Il dr. Alberto Valle, impiegato dell'importante Auto Avio Motor, viene convocato dal presidente dell'azienda e invitato a recarsi presso la villa del proprietario, l'ing. Giovanni Nosferatu. Giunto nella località rurale che circonda la dimora, Valli incontra Laura, una hippy che viaggia senza meta precisa, alla ricerca di esperienze che la portino lontano dalla quotidianità. Una volta arrivati alla villa, Laura decide di attendere il suo accompagnatore in automobile, mentre quest'ultimo si reca all'incontro con il magnate. L'atmosfera, che già nei dintorni del villaggio appariva sinistra, all'interno della tenuta di Nosferatu diventa ancora più gravosa e opprimente. Lungo il viale d'ingresso, Valle viene scortato da due Fiat Cinquecento bianche, guidate da strani uomini che non rispondono alle sue domande. Varcata la soglia della casa, trova ad attenderlo l'algida segretaria personale dell'ingegnere, Corinna.

Il successivo colloquio con Nosferatu porta con sé delle grosse sorprese: l'uomo d'affari propone infatti a Valle di diventare il nuovo presidente della compagnia, e per questo lo invita a trattenersi alla villa affinché maturi la propria decisione. Gli eventi si susseguono a ritmo incalzante, e Alberto si ritrova coinvolto in una strana ma coinvolgente relazione con Corinna. Tuttavia, durante alcune solitarie perlustrazioni fa una scoperta inquietante. Nella casa si trova una sorta di nido d'infanzia che ospita i figli dei dipendenti di Nosferatu e accanto al quale trova posto un registro dove sono schedati tutti i dipendenti sin dalla nascita; anche lui è fra le pagine del volume e di fianco alla sua foto da neonato vi è un'annotazione: «Alberto Valle, presidente A.A.M.».

Ma altre stranezze attirano presto la sua attenzione: le Cinquecento bianche mettono in atto una perlustrazione costante e spietata della dimora; nella cripta di famiglia è presente una bara che reca il nome di Giovanni Nosferatu e la sola data di nascita, 1801; gli abitanti del villaggio sono terrorizzati a sentir parlare degli occupanti della villa e dei loro frequentatori. Nel frattempo, Laura viene rapita e condotta col la forza al cospetto del sinistro ingegnere. Valle non tarda a scoprire che il suo ospite è un uomo senza alcuno scrupolo, con un potere totale non soltanto sui propri dipendenti ma su tutti i potenziali clienti delle sue molte aziende. Nosferatu riceve infatti personalità importanti del mondo della cultura, dell'industria e persino della religione, con le quali escogita la vendita di nuovi e vecchi prodotti, spesso dannosi per la salute.

Dopo aver compreso che Nosferatu rappresenta il nuovo volto del potere, quello del consumismo più bieco e incontrollabile, Valle decide di freddare l'ingegnere a colpi di pistola e scappare via dalla sua casa. La fuga sembra avere buon esito, finché, oltrepassato il cancello, incontra Laura. La ragazza ha perso del tutto l'aspetto originario, non è più disinibita come in precedenza ma indossa degli abiti che la rendono simile a un'elegante segretaria d'azienda. Non a caso, prima di allontanarsi e scomparire fra la nebbia, questa gli comunica di essere stata assunta da un'importante compagnia e di aver abbandonato del tutto i propri ideali.
Corinna, che aveva assistito alla scena, apre il cancello e riporta indietro il fuggitivo. Sulle scale i due ritrovano il redivivo Giovanni Nosferatu, pronto ad accogliere ancora una volta il suo prescelto.

In questa sua opera d'esordio (1971) Corrado Farina richiama in maniera esplicita una delle grandi figure archetipiche della cinema, quella del vampiro, senza impegnarsi tuttavia in un vero e proprio film di genere. L'idea del regista – fino ad allora autore di documentari, spot pubblicitari e programmi culturali per la televisione – è quella della persistenza del vampiro all'interno della società neocapitalistica, dominata da ricchi uomini d'affari che anziché il sangue, come nella più romantica delle tradizioni romantico-cinematografiche, succhiano gli impulsi vitali degli inconsapevoli consumatori che cadono in loro potere.

L’idea dello sfruttatore che succhia il sangue come un vampiro non è certo nuova. Già Voltaire nel suo Dizionario filosofico aveva infatti paragonato con geniale sarcasmo gli speculatori e gli affaristi del tempo ai non-morti che tanto andavano di moda nei dibattiti coevi. Ma nel finale del film emerge una chiave di lettura ancor più attuale, una frase tratta da L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, che in qualche modo ne indirizza l'interpretazione: «Il terrore, oggi, si chiama tecnologia». E quest'ultima non manca affatto di svolgere un ruolo centrale nella pellicola del regista torinese, giacché il suo mostro è sistemato in una villa piemontese di settecentesco aspetto esterno ma di modernissima struttura interna, piena com'è di ogni possibile “ordigno” della tecnica che il moderno Nosferatu sfrutta per irrobustire l'assolutistico potere nel quale senz'altro si identifica.

