Una straordinaria spinta propulsiva interiore ha generato la raffigurazione artistica della Passione di Cristo nei pittori del Seicento. Il soggetto era naturalmente coltivato da tempo, prendendo il via probabilmente dal V secolo (Crocifissione nelle formelle lignee della chiesa di Santa Sabina a Roma, Cassetta eburnea con scene della Passione, Londra, British Museum) e rappresentato in forme diverse lungo il tempo secondo le visioni specifiche delle correnti spirituali e teologiche cristiane, in un’ottica della raffigurazione degli eventi evangelici come biblia pauperum e invito alla devozione personale e comunitaria dei fedeli.
Tuttavia, a parte il desiderio dei committenti delle opere, ovviamente interessati a un messaggio adatto per sé stessi o per i credenti, viene da domandarsi quale verità più intima e profonda le opere volessero trasmettere e quale ci trasmettano anche oggi. Al di là del risultato estetico, fascinoso in ciascuno degli autori, resta il fatto che esse, nel secolo XVII, rispondono a un’idea che le accomuna: la necessità di un catechismo popolare e cioè diffusivo del messaggio cristiano secondo il progetto del cattolicesimo postridentino.
È il medesimo pensiero che sottostà, per citare alcuni esempi, alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia dipinta dal Tintoretto guardando il vangelo di Giovanni; alla cappella dipinta da Moretto e Romanino nella chiesa di San Giovanni Battista a Brescia, ai Sacri Monti come quello di Varallo con i lavori di Gaudenzio Ferrari e di Tanzio. Oppure, agli affreschi nelle chiese e negli oratori romani del secondo Cinquecento da parte dei cosiddetti “pittori sistini”, ossia reclutati da papa Sisto V, senza trascurare la produzione nordeuropea, Rubens e van Dyck, e quella sia del Meridione italiano come della Spagna, con personalità che vanno dal Greco a Zurbaràn, da Mattia Preti e Luca Giordano a Ribera, Murillo e Velàzquez.
L’arte, nell’età postridentina ha dunque la funzione di accompagnare visivamente l’itinerario spirituale del cristiano, rivivendo la vita del Messia e, nel nostro caso, il suo ciclo pasquale di morte e resurrezione. L’ottica fondamentale infatti non è solo quella di rappresentare la croce con i suoi tormenti, ma di legarla intimamente all’evento glorioso della resurrezione. Ciò spiega, ad esempio, il motivo “teologico” del corpo del Redentore sempre invaso dalla luce, pur fra i dolori. Ma si tratta di un “vero” corpo ed è ciò su cui insisteranno Caravaggio e Guercino, che è pure corpo del “Verbo incarnato”, ed è la prospettiva di Guido. Si tratta di un corpo “eucaristico”: molte di queste opere vengono infatti poste sopra l’altare in cui si celebra la messa a sottolineare, secondo un uso non nuovo, che in essa il Cristo uomo-Dio si fa presente corporalmente, in polemica antiprotestante.
Nello stesso tempo il fedele deve sentire che il Cristo lo accompagna anche oggi. Di qui l’istanza “pauperistica”, ben presente in personalità come Carlo Borromeo, Filippo Neri, i francescani riformati, cioè i “Cappuccini”, che attualizza il vangelo inscenandolo negli ambienti quotidiani più umili, ed è la poetica di Caravaggio, anche se non di lui solo. Nello stesso tempo si avverte la necessità di preparare il viaggio del cristiano al paradiso, e quindi alla visione trionfante della gloria celeste: ed è l’ideale di Guido e pur con diverso tono di Guercino.
Caravaggio, Guido Reni e Guercino
Tre artisti, così geniali e così diversi, contemporanei, anche rivali, e con Roma sovente al centro della loro attività, essi formano quasi degli aspetti complementari di una unica medaglia. Dicono in verità un’epoca, il Seicento, con aspetti diversificati nel guardare la storia e la vita. In particolare la visione del dolore, presente anche nelle biografie degli artisti. Esempio evidente lo si coglie nella raffigurazione di un soggetto a cui sono dedicate numerose loro opere, quello della Passione del Cristo.
Essa appare in definitiva una passione per l’uomo. Per il suo corpo in Caravaggio, per la sua anima in Guido, per la sua umanità in Guercino. Naturalmente le differenze non vanno esasperate, perché questi pittori ammirano ed esaltano l’uomo tutto intero. Potremmo però affermare che Caravaggio narra il percorso dell’uomo-Cristo, il “Figlio dell’Uomo”, dentro la storia reale con un forte coinvolgimento personale, Guido compie il medesimo viaggio, con altrettanta partecipazione interiore, ma con l’accento posto sulla realtà più intima, ossia quella divina, del “Figlio di Dio”, mentre Guercino pone la propria visione emotiva come equilibrio tra la dimensione umana e quella divina nel Redentore.
Potremmo anche sottolineare come il Merisi racconti il “crudo” presente nei fatti della Passione e Reni invece punti alla visione di un Cristo già oltre il dolore, pur accettandolo e vivendolo, mentre Guercino dà voce al sentimento umano che la Passione esprime nel Messia e in noi che la contempliamo. In definiva, si tratta di una raffigurazione-riflessione sull’Incarnazione del Cristo, vista in Caravaggio “dalla parte dell’uomo”, necessaria per liberarlo dalla colpa assumendone il corpo, “dalla parte di Dio” in Reni, ossia come rivelazione dell’amore di Dio tramite l’immagine luminosa del Verbo–Verità, e in Guercino come evento ricco di un divino vicino a noi.
Di qui l’uso particolare della luce, violenta in Caravaggio, cristallina in Reni, morbida e vivace in Guercino, e dell’atmosfera: drammatica nel Merisi, lirica in Guido, “romantica” nel Guercino. Ed anche la funzione così originale del “chiaroscuro”: il buio che genera la luce in Caravaggio, la luce spirituale che vince le tenebre in Guido, voce di una vita cordiale in Guercino. Il ricorso alle fonti evangeliche, i Sinottici in particolare per Caravaggio, Giovanni per Reni e Guercino, danno senso e compiutezza all’iconografia del Cristo da parte degli artisti, tenendo conto dell’ottica del “triduo pasquale” sottostante alla loro opera.
Nei decenni della prima metà del Seicento, dove la Riforma cattolica si afferma nella duplice ricerca di rappresentare l’Incarnazione del Figlio di Dio, ponendo l’accento sia sulla sua divinità che sulla sua umanità, le strade di Guido, Caravaggio e Guercino ne offrono una immagine paradigmatica, con conseguenze estetiche e spirituali assai notevoli nel futuro della storia dell’arte di soggetto sacro. Si tratta di realismo o naturalismo e di classicismo, a cui aderiranno decine di artisti nei secoli successivi creando dei topoi figurativi ancora attuali. Ma soprattutto, camminando con questi pittori e le loro opere, noi possiamo cogliere la fulgente bellezza dell’ispirazione poetica e allo stesso tempo della riflessione spirituale, il cui respiro acquista tuttora una dimensione universale affascinante.
Si tratta infine, a ben vedere, di un discorso sulla bellezza che si articola con tre diverse prospettive: quella dello “sfiguramento”, ossia della bruttezza-bellezza in Caravaggio, la sublimazione in Reni, il caldo realismo in Guercino. La raffigurazione del Cristo Uomo-Dio diventa il modello o se si vuole l’occasione per tradurre in forme poetiche, oltre che in messaggi religiosi, una visione prismatica dell’Uomo e della bellezza stessa, che poi si articola nei molteplici percorsi del secolo barocco, dal Nord al Sud dell’Italia e dell’Europa.
Un trittico di bellezza
È stato appena pubblicato dalla casa editrice romana “dei Merangoli” un significativo libro dal titolo Il teatro della Passione, Caravaggio, Guido Reni, Guercino scritto dal noto teologo e storico dell’arte Mario dal Bello. Il volume verrà presentato alla stampa e al pubblico il 22 di settembre nella chiesa di Santa Maria dell’Orto in Trastevere, Roma.
Unire insieme Caravaggio, Guido Reni e Guercino, ossia tre geniali pittori della prima metà del Seicento, è una opportunità e un rischio. Una opportunità, perché permette un confronto ravvicinato fra tre interpreti del grande tema cristiano della Passione di Cristo nelle letture diverse e pure complementari degli artisti. Cercando di approfondire, secondo il progetto dell’autore, il legame tra le espressioni d’arte, la sensibilità di una civiltà, quale il Barocco incipiente, e le esigenze del cattolicesimo riformatore della Chiesa romana, con la creazione di un linguaggio universale, pur nel rispetto delle singole individualità dei pittori.
Il rischio? Quello di imbattersi in una bibliografia sterminata e in continuo aumento, specialmente per quanto riguarda Caravaggio. Al contrario, Reni oggi suscita meno interesse rispetto al passato, mentre sul Guercino fervono rassegne e studi. Cosa dire dei tre artisti che costituiscono un trittico di bellezza barocca che non sia già stato detto?
La maggiore novità di questo testo, che ha voluto essere breve per arrivare a un numero il più possibile vasto di lettori e per suscitare spunti di domande e approfondimenti, sta nell’aver cercato di collegare i lavori dei pittori strettamente legati a spiritualità ed estetica, a lettura teologica e bellezza, riandando alla imprescindibile fonte evangelica, necessaria per comprendere e gustare sino in fondo i capolavori di Caravaggio, Reni e Guercino. Nello stesso tempo, Mario Dal Bello non si ferma ad essi ma li colloca nell’ambito di una civiltà figurativa, con le influenze e le derivazioni anche di altissimo livello, evidenziando la diffusione di modelli iconologici proposti dai pittori per tutta l’Europa, sino ad oggi.
In sintesi, una ricerca molto personale su un tema assai noto, quello della Passione certamente, ma dai risvolti figurativi mai abbastanza analizzati nei loro contenuti più autentici, nonostante alcune immagini –come quella del Crocifisso del Reni – siano diventate archetipi universali.
Il confronto-dialogo fra questi pittori risulta così un affascinante “concerto musicale a tre”, sull’onda di una verità che è poesia, religione e, in modo particolare, vita. Ad esprimere un tempo dove il sentimento, la fantasia, la bellezza potevano convivere con l’amore per la realtà nei suoi aspetti tragici e ricchi di speranza insieme. Gloria e tragedia, spirito e carne, morte e resurrezione. È il viaggio che questo testo, agile e chiaro, ci propone, col proposito di suscitare emozioni sincere, nuove riflessioni, leggerezza e armonia di mente e di cuore.