Durante il periodo del cosiddetto Basso Medioevo, che convenzionalmente ricopre l’arco temporale compreso tra il 1000 d.C. e il 1492 d.C., si registra in Europa una progressiva ripresa dell’economia, resa evidente anche dal rinnovato fervore di risorse e uomini che caratterizzò le Crociate, e accompagnata da un aumento della popolazione, che passò da 42 milioni nel secolo XI° a 73 milioni nel secolo XIV°, sostenuta da un miglioramento delle tecnologie agricole che consentì un incremento della produttività del lavoro, da un nuovo impulso dell’edilizia, in particolare nel settore del culto religioso (costruzioni di chiese, cattedrali, monasteri), da nuovi traffici commerciali nei quali divennero protagonisti soprattutto i mercanti delle città italiane che rilanciarono su basi nuove e più moderne l’attività bancaria.
In quest’epoca, la base fondamentale del ceto bancario era rappresentata dai “cambiatori-banchieri”, cambiatori di monete o cambiavalute, i quali si occuparono inizialmente del semplice cambio manuale e successivamente anche delle tipiche operazioni di deposito e prestito, divenendo così veri e propri banchieri. Infatti, il titolo di “bancherius”, rintracciabile per la prima volta nei registri notarili genovesi del secolo XII°, era riservato in origine esclusivamente ai cambiatori, i quali trattavano i loro affari stando seduti dietro un banco (bancum) o tavolo (tabula). Da qui trae origine la denominazione di banco (o tavola) utilizzata nel Medioevo per indicare la Banca.
La professione di cambiavalute si affermò e si diffuse, e divenne indispensabile, in relazione alla complessa situazione monetaria vigente in Europa, in quanto ben presto cominciarono a coesistere monete d’argento “piccole”, monete d’argento “grosse” e monete d’oro, mentre i prezzi di beni e servizi e le obbligazioni contrattuali continuavano ad essere espressi nelle antiche unità di conto (quali la lira, pari a 240 denari, il soldo, pari a 12 denari) che si sovrapponevano alle monete reali. Inoltre, bisogna ricordare che fino al secolo XVI° le monete non riportavano impressa alcuna indicazione di valore, e ciò consentiva ai Governi di modificarne il corso con semplici provvedimenti, senza dover procedere alla riconiazione delle monete in circolazione.
Il denaro d’argento, che per circa cinque secoli era rimasta l’unica moneta coniata, subì progressive svalutazioni connesse al moltiplicarsi delle coniazioni con titolo (percentuale di metallo puro) sempre più basso e conseguente peggioramento della qualità. Per fare un esempio, i denari di Lucca o di Pisa, nella prima metà del secolo XIII°, contenevano appena 0,25 grammi di argento, a fronte dello standard di 1,7 grammi previsto dal sistema carolingio che aveva riformato il sistema monetario. Pertanto, cominciò ad essere avvertita sempre più pressante la necessità di una moneta “forte”, soprattutto da parte delle città che stavano vivendo in quel periodo un favorevole momento di espansione economica e commerciale: Venezia fu la prima a coniare, agli inizi del 1200, un nuovo denaro d’argento, denominato “grosso” o “matapan”, di 2,18 grammi, pari a 26,9 vecchi denari, che da quel momento vennero denominati “piccoli”. Seguirono l’esempio di Venezia anche le città di Genova, Verona, Firenze e Napoli. Nel 1266, in Francia Luigi IX fece coniare il “grosso tornese” (dalla città di Tours), moneta di ben 4,22 grammi che godeva di fiducia generale e veniva accettata da tutti nelle transazioni commerciali in occasione delle fiere della Champagne. Negli anni successivi, vennero coniate monete d’argento grosse anche nei Paesi Bassi, in Germania, in Inghilterra e Spagna.
Le monete piccole nel corso del tempo continuarono a perdere peso e valore, tanto che a partire dal secolo XVI° in diverse città non furono più coniate e furono sostituite con nuove monete, come il “quattrino”, pezzo di quattro denari. Accanto alla monetazione argentea, a partire dalla metà del 1200 fu ripresa e intensificata, sia in Italia sia in Europa, la coniazione di monete d’oro. Genova, prima in ordine di tempo nella monetazione aurea, nel 1252 coniò il “genovino” di 3,53 grammi di peso, al quale seguirono, nello stesso anno, Firenze con il “fiorino” di 3,54 grammi, e Venezia nel 1284 con il “ducato” (in seguito detto “zecchino”) di 3,56 grammi. Le principali città mercantili italiane diedero vita così ad una triade aurea, costituita da monete nominalmente pure (24 carati) e di pari peso, che ottenne una circolazione internazionale.
