Il paesino è piccolo e come si sa, la gente mormora. E la gente prima di mormorare deve pur pensare, preferibilmente con il minimo sforzo e con la massima resa, combinazioni di fattori che ne permettono un risultato che, - per quanto permesso e concesso -, si può spingere nella confusione di mille pensieri, dei tanti che si confondono tra tutti. Idee di tutti che non stanno di certo ferme ad affinarsi in bocche chiuse, poiché le parole non posson starsene lì soffocate come vino chiuso in barrique, devono ossigenare e ossigenarsi anche da novelle, a volte bisbigliate nella penombra di un pomeriggio assolato, altre schiantate nel rimbombo dei portici in centro paese, al riparo della pioggia insistente, perdendosi nell'eco del mattone rosso a forma di mezza botte, senza la tentazione di tornare a casa appesantite dall'umidità.
Può anche capitare, e spesse volte accade, che possan rimbalzare di orecchio in bocca e nuovamente di bocca in orecchio, in un tumulto apparente, infiltrandosi come gocce d'acqua nella terra, ma senza mai toccarne veramente il profondo, lasciandone secche le radici della vera comprensione, e, di conseguenza, abortendone il fiore che sarebbe potuto venir alla luce.
Un bicchiere tracannato in una domenica di festa, quello di tanti, che se ingoiato in malo modo diviene uno fra tanti, tutti buoni e schifosi al contempo, dove l'importanza del gesto meccanico perde di valore se confida solamente nell'effetto desiderato: una lieve e burrascosa brezza alcolica che, quando non si riesce a trattenere, è in grado di infettare l'agnello facendolo diventar leone, proprio quando un'abbondante lacrima sfuggita dal bordo del vetro, con fare maldestro, si riversa sul pavimento e ne inacidisce l'ambiente.
Eppur si pensava, perché lo pensavan tutti, anche chi non lo conosceva: "Con le tue capacità, ma come fai a vivere così?". Tutto il giorno in questa terra che puzza di sudore, a prender addosso le ire del tempo, gelo d'inverno e solleone in agosto. Per non parlare di poi quando sembra che il cielo si squarci, da quante saette di luce lo attraversano, in attimi infiniti e il tuono è tanto forte da far tremare gli alberi. A volte non si vede più il sole per giorni. E per giorni sotto l'acqua conduci la tua esistenza a combattere in un costante inequilibrio, dove neanche la terra sembra volerti e ti fa scivolare per averti più vicino alla sua melma che ti imbratta da capo a piedi. "E a bestemmiar ti sentono fino al paese, lo sai?"
Lo sai vero, che da quassù la valle è come il legno concavo di uno strumento, amplifica suoni e significati e ogni tuo Cristo uscito di bocca si schianta tra i paesani senza badar troppo all'età dei malcapitati, più forte delle campane della chiesa che battono il tempo, più tagliente delle cesoie dal manico rosso che hai in tasca. Le tue Madonne arrivano fino al campanile che si scorge il lontananza. Una lontananza ben definita, che lasciava come la percezione di due linee tracciate a matita su di uno sfondo bianco, circolare e perfettamente tondo , quasi alla sommità del campanile che svettava tra le case basse dai coppi con lo stesso identico colore della terra. Una distesa dolce di color rosso, chiazze di verde e un po di grigio, il tutto adagiato a seguirne le forme che madre natura dispensava, più in alto a dominarne la scena la torre campanaria con il suo orologio. "E tu sempre volto a scrutarlo stai, come se il tuo pensiero di tanto in tanto avesse l'incauto bisogno di fuggir via dalla solitudine che ti accompagna!"
Si scorgono nitidamente le due lancette nere che si inseguono e si superano a scandire il tuo tempo qui, a decidere quando devi mangiare, quando devi riposare, quando devi riprendere a spaccarti la schiena attaccato a questa pianta che ormai è più di due anni che non ti da un goccio da bere, se non il poco da regalare a parenti e amici per le grandi occasioni. Che poi - siamo sinceri- dalle loro facce si capisce che non gli piace, rimangono sempre li perplessi come a dire: "Ancora? Anche quest'anno?" E anche quando non dicono niente, disegnano con le rughe sul viso smorfie che non lasciano spazio a una interpretazione differente dal solito, annoiati in un disgusto camuffato da classico sorrisetto di chi non osa pronunciare la verità del proprio pensiero, perché questo sarebbe sicuramente non adatto a contesto e situazione. E tu li guardi sempre con la solita dolcezza, come se stessi regalando una parte di te, una tua magia che è meglio se ti tenessi per te. E poi bisbigli quasi sempre le solite parole, con un celato imbarazzo come se le sillabe facessero fatica a non strozzarsi in gola: "È stata una splendida annata, con giornate di gelo e altre calde come prima mai, una di queste è da condividersi ora, l'altra invecchiatela pure, si affinerà col tempo!"
Che pena dell'anima. "E quelle rare volte che vengono a farci visita?" Ti atteggi a grande star, perché la cantina qui, e la vigna là, e quest'anno i francesi di Borgogna hanno sofferto... vuoi l'attenzione, ecco cosa vuoi! E ti guardi sempre attorno come un grande attore americano, con un passo da stella del cinema avvicinandoti al vecchio tirabursun attaccato alla parete, che ormai è li da troppo tempo e pure lui andrebbe cambiato. "Che cosa andrebbe cambiato, quello è nato qui e non va da nessuna parte!" Questa volta l'orgoglio uscì fuori antecedendo per un soffio il battere del campanile, che inesorabilmente suonò. Tre rintocchi a fermare il tempo, come a richiamare l'attenzione verso a un qualcosa di estremamente più importante che è la vita stessa. "Oh, ma guarda, sono già le tre".
Il sole era ancora alto e i primi germogli davano segni di vita incoraggiante. I grappoli quest'anno sarebbero stati belli, grossi e concentrati, ne era sicuro. Alcune cose riusciva a sentirle nell'aria, la terra stessa gli aveva insegnato un segreto dialogo tra l'essere e ciò che gli stava intorno. Gli odori, i suoni, le foglie e il vento, come note su di un pentagramma a intonar melodie che solo lui sapeva leggere e intendere. Avrebbe avuto ragione, un giorno. E non vi sarebbe stato nulla da aggiungere, nulla di più chiaro che la verità, dove anche gli scettici avrebbero dovuto lasciar cadere a terra il pesante spadone di parole e cattiverie, e una volta deposta l'arma tanto spietata, si sarebbero quasi commossi a firmarne la resa decretandone infinita sorpresa e stupore. Il tempo avrebbe dato le risposte a chi sollevava, ora un tiepido sole lasciava spazio a dubbi e domande lamentose. "Lascia fare, lascia fare." Annuì con il naso verso l'alto e un mezzo sorriso masticato in viso.
Si discostò dalla discussione quasi schivandola come si fa con i rovi di moro che ancor non portano frutti. Si lasciò cadere su di una vecchia coperta, in una nuvola polverosa sotto il nocciolo e si mise a dormire, facendo finta di non aver mai avuto capacità, fingendo di non aver mai vissuto. Fingendo di non aver mai amato. Le viti lo stavano a guardare, lui lo sapeva. Il vino della passata stagione riposava nel legno, era una splendida annata, il gessetto ne indicava la qualità. La più pregiata portava il marchio "Fratello Cantiniere", che più che un marchio era una firma della collaborazione tra esseri e natura, una storia già vissuta ma non ancora raccontata. Lui lo sapeva, lo sentiva. Furono in molti a capirlo solo tempo dopo. O almeno, così credettero. Così si zufolava. Dopotutto il paesino era piccolo e i pensieri mormorati eran tanti.
Si appisolò bofonchiando qualcosa che poteva assomigliare a un sospiro mangiato dalle parole "vite mia", proprio mentre gli occhi si chiudevano a un ultimo sguardo alla collina. Il campanile rintoccò abbracciando di calma la terra, le bestie, le piante e gli uomini. La quiete strinse ogni pensiero. Si fece silenzio.