Docente di sociologia della cultura presso l’Università Milano-Bicocca, già Pro-Rettore per gli studi di genere e le pari opportunità e oggi Direttrice Scientifica del Centro di ricerca interuniversitario “Cultura di Genere”, Carmen Leccardi è stata Presidente dell’European Sociological Association. Organizzatrice e relatrice di progetti e convegni internazionali sulle trasformazioni nella società contemporanea, sul pluralismo culturale e sulla vita e l’esperienza delle donne, è autrice di numerose pubblicazioni, tra cui, Sociologie del Tempo e Sociologia della vita quotidiana.
"Fin da molto piccola, il mio desiderio più importante è stato quello di studiare. Nella mia famiglia lo studio non era considerato un particolare valore, diversamente dal lavoro. Inoltre, su due figli solo la figlia femmina aveva la passione per lo studio. In famiglia ho dunque dovuto superare una serie di ostacoli per seguire le mie inclinazioni. Questo mi ha insegnato che la determinazione è faticosa, ma fondamentale per potersi esprimere come persone. Inoltre, ho presto appreso attraverso l’esperienza personale la relazione tra chance di vita e posizione sociale della famiglia di origine. Integrare le diverse forme di sapere, teorico e empirico, è del resto la caratteristica della disciplina che avrei successivamente scelto negli studi universitari, la sociologia. Contemporaneamente, ho anche imparato che ciascuno è sì figlio o figlia, soprattutto nella prima parte della vita, di questa posizione sociale. Ma anche che gli orizzonti esistenziali non sono rigidamente predeterminabili, e che ognuno è, pur in un quadro di vincoli, artefice della propria vita.
Ho sempre ritenuto che i ruoli sociali abbiano il potere di plasmare e condizionare solo in parte il sentire soggettivo. Come ha scritto a inizio Novecento uno dei padri fondatori della sociologia, Georg Simmel, esiste un 'oltre il ruolo' che ha a che fare con chi ci sentiamo nel profondo, con le soggettività. I ruoli, dunque, non 'chiudono' mai del tutto le nostre potenzialità. I ruoli pubblici in particolare sono massimamente importanti per l’esercizio della cittadinanza. Ma, come le donne in particolare sanno bene, ci sono ruoli apparentemente 'privati', per esempio quelli legati alla cura, che hanno una valenza pubblica fondamentale. In entrambi i casi – anche se si è soliti pensare soprattutto ai secondi in questa chiave – emozioni, affetti e percorsi razionali risultano intrecciati. Per quel che mi riguarda, ho cercato negli anni di armonizzare il ruolo accademico con il sentire personale. Non so se ci sono del tutto riuscita, ma credo di essermi almeno avviata sulla buona strada".
Pensando alla donna di oggi nella società …
Anzitutto userei il plurale: le donne. Ogni donna è differente dall’altra, anche se respira il clima epocale – quello che i filosofi tedeschi hanno chiamato Zeitgeist, uno “spirito del tempo” comune. Dopo l’intensa onda del femminismo degli anni Settanta, che ha messo al centro delle mobilitazioni e dei saperi la liberazione, oggi le donne esprimono in molti modi e forme diverse il loro bisogno di libertà e autodeterminazione. Questo non significa, tuttavia, che le diseguaglianze sociali tra uomini e donne – nel lavoro, in politica, nel campo dell’educazione scientifica – siano ormai del tutto superate. Intrecciate a quelle tra i generi, ci sono poi le diseguaglianze tra donne – su base di classe, etnica, e così via. Questa intersezionalità, come è stata chiamata a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, genera tante condizioni di vita diverse, e anche ideali esistenziali differenti fra le donne.
Donna e/è potere?
È potere: di costruire forme di relazione, visioni del mondo, modi di vivere il tempo, di rapportarsi al lavoro remunerato e così via – un potere di cui il mondo globale in cui viviamo ha oggi sempre più bisogno. Si tratta di modalità specialmente ricche in ragione anzitutto degli “attraversamenti” quotidiani che le donne adulte compiono con consapevolezza: fra mondi privati e pubblici, tra forme di razionalità diverse, tra investimenti professionali e “viaggi” nel profondo della propria soggettività. Di norma, grazie a questa consapevolezza, tali dimensioni vengono comprese dalle donne come componenti esistenziali non dicotomiche, non contrapposte. Questo potere, tuttavia, se vuole tradursi in poter fare effettivo da parte delle donne deve essere riconosciuto e valorizzato socialmente. Oggi siamo ancora lontani da questo riconoscimento.
Problematiche che le donne milanesi vivono quotidianamente …
Le donne milanesi corrono dalla mattina alla sera. Per tenere insieme parti di sé, delle proprie attività e dei propri progetti con i tempi delle istituzioni sociali in cui sono coinvolte: dalla scuola (dei propri figli anzitutto) al lavoro remunerato, dall’università alla politica e così via. È, come si usa dire, una corsa contro il tempo. Che risulta sempre troppo poco rispetto a quel che si vorrebbe fare. Questa è una delle contraddizioni della cosiddetta “società dell’accelerazione” che le donne patiscono specialmente: più tecnologie dovrebbero aiutarci a risparmiare tempo, ma si risolvono spesso in più desideri di fare e di esserci, destinati tuttavia a restare insoddisfatti perché il tempo manca.
Ha detto che “emozioni, affetti e percorsi razionali risultano intrecciati”, come nel caso del confronto-scontro tra maschile-femminile o nella difficile conciliazione tra sessualità, maternità e lavoro.
