Jung sosteneva che gli dèi negati si manifestano nel corpo sotto forma di malattia. Con questa affermazione dimostrava di avere colto l’essenza più viva della medicina primitiva, che per la sua natura sciamanica presentava forti contenuti rituali. I primi medici-sacerdoti con il simbolo avevano una grande famigliarità: le loro diagnosi attingevano a una superiore capacità di osservazione e interpretazione della realtà e la loro azione era il primo anello di un sistema tripartito del sapere medico, nel quale ai sacerdoti, che curavano con la magia del gesto e della parola, si affiancavano i guerrieri, esperti dell’arte chirurgica, e i contadini, detentori delle conoscenze erboristiche.
In questo orizzonte culturale il mito colloca la figura di Melampo, un autorevole medico indovino. Melampo aveva ricevuto il dono speciale della profezia durante il sonno, quando era stato avvicinato da alcuni serpenti che gli avevano leccato le orecchie trasmettendogli la facoltà di comprendere il linguaggio degli uccelli, considerati creature divinatorie. Tra gli episodi di guarigione per cui è ricordato, uno riveste particolare interesse per la forte valenza simbolica e per l’utilizzo di una pianta medicinale assiduamente citata nella farmacopea antica, la cui scoperta viene a lui attribuita, tanto da assumerne il nome nell’uso popolare. Si tratta dell’elleboro nero, erba indicatissima per la cura dei disturbi della psiche. Melampo, infatti, si trova coinvolto della diagnosi e nella terapia di una manifestazione di follia, quella delle cosiddette pretidi, le figlie del re Preto.
Le tre sorelle, giunte all’età delle nozze, avevano cominciato a manifestare forme di delirio. Alcuni sostenevano che fossero state punite da Dioniso per averlo disonorato rifiutando di aderire al suo culto; altri, che a lanciare la maledizione fosse stata la dea Era, poiché le giovani avevano dimenticato di onorare una sua statua. Il re si rivolse al famoso medico indovino Melampo, ma egli accettò di considerare il caso solo a patto che il sovrano fosse disposto a ricompensarlo con un terzo dei suoi averi e a promettergli in matrimonio una delle fanciulle, condizione che Preto rifiutò sdegnosamente. La malattia delle ragazze però non soltanto si aggravò velocemente, ma si estese come un’epidemia anche a numerose altre donne della città di Argo; queste, unite in una medesima psicosi, si erano convinte di essere state trasformate in vacche e vagavano muggendo fra i boschi e nei luoghi più remoti della Grecia, abbandonandosi senza pudore ad atteggiamenti privi di decoro. Alcune, nella loro spietata allucinazione, arrivarono perfino ad assassinare i propri figli. A questo punto Preto, mettendo da parte l’orgoglio, tornò nuovamente a chiedere l’aiuto di Melampo; il medico, però, nel frattempo aveva alzato la richiesta di compenso a due terzi dell’intero patrimonio del re.
Questi, suo malgrado, accettò. Melampo elaborò la sua proposta terapeutica prendendo spunto dall’osservazione: aveva notato che le capre quando avevano necessità di depurarsi si recavano spontaneamente a cercare la pianta dell’elleboro e se ne cibavano. Poiché anche l’invasamento delle giovani necessitava di una forma di purificazione, il medico le costrinse a bere il latte delle capre che avevano ingerito quell’erba; spinse poi l’eccentrica mandria fino alla città più vicina e fece immergere le donne in una fontana purificatoria eseguendo i riti adatti, accompagnati da canti, formule propizie e danze. Esse guarirono in breve tempo e Melampo fu ricompensato con la sposa promessa. Da quel giorno l’elleboro fu chiamato melampodio in suo onore.
In questo mito il protagonista si trova a fronteggiare un disturbo mentale, addirittura una psicosi collettiva femminile. Come medico sciamano si conferma esperto dei disordini della sfera psichica e per questa ragione il suo nome viene associato dall’eziologia dell’elleboro nero, che ne è il farmaco specifico. La malattia delle pretidi possiede tratti fortemente simbolici a partire dalla sua genesi. Si riteneva che essa fosse stata provocata da Dioniso, il dio che chiama le donne all’invasamento mistico e all’abbandono dei sensi, oppure da Era, per aver trascurato gli onori dovuti al suo simulacro: simbolicamente, per aver rifiutato il suo dominio, forse l’accettazione del matrimonio. Queste fanciulle, insomma, vivevano un forte conflitto con la propria femminilità, con quella più dionisiaca e sensuale, o forse con quella legata agli aspetti matronali del loro ruolo di future spose e madri. È evidente che l’intervento terapeutico dovesse inglobare l’anamnesi archetipica legata alle divinità disturbanti, al fine di ristabilire l’equilibrio fisico e psichico delle pazienti e guidarle verso l’accettazione del passaggio alla vita adulta.
Riguardo all’elleboro, la valenza magica e simbolica della sua vis terapeutica lo metteva al centro di sofisticate liturgie di raccolta, accorgimenti utili al raccoglitore che volesse evitare di rimanere danneggiato dagli effetti dell’inalazione dei suoi vapori, i quali provocano mal di testa e sopori. Il mito della guarigione delle figlie di Preto prelude all’uso terapeutico tradizionale di questa pianta, impiegata nelle pratiche purificatorie e nella cura della pazzia e dell’epilessia, e che i medici greci e romani ritenevano perfino in grado di guarire dalle paralisi. La medicina di Melampo dimostra di inserirsi in un campo di indagine della malattia che oggi definiremmo psicoanalitico, che scava nella complessità del vissuto e nell’analisi delle interferenze simboliche affida la ricerca di una soluzione terapeutica. Un approccio di grande modernità che abbiamo recuperato dalle radici più lontane.