In pieno scompiglio post-sessantottino l'impegno ideologico che spinge Farina a trasfigurare in modo fantastico le tesi del filosofo marxista non fa della pellicola una sterile e fredda dimostrazione intellettualistica, bensì, grazie soprattutto a un sapiente dosaggio di serietà e ironia, una rilettura dinamica e stimolante per chiunque sia disposto a scorgerne la validità di coraggioso atto d'accusa (si veda ad esempio la gustosa scena dell'immaginario carosello televisivo che il vampiro fa realizzare ai suoi collaboratori al fine di persuadere i consumatori a consumare l'LSD, acquistabile ormai nei supermercati come un qualunque prodotto alimentare). Hanno cambiato faccia non si presenta dunque come la semplice ambientazione contemporanea di un vecchio mito letterario e cinematografico, ma come la rivisitazione distopica di alcuni elementi avveniristici e disumanizzanti della nostra vita, del nostro lavoro e del nostro ruolo nella società. E benché le formule abituali dei film di genere ci siano tutte e non manchino nemmeno le citazioni dei classici, tutti questi elementi vengono utilizzati come tasselli di un discorso ideologicamente orientato che non serve a coinvolgere emotivamente lo spettatore ma a farlo riflettere.

Ciononostante, a parte qualche critica lusinghiera, il film non godette di particolare stima da parte della stampa specializzata, né tanto meno ricevette la giusta considerazione di chi avrebbe potuto e dovuto apprezzarlo per i suoi coraggiosi intenti. A distanza di così tanti anni, fra le tante colpisce soprattutto la dura opposizione messa in atto dal quotidiano L'Unità. Ecco cosa era possibile leggere sulle pagine del giornale all'indomani della presentazione del film: «Diremmo che per un'opera prima essa si mostra nell'insieme terribilmente datata con tutti i vezzi paraintellettuali che ostenta, con tutte le compiaciute “citazioni” del cinema di periodi gloriosi tipiche degli incanagliti frequentatori di cineclub, con tutto l'armamentario apparentemente dissacratorio di miti e di presenze del nostro tempo contro i quali, se si vuole davvero averne ragione, occorrono ben altre energie, ben altra lucidità, ben altro coraggio che non le funamboliche e puerili metafore di Hanno cambiato faccia»[1].

Eppure, se dovessimo prestar fede all'orientamento da sempre palesato dalla sua redazione, L'Unità non avrebbe certo dovuto mostrarsi indifferente – se non addirittura ostile – al tema dei condizionamenti esercitati dalla grande industria. Il film, da parte sua, non è in nessun modo equivocabile, ma è invece molto esplicito nel mettere in luce i perversi meccanismi con i quali già in quegli anni si tentava di assoggettare le scelte dei consumatori. «La nostra società», afferma a un certo punto l'ingegner Nosferatu «ha bisogno di uomini che sappiano comandare... consigliare! In fondo la gente non sa cosa mangiare, che cosa leggere, dove andare in vacanza, per che partito votare. E io l'aiuto a conoscere i suoi veri bisogni, i suoi veri desideri, e glieli soddisfo. Tutti». Sono parole molto forti, persino temerarie, parole che forse solo un esordiente avrebbe potuto esibire in maniera tanto scopertamente caustica, ma che ottennero il mero risultato di una stroncatura netta e irreversibile: «Spiace dire parole così severe per un'opera prima quale quella di Corrado Farina», conclude il suddetto articolo apparso sulle pagine de L'Unità, «ma il fatto è che in essa l'apparente carica di azione eversiva si tinge di tali e tante corrive banalità contro le quali secondo noi sarebbe colpevole restare indifferenti o peggio acquiescenti».

Non ci dilungheremo su quali rovinose conseguenze ebbe all'epoca un certo tipo di commenti, ma è facile immaginare come tale ostracismo finì per condizionare il giudizio del pubblico (specializzato e non), impedendo così alla pellicola di ricevere un'adeguata distribuzione. Anzi, a frenarne sul nascere ogni possibile diffusione su larga scala arrivò anche il blocco della censura che appose un arbitrario quanto incomprensibile V.M. 18. E a tal proposito non possono che risultare emblematiche le parole rivolte da Giovanni Nosferatu al proprio dipendente Alberto Valle dopo la proposta di mettere lui a capo di una delle società: «Lei sta pensando che questo discorso sia sproporzionato rispetto all'offerta che le faccio. Ma non è così. Io non possiedo soltanto un certo numero di fabbriche, di aziende, di grandi magazzini. Possiedo anche giornali, partiti politici, gruppi di opposizione».

A quasi cinquant'anni di distanza, a noi rimane comunque un'opera audace, preziosa, alla quale si può rimproverare forse qualche leggera pecca di regia – dovuta più che altro al limitatissimo budget a disposizione [2] – ma che nell'insieme appare come un magma di fantasia e simbolismo, di reale e irreale, di narrazione avvincente e di critica impietosa che costituisce il suo carattere specifico e il suo miglior pregio.

[1] Sauro Borelli, Mediocrità variabile al XXIV Festival di Locarno, in L'Unità, 10/08/197.
[2] Cfr. Corrado Farina, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono (a cura di), Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001.