I cambiatori-cambiavalute, denominati “campsores” o “cambiatores”, divennero sempre più numerosi nelle piazze delle città, nei mercati e nelle fiere, dove essi operavano tramite banchi e botteghe, presso i quali sedevano dietro un banco o tavolo coperto di panno verde. Essi si organizzarono ben presto in corporazioni (arti o gilde), tra le quali la più famosa fu certamente l’Arte del Cambio di Firenze, risalente al 1202, che rappresentò una delle sette arti maggiori del Comune nella seconda metà del secolo XIII° (in ordine di importanza, Arte dei Giudici e Notai; Arte dei Mercatanti; Arte del Cambio; Arte della Lana; Arte della Seta; Arte dei Medici e Speziali; Arte dei Vaiai e Pellicciai). Anche i Papi si servirono spesso dei cosiddetti “campsores papae” per il trasferimento a Roma delle decime ecclesiastiche e dell’obolo di San Pietro, contributo versato alla Santa Sede da alcuni Stati europei.
All’epoca dei cambiatori-banchieri si perfezionarono le operazioni di cambio valutario e di regolamento finanziario delle transazioni che agevolarono il diffondersi dei traffici commerciali. Grande importanza assunse il cosiddetto “cambio traiettizio”, contratto consistente nel riconoscimento di un debito da estinguere in un luogo diverso da quello originario (“distantia loci”) e in una moneta diversa (“permutatio pecuniae”), in base a un tasso di cambio fissato in precedenza in misura tale da includere il compenso per il creditore. Per esempio, un mercante genovese poteva ottenere a Firenze una somma in fiorini da un cambiatore-banchiere di quella città, con l’impegno di restituirla dopo un certo tempo a Genova in genovini nelle mani di un incaricato/corrispondente del creditore fiorentino.
Il “cambium”, contratto in uso fin dal secolo XII°, si fondava pertanto su un’operazione di cambio e su un’operazione di credito, strettamente correlate, e veniva perfezionato inizialmente in forma pubblica tramite la redazione di un atto notarile, denominato “instrumentum ex causa cambii”. In seguito, si diffuse l’uso di un documento privato in forma di lettera, denominata “lettera di pagamento”, alla quale seguì la cosiddetta “lettera di cambio”, titolo che generalmente prevedeva la presenza di quattro soggetti: il numerante (debitore), il traente (emittente il pagamento), il trattario (incaricato del pagamento), il beneficiario (creditore). Ad esempio, se un soggetto (numerante) doveva pagare una determinata somma in una diversa valuta ed in una diversa località ad un altro soggetto (beneficiario), si poteva rivolgere al banchiere (traente) che impartiva l’ordine ad un corrispondente sulla piazza di pagamento (trattario) di versare quanto stabilito al creditore beneficiario. Si riscontra in tale strumento di regolamento degli scambi una prima forma di “cambiale tratta”, titolo che, in caso di mancato pagamento o mancata accettazione, poteva anche essere protestato.
Si diffusero in seguito altre operazioni di tecnica bancaria, quali la “girata” di tali lettere di cambio, e lo “sconto”, nella forma del pagamento anticipato da parte del debitore, che in tal modo otteneva un abbuono. Le lettere di cambio divennero il principale strumento di regolamento finanziario delle transazioni commerciali che venivano trattate durante le fiere della Champagne, le più famose fiere del Medioevo, che ebbero inizio verso il 1150 d.C. e rimasero il centro dei grandi commerci europei per circa duecento anni. Sponsorizzate dai conti di Champagne, che ricavavano cospicue entrate dai diritti riscossi, si tenevano ogni anno sei fiere in quattro diverse città francesi: due ciascuna a Troyes e a Provins, una a Lagny e un’altra a Bar-sur-Aube.
Ogni fiera durava in genere sei settimane, divise in due fasi: la prima fase (due settimane) dedicata alle attività più propriamente commerciali relative alla compravendita delle merci; la seconda fase (le successive quattro settimane) dedicata ai regolamenti finanziari, che si basavano appunto sulle lettere di cambio e sulla compensazione tra crediti e debiti dei banchieri, strumenti di pagamento che consentivano di ridurre al minimo il trasferimento di denaro contante, in quanto spesso bisognava regolare soltanto il saldo crediti/debiti di fine fiera, che poteva anche essere rinviato al successivo raduno fieristico tramite una nuova lettera di cambio.
Nasceva così la cosiddetta “economia di carta” e le fiere della Champagne diventavano la prima stanza di compensazione per i crediti e i debiti internazionali, oggi indicata con il termine anglosassone “clearing house”, sede e strumento di regolamento della bilancia dei pagamenti relativi ad importazioni ed esportazioni su scala europea.