È noto che Daevid Allen, primo chitarrista dei Soft Machine, venne bloccato in Francia durante una tournée col suo gruppo e costretto così a rimanere a Parigi – per irregolarità nel passaporto, dice qualcuno, o per possesso di sostanze stupefacenti, insinua qualcun altro – mentre i compagni facevano ritorno in Inghilterra. E altrettanto nota dovrebbe essere la successiva nascita dei Gong, per opera dello stesso Allen e di numerosi altri musicisti del circuito underground parigino, la cui carriera prese le mosse proprio nella Francia del ‘68.
Dashiell Hedayat è lo pseudonimo col quale l’artista e cantautore francese Jack-Alain Léger pubblicò il suo secondo album – il primo, La Devanture des ivresses, era stato pubblicato con lo pseudonimo di Melmoth nel 1969 – avvalendosi della collaborazione di Daevid Allen, Christian Tritsch, Didier Malherbe, Gilli Smyth e Pip Pyle, ossia la formazione dei Gong quasi al completo prima che questa facesse rotta verso l’Inghilterra e desse vita alla famosa trilogia della «teiera volante».
Così, da questa occasionale ma fortunata cooperazione, è nato Obsolete, album bizzarro e a prima vista non molto omogeneo. Questa disorganicità, tuttavia, è un mero dato esteriore, poiché, analizzando più attentamente il lavoro in questione, sarà abbastanza facile notare come il disco sia chiaramente bipartito, così che in ognuna delle due facciate emerga rispettivamente l’eccentrico stile cantautorale di Dashiell Hedayat prima e la caotica sperimentazione sonora dei Gong poi.
Il lato A del disco è interamente occupato da una suite in tre movimenti, Eh, Mushroom, Will you Mush my Room? Il primo, Chrysler, è uno strampalato e irrequieto rock, un’ode lisergica e iperelettrificata che Léger dedica alla sua auto rosa all’interno della quale vive come se fosse una vera e propria casa. Il secondo, Fille de l’ombre, è un brevissimo intermezzo dove la reiterata cantilena del titolo si sovrappone ai rumori di sottofondo e alle grida filtrate di Gilli Smyth. Il terzo e ultimo movimento è Long song for Zelda, una dolce ballata che nei primi minuti appare non lontana da alcune stralunate melodie di Syd Barrett ma che nel finale viene completamente stravolta prima dall’abbaiare di Léger – nel vero senso della parola, giacché il verso imitato dal cantautore francese è proprio il latrare di un cane – e poi dalla sovraincisione della voce di William Burroughs. Il testo, d'altronde, la dice lunga sul carattere surreale e visionario delle composizioni di Hedayatt: «il y une fille que j'aimais / a la fin de la nuit / j'étais a contempler les novas / et les anneaux de saturne / je veux dire / j'étais mon jean vide et mon blouson / qui flottait a un bâton d'os / les os / friables de la came / j'étais le singe du travelo / tu te souviens? ....(baldwin? am not sure) / j'étais le singe du travelo / oui j'étais vraiment lui / le cul rose sur le rebord du caniveau».
Il lato B del disco è occupato invece da un solo brano, Cielo Drive, 17, ed è qui che più emerge l’arte combinatoria dei Gong. In oltre ventuno minuti di dispiega un collage di suoni sfrenato e anarcoide, un’orgia strumentale da vaudeville, un delirio spaziale nella migliore tradizione del gruppo di Daevid Allen e sul quale aleggia a tratti, surreale e distante, la recitazione di Dashiell Hedayat. Una composizione dal potenziale fortemente allucinatorio maneggiare con estrema cura. Può indurre stati di trance, sonno ipnotico ed ebbrezza mistica.