborerà con il nostro artista in numerose occasioni, tra queste: Porte aperte: OrientaMenti (Palazzo Ruspoli, Nemi, 2009); Partitura Composita (Conservatorio di Santa Cecilia, Roma, 2009); Le forme del suono (Conservatorio Ottorino Respighi, Latina, 2011 e 2012); Accenti (Muspac, Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, L’Aquila, 2012); Riflusso (MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz città Meticcia, Roma, 2013); Voci (Galleria Interno 14, Roma, 2014).
Le opere di Alberto Timossi manifestano la combinazione di linguaggi antichi e contemporanei, la capacità metaforica di intuizione e anticipazione, capaci di sviluppare una profonda riflessione che ci parla del passato, del presente e del futuro.