Come ho detto una volta a Città del Messico, suscitando scandalo, rivendico il diritto di ognuno all’opacità, ossia a non essere compreso totalmente e non comprendere totalmente l’altro. Ogni esistenza ha un fondo complesso e oscuro, che non può e non deve essere attraversato dai raggi X di una pretesa conoscenza totale. Bisogna vivere con l’altro e amarlo, accettando di non poterlo capire a fondo e di poter essere capiti a fondo da lui.
Definito come una delle voci più interessanti della letteratura post coloniale in lingua francese, Édouard Glissant è stato un seguace sostenitore dell'identità umana, sapientemente costruita nella relazione, nell'accettazione dell'altro senza pregiudizio, ponendo le basi di un divenire di scambio continuo con l'essere umano. Coesistere tra culture diverse, vivere tra la paura della globalizzazione, che aliena e cancella ogni identità, e la gretta predominanza della diversità stessa, è una tematica che Glissant ha sempre trattato nelle sue opere letterarie, spinto dalla consapevolezza di dover rendere giustizia a tutti coloro che fanno fatica a rivendicare la propria identità. Recentemente, la sua raccolta di poesie, La Terra Inquieta, è stata la Musa ispiratrice della mostra di Massimiliano Gioni, promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano, da sempre attente a indagare il presente con linguaggi artistici innovativi e sperimentali.
Attraverso video, installazioni, immagini di reportage, materiali storici e oggetti, Gioni ricostruisce la storia dei migranti: uomini costretti a fuggire dalla propria terra per poter continuare a vivere. Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Ghana, Iraq, Libano, Marocco, Siria e Turchia sono i paesi, dai quali provengono più dei sessantacinque artisti, esposti in mostra. Esplorare le varie sezioni, percorrendo una serie di tappe geografiche, tristemente famose: lo stato di emergenza a Lampedusa, il conflitto in Siria, la vita nei campi profughi, vi farà inevitabilmente riflettere sul significato che la parola “migrante” assume nella nostra società. L'abbandono, il distacco dalla propria terra d'origine, nel significato etimologico della parola, si associa all'idea del permanente disagio, della continua difficoltà che un migrante dovrà affrontare per inserirsi in una nuova realtà. Presentando opere di forte impatto emotivo, Gioni si concentra sul ruolo dell'artista come testimone di eventi storici, affidando a ognuno di loro la responsabilità di raccontare al pubblico una verità, spesso nascosta, sulla difficile condizione dell'essere migrante.
Yto Barrada, Isaac Julien, John Akomfrah, Steve McQueen, Adrian Paci, Alighiero Boetti, Hassan Sharif, sono solo alcuni degli artisti esposti nelle sale della Triennale di Milano. Perplessità, dubbi, silenzi, sono tante le considerazioni che suscita un evento così complesso e drammatico e altrettanto forte è il senso di fiducia che l'arte, attraverso le sue opere, riesce a trasmettere. Nessuna banalizzazione o falsa retorica dei classici mass media, ma semplicemente un reportage vero, autentico, ma soprattutto necessario. Come necessario è anche lo strumento della fotografia, usato da Gioni come mezzo per contraddistinguere il fenomeno della migrazione nel ventesimo e ventunesimo secolo, “strumento che conferisce ai migranti una sorta di attestato di esistenza o certificato di cittadinanza nella società globale”.
Nella nostra società siamo ormai abituati a dubitare della veridicità di qualsiasi immagine, negli scatti di questi artisti invece traspare una rinnovata volontà di produrre una comprensione autentica della realtà. “L'immagine del Mediterraneo che ci restituiscono molti artisti di oggi non è più quella di una culla di civiltà e di un intreccio di culture, ma un luogo di barbarie, un inferno liquido”, afferma Gioni, facendo riferimento al grande flusso umano che cavalca le onde del Mediterraneo. In mostra viene esposta anche la toccante lettera che il Sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha rivolto come appello all'Unione Europea nel 2014: “Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore”.
Con la certezza che i linguaggi dell'arte contemporanea possano comunicare al pubblico nuove chiavi di lettura e diverse prospettive sull’inquietudine della migrazione, vi invitiamo a condividere per un giorno, valori, vicende e biografie di uomini e donne che, sicuramente hanno vissuto esperienze diverse dalla nostra, ma che, allo stesso tempo, possono fornirci un'esatta conoscenza della Terra Inquieta che sono costretti a percorrere.