In un’Europa sempre più incerta e lontana da una comune definizione e da una partecipata identità, ecco calare, quasi nascostamente, i 500 anni della Riforma protestante. Allora, in quei primi decenni del XVI secolo, si dissolveva, sotto la denuncia di Lutero, l’universalismo medievale europeo sigillato dalla Chiesa e dall’Impero, discordi ma concordi nel rivendicare la loro funzione di contenitore geloso della “verità” e del potere e per questo inflessibili nel cancellare ogni fermento religioso e politico “deviante” (basti pensare alle persecuzioni di Valdesi, Albigesi e di tutti quei movimenti ereticali che univano eterodossia dottrinale e utopia sociale).
Oggi, nei primi decenni del XXI secolo, sembra fallire quel fragile tentativo di unità europea, frutto, più che altro di interessi economici e dove il particolarismo delle singole nazioni fa naufragare ogni tentativo di strategie comuni e comunitarie. E non poteva che essere così, perché, né i valori etici cristiani, né gli ideali sociopolitici delle grandi rivoluzioni del ‘700 e del ‘900, né le catastrofi delle due guerre mondiali sono serviti di viatico alla nascita di una vera Europa identitaria, vista la storia, la geografia, la cultura così diverse, di ogni singolo stato o regione europei. Sta di fatto che la Riforma, che può ben definirsi una Rivoluzione, ha cambiato, forse più delle stesse Rivoluzioni francese e russa, il volto e il corso dell’Europa e degli europei. È vero che già il Rinascimento e l’Umanesimo avevano corroso la cultura e i dogmi del mondo cattolico, ma si era trattato soprattutto di elaborazioni intellettuali per il ristretto mondo degli studiosi, che non potevano scalfire certezze e poteri consolidati, né fare breccia nella quotidianità popolare.
Lo stesso Marx scrisse che: “Se il protestantesimo non rappresentò la vera soluzione, costituì tuttavia la vera impostazione del problema: per il laico non si trattava più di lottare contro il prete che aveva di fronte, bensì contro la propria natura pretesca”. È solo dopo la fatidica affissione e diffusione, nel 1517, delle 95 tesi di contestazione del sistema delle indulgenze, che sarà la premessa per il ribaltamento radicale della teologia tradizionale, che si crea quella sinergia tra rivoluzione religiosa e rivendicazioni nazionali che faranno vacillare l’Europa cattolica e imperiale. Ma tutto, o quasi, cominciò dalla ferita etica, che si aprì in frate Martin Lutero alla sua visita a Roma del 1510, che così Lucien Febvre descrive: “Una speranza immensa lo animava: devoto pellegrino, egli andava verso la città dei pellegrinaggi famosi, la Roma dei Martiri, centro vivente della cristianità … Che cosa vedeva? La Roma dei Borgia diventata, da poco, la Roma di papa Giulio. Quando, smarrito nel fuggire la Babilonia maledetta, le sue cortigiane, i suoi cardinali senza fede e senza moralità, Lutero raggiungeva la Germania natale, portava in cuore l’odio inestinguibile verso la Grande Prostituta. Gli eccessi, quegli eccessi che la cristianità unanimemente bollava d’infamia, egli li aveva visti, incarnati, vivere e prosperare sotto il bel cielo romano; ne conosceva la sorgente e l’origine … la spaventosa miseria morale della Chiesa gli si era mostrata nella sua nudità. Virtualmente la Riforma era compiuta …”.
A differenza dei movimenti pauperistici e riformatori medievali, praticamente autoreferenziali, dunque, Lutero e i suoi protettori seppero incidere sul corpo politico, sociale ed economico di mezza Europa, lanciando una sfida temeraria a Papa e Imperatore: “ Disprezzo tanto l’odio che il favore di quelli di Roma – così scriveva il monaco agostiniano Lutero nel 1520 - con costoro non voglio né riconciliarmi, né avere più niente a che fare per l’eternità. Se essi condannano e bruciano i miei scritti, io condanno e brucio i loro … anzi brucerò tutto il diritto canonico, questa mostruosa raccolta di eresie ...”. Nello stesso tempo, il monaco tedesco non voleva creare una Chiesa ufficiale, brutta copia di quella romana, affermando: “Non mi sembra prudente riunire i nostri in Concilio per stabilire l’unità di culto … una Chiesa non deve imitare l’altra in queste cose esteriori: che bisogno c’è di costringerla con decreti di concilio pronti subito a mutarsi in reti e in leggi per le anime?”.
