Luciano Basso, compositore veneziano considerato a livello internazionale come il fautore di un nuovo linguaggio “classico” intriso di contemporaneità, dà alle stampe la sua ultima raccolta di pezzi originali dal titolo Open, opera pianistica “di confine” che non si pone come compromesso, bensì come indicazione. La sua personalità artistica, seppure forte di un percorso rigoroso di stampo classico, lo ha spinto a guardare ovunque ci potesse essere uno stimolo buono per produrre un cambiamento dentro le “logiche labirintiche” dell’accademia.
È così che si è avvicinato ai Keyboard Studies del compositore minimalista californiano Terry Riley, di cui divenne uno dei primi interpreti in Italia, e che allo stesso modo ha familiarizzato con il prog (Voci, 1976, e Cogli il giorno, 1978, due titoli che i cultori del genere conoscono bene). Dichiarò qualche tempo fa, in modo provocatorio ma nondimeno reale: “L’importante è l’intento moderno, inutile rifare Chopin o Schuman: bisogna sposare la modernità! Si è più evoluta la canzone della musica contemporanea colta!”; e ancora: “l’unica sperimentazione è la libertà!”.
Basso non dimentica la propria provenienza, semplicemente non cristallizza un bagaglio tanto ricco in un dialogo solitario, più simile a un calcolo che a un’emozione. E questa è la prima vocazione anche del nuovo lavoro. Pubblicato dalla AMS Records di Milano, etichetta specializzata proprio in progressive rock, Open costruisce un viaggio di 11 tracce (il numero dispari è manifesto di una volontà precisa, così come il fatto che il brano di apertura sia proprio quello intitolato Eleven) attraverso attimi di vita, riflessioni, sentimenti e immagini che le note tratteggiano in modo quasi simbiotico, lasciando comunque all’ascoltatore la libertà di interpretarne il flusso emotivo.
Stilisticamente il disco raccoglie le grandi lezioni accademiche del passato e le proietta dentro una realtà odierna di ritmi e suggestioni armoniche: si possono quindi trovare contrappunti di marca “bachiana”, introspezioni romantiche, pennellate “impressioniste”, poliritmie novecentesche, colori jazz e strutture popular e rock, il tutto lasciando in prima linea un raffinato e assai personale gusto melodico. È una musica infatti che ha estrema cura tanto per la verticalità (armonia), quanto per la scrittura orizzontale (melodia). Un grande merito di Luciano Basso - dopo tante disquisizioni che hanno portato via via ad allontanare il pubblico dalla comprensione e dal piacere di un ascolto libero - è stato appunto il recupero della tonalità e il ritorno ad un aspetto emozionale della composizione: l’etichetta di “neoimpressionista” l’ha guadagnata sul campo proprio al termine di tale annosa e astrusa lotta.
Unico artista italiano contemplato dalla “Billboard Guide to Progressive Music”, il musicista - come si è detto da subito - gode di grande fama all’estero (si pensi che in Giappone ne è stata ristampata l’opera omnia) e la musicologia mondiale segue ogni suo singolo passo. All’interno del libretto del cd viene riportata una frase di J.S. Bach: “La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”. Una filosofia che Luciano Basso abbraccia appieno, restituendo al pentagramma il suo compito originario in una chiave finalmente e veramente contemporanea.
Solo i titoli delle tracce incluse in Open aiutano a sentirne la musica: Eleven, Open, Butterfly, Notturno 10, Danzando 3, Ultima Sera, Mercurio Vagabondo, Albatros, Mtaani, Vento, Seconda Pagina. Undici “pagine” che sono istantanee perfette fra intimismo, virtuosismo, giocosità, capacità di descrivere attraverso i suoni il mondo esteriore e quello interiore, ritmi di danza, atmosfere da cinema e molto altro ancora. Non si può concludere un articolo su Luciano Basso senza citarne perlomeno l’impegno nelle manifestazioni per la pace e i diritti civili: anche lui, come la sua musica, parla al cuore.