Non è un segreto che l'immigrazione sia un tema d’emergenza, incontrollabile e pericoloso. Proviamo a osservare questo problema da un'altra prospettiva, quella artistico e culturale, distaccando lo sguardo dalla cronaca giornaliera. Fino al 20 Agosto alla Triennale di Milano sarà in corso la mostra La Terra Inquieta a cura di Massimiliano Gioni, e promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano. Il titolo, che è stato preso in prestito dal libro di poesie di Edouard Glissant, è molto audace perché sottolinea il sottile equilibrio nella convivenza fra culture diverse. Partecipano artisti da oltre quaranta paesi nel mondo, dall’Albania al Ghana, dall’Iraq alla Siria. La mostra è un fantastico esempio di come attraverso le opere d’arte sia possibile raccontare la storia dell'immigrazione e i relativi mutamenti di cultura e politica.
Nell’analisi della mostra, Massimiliano Gioni cita il libro dello scrittore inglese John Berger e del fotografo svizzero Jean Mohr Il settimo uomo, dedicato alla prima ondata di immigrazione in Europa nella seconda metà del Ventesimo secolo. Allora le persone per assicurarsi il passaggio dal confine del Portogallo alla Francia tagliavano in due la propria fototessera, lasciandone una metà al trafficante che le avrebbe condotte in Francia. Era una specie di prova che il viaggio era avvenuto con successo, infatti solo tornando dalla famiglia d'origine con la metà della fototessera il trafficante riceveva il pagamento. In questo modo la fotografia è diventata una specie di certificato, addirittura la conferma dell’esistenza del rifugiato. Grazie alle testimonianze degli artisti, attraverso le fotografie, i video e gli oggetti d’arte, possiamo osservare il fenomeno dell'immigrazione odierna: la situazione di Lampedusa, il conflitto in Siria, i campi e le vite dei profughi, gli apolidi e l'immigrazione italiana all’inizio del Novecento.
Il ruolo dell’artista nella mostra cambia radicalmente. L’artista spesso fa parte del soggetto, cancellando la tradizionale distanza tra autore e spettatore, creando una storia continua. La mostra è costituita innanzitutto da testimonianze in prima persona. Molti artisti, come Yto Barrada, Bouchra Khalili o Phil Collins, cercano di restituire dignità ai migranti, dando ai loro volti uno spessore storico e distinguendosi dal consueto stereotipo mediatico. Altri, come El Anatsui e Hassan Sharif, raccontano la storia dei migranti attraverso le merci di scambio, quasi una parodia dei meccanismi di distribuzione dell'industria globale. Banu Cennetoglu, Forensic Oceanography o Multiplicity sottolineano l’assurdità del fatto che le merci possono viaggiare più liberamente delle persone.
La Terra Inquieta non permette allo spettatore di osservare solo il lato estetico delle opere, ma lo costringe a esprimere un’opinione, semplicemente perché le opere urlano. Come diceva l'artista Thomas Hirschhorn “1 Man = 1Man”, una vita umana equivale a un’altra vita umana.