Il ribaltamento non poteva essere più completo; ecco, al posto dell’autorità teorica di una Chiesa strutturata e dogmatica, il libero esame del singolo – anticipazione del razionalismo - e, in più, la giustificazione – come unica attestazione di salvezza eterna - per la fede, al posto delle opere umane, che, svincolate dalla finalità di essere ricompensate in un mondo ultraterreno, dovevano avere un valore in se stesse: è l’affermarsi del culto dell’operosità e del lavoro, così caratteristici del mondo anglosassone e così ben delineati da Max Weber. Attenzione, però, la libertà religiosa, così faticosamente conquistata, non poteva e non doveva intaccare l’autorità politica, che ne era indispensabile garante, così Lutero si dimostrò inflessibile nel condannare la rivolta dei contadini e quello spirito settario, che portava sì, come l’anabattismo, alle estreme conseguenze l’autonomia del credente, ma che rischiava, come poi in tanti casi avvenne, di vanificare, con il suo radicalismo utopistico, la sopravvivenza della Riforma stessa. Movimenti di spiriti eletti e di comunismo integrale, costretti poi, dopo feroci persecuzioni a sopravvivere nascostamente o emigrare, come le attuali comunità di Quaccheri, Mennoniti, Amish e Hutteriti, eredi, negli Stati Uniti, di quella spiritualità estrema.
Ma lo spirito del protestantesimo, denunciando la sostanziale corruzione della natura umana, metteva a nudo, e nello stesso tempo in rilievo, l’aspetto naturale, irrimediabilmente egoistico dell’uomo, che non potrà mai redimersi di fronte a dio con le opere, ma che dovrà contribuire con la sua attività e il suo rispetto delle leggi a una civile convivenza. Si apriva così la strada a una laicizzazione della vita politica e sociale, con una conseguente autonomia tra sfera religiosa e ambito civile, tipica degli ordinamenti statali delle nazioni di origine protestante. Ancor oggi possiamo invece costatare come negli stati a maggioranza cattolica sia difficile - soprattutto per quel che riguarda problemi di carattere etico come, ad esempio, in passato il divorzio, e oggi l’aborto, la fecondazione assistita o l’eutanasia – separare nettamente Stato e Chiesa.
La Riforma protestante, in definitiva, anche antropologicamente, mette l’uomo di fronte a responsabilità da “adulto”: il “senso di colpa”, che è alla base della teologia cristiana, è assorbito nel rapporto di fiducioso e mistico soggiacere alla pietà divina, senza bisogno di intermediari, senza rete. Poi, nella vita civile, il cristiano protestante sarà responsabile delle sue azioni in senso laico, le sue scelte saranno finalizzate al benessere della società e dello stato in cui vive e opera. Come ha scritto il Bainton, per il protestante: “La sola motivazione plausibile non veniva più ad essere la salvezza della propria anima, ma l’assistenza al prossimo” e quindi non poteva esserci un clero privilegiato da una “vocazione” divina, ma “le attività del contadino, del dottore, del maestro, del ministro del culto, del magistrato , della massaia, del domestico erano tutte inviti divini, “vocazioni” celesti”. Il Cattolicesimo, al contrario, attraverso l’eterodirezione dei sacerdoti e il sistema dei sacramenti, accompagnava e faceva da tutore e supervisore del cristiano dalla nascita alla morte, in un orizzonte dove la figura del padre, divinizzata, è sempre sullo sfondo e spesso coincide con quella di un Papa, che ha la prerogativa dell’infallibilità. Certo, la strada aperta dalla rivoluzione luterana e la sua eredità sono state difficili e rischiose, ma inevitabili, come, appunto, è inevitabile il passaggio dallo stato infantile a quello adulto, con tutte le responsabilità e le frustrazioni che esso comporta.
Come ha acutamente scritto Evelyne Pewzner: “Il divino, allontanandosi, lascia all’uomo la libertà nuova di decifrare e interpretare non solo i fenomeni della natura, ma anche la natura stessa di Dio … All’unicità e alla grandezza di Dio rispondono insomma la libertà e l’autonomia dell’uomo, due dimensioni che costituiscono degli elementi motori in quel processo di comprensione, di decifrazione e di riappropriazione del mondo così caratteristico nella storia dell’ Occidente. Fornito della libertà e dell’autonomia sorte in questo mondo disincantato (perché privato dell’onnipotenza divina), l’uomo deve ritrovare per proprio conto e nella solitudine di un’avventura puramente individuale la presenza di Dio. In altri termini, in un universo in cui Dio è assente dal mondo, il rapporto con Lui si focalizza all’interno di ciascuno individuo”.