Purtroppo il dramma del femminicidio contemporaneo ci dice in modo brutale che lo scontro tende a prevalere sul confronto. E, aggiungerei, anche sul conflitto. Il conflitto può essere negoziato, reso oggetto di riflessione, può diventare strumento per una trasformazione virtuosa. La mia impressione è che in questa fase le difficoltà del confronto, e anche della gestione del conflitto, siano ben visibili nel ripetersi ossessivo dei femminicidi. Il ricorso alla violenza può esplodere, a mio giudizio, anzitutto per la diversa velocità di mutamento delle identità di donne e uomini in questi ultimi decenni. Le trasformazioni, e le aperture, delle identità femminili sono più veloci rispetto a quelle maschili. Sul piano collettivo queste ultime hanno ormai perso le certezze patriarcali, ma non sono ancora riuscite a sostituirle con nuovi orizzonti di senso.
Sessualità, maternità, lavoro, per le donne sono strettamente intrecciati. Il problema del nostro periodo storico è che la possibilità di trasformare questo stretto intreccio, vissuto come espressione profonda del proprio sé, in vita quotidiana appare ancora decisamente problematico. Crisi del welfare, precarizzazione dei lavori e della vita, e insieme determinazione a ‘esserci’, a esprimere e vivere il proprio desiderio, concorrono a problematizzare la costruzione di scenari in cui le donne possono pronunciare il proprio ‘triplo sì’: sì alla sessualità, alla maternità e al lavoro.
Cosa significa al giorno d’oggi occuparsi di sociologia e insegnarla? Quali interessi, quali interrogativi, quali difficoltà si evidenziano?
È ai miei occhi anzitutto un grande privilegio. La sociologia consente di legare le questioni biografiche, i problemi personali, alle grandi trasformazioni epocali, le vite di ciascuno/di ciascuna alla storia. L’aveva sottolineato con forza, già negli anni Cinquanta dello scorso secolo, un sociologo statunitense, Wright Mills. Tuttavia, il modello neoliberista oggi dominante tende a trasformare l’economia nella disciplina sociale centrale – o, eventualmente, a ‘psicologizzare’ le grandi questioni sociali del nostro tempo, a partire dai rapporti con l’alterità. Dunque, insegnare sociologia è al tempo stesso un privilegio e una sfida.
Quali sono gli ideali sociali emergenti?
Tra i giovani, c’è un forte investimento sulla coerenza tra parole e fatti, tra ciò che si dice e quel che subito dopo si fa. Con una parola antica, parlerei di un ideale di onestà. Onestà intellettuale, onestà nella vita istituzionale. Inoltre, un ideale del nostro tempo è per molti giovani (e non solo) la lotta alle crescenti diseguaglianze. L’esercizio della responsabilità personale è a sua volta centrale. Il rischio, in questo caso, è che ci si convinca che i grandi problemi contemporanei – a partire dall’instabilità del lavoro – possano essere risolti responsabilizzandosi sul piano personale. La depressione è un esito quasi inevitabile di questo processo.
Cosa s’intende per i “tempi delle donne” e come si differenziano dai tempi maschili?
Ho parlato di “tempi delle donne” con la finalità di mettere in luce il ruolo delle differenze di genere nell’orientare anche la relazione con il tempo. Una differenza a mio giudizio sostanziale nel rapporto con il tempo che uomini e donne costruiscono è legata all’enfasi dei primi sul controllo, delle seconde sulla molteplicità. Quest’ultima consapevolezza, che si sostanzia in modo emblematico nella capacità di considerare la molteplicità dei tempi della vita come una risorsa sul piano tanto personale quanto collettivo, ridefinisce il concetto stesso di controllo temporale.
È stata pro-rettore alle pari opportunità dell’Università-Milano Bicocca: ci può parlare delle donne come soggetto di innovazione culturale?
Le donne, nelle loro diversità, appaiono in grado di ridefinire i problemi sociali prima ancora che identificare le soluzioni specifiche per ogni singolo problema. In senso lato, questa è una caratteristica dei processi di innovazione culturale – che riguardano, in primo luogo, proprio l’attribuzione di significati. Ciò accade in ragione della ricchezza delle loro forme di conoscenza, forgiate dal rapporto quotidiano, come ho avuto occasione di ricordare in precedenza, tra più mondi e più logiche di azione. Tipicamente, inoltre, le donne adulte appaiono in grado di trasferire da un universo all’altro, contaminandole positivamente, forme di razionalità e stili di pensiero (questo accade ad esempio abitualmente per le donne attive nel mercato del lavoro e con carichi di cura).
Come si è evoluta o involuta la società milanese negli ultimi decenni? In particolare, secondo lei, Milano è una città sociologicamente al passo con le altre grandi metropoli economiche e culturali europee?
Milano, come non mancano di confermare anche i colleghi e le colleghe stranieri che hanno occasione di soggiornare in questa città per ragioni universitarie, è una metropoli europea a tutti gli effetti. La sua vita culturale, al di là delle grandi e prestigiose istituzioni, non ha nulla da invidiare per quantità e qualità agli altri centri urbani europei. Si tratta di un processo certo non nuovo, ma che si è confermato negli anni. Il suo governo soffre invece, a mio avviso, di problemi che si sono andati cronicizzando nel tempo senza trovare una vera soluzione – una città pulita resta ancora, ad esempio, una chimera. La grande sfida che Milano deve affrontare, oggi e negli anni a venire, è ad ogni modo l’integrazione di chi arriva in Italia sulla spinta delle grandi ondate migratorie